Anche altri, all’infuori di noi, si interessano alla nostra lingua

Interessanti le loro domande in scambi di e_mail, in particolare con un professore universitario.

Professore

Prima di tutto voglio e devo ringraziarti di cuore per avermi risposto così rapidamente, e soprattutto per avermi dato una risposta così interessante e stimolante (per nuove domande!).
Grazie mille per l'indicazione bibliografica, la pubblicazione del dott. Dapit mi pare molto interessante e ben strutturata, da come la descrivi, mi metterò anche subito in contatto con il circolo Ivan Trinko di Cividale (cui chiederò anche l'indirizzo mail della scuola, la cui posizione così esclusivamente filo sloveno letterario mi interesserebbe di capire). E in estate sarò sicuramente nelle Valli per procurarmi tutto il materiale (e volentieri per accettare il tuo invito e fare una bella chiacchierata).
Ancora una piccola "premessa": forse potremmo accordarci sul termine "varietà" per le parlate delle Valli del Natisone, della Valle del Torre, della Val Resia e di Resia. È un termine molto diffuso nella linguistica, che se sì da una parte sottolinea il legame di queste parlate con qualcosa d'altro (in questo caso, le varietà slovene di Slovenia, una delle quali è appunto la lingua letteraria ufficiale), non ha alcuna connotazione valoriale (mentre purtroppo il termine dialetto, in sé pure neutro, ha assunto sfumature di significato piuttosto negative). Così come io parlo di "varietà" che si parlano in Friuli, come "varietà" di una (certo non tipologizzabile sotto un'unica "matrice") parlata del Friuli.
La tua interessantissima e assai dettagliata mail mi ha fatto sorgere alcune altre domande, che mi permetto di porgerti qui direttamente...
La tua storia personale mi pare, dal punto di vista linguistico, notevole, e volevo chiederti se fosse in certo qual modo paradigmatica... parli infatti di 19 anni di terribile vuoto (nei quali però hai imparato ad amare il friulano, cosa che mi fa un incredibile piacere!)... a cosa è dovuto questo vuoto? vi sono state "misure repressive" (di qualunque tipo, anche "solo", come si direbbe oggi, di mobbing) nei confronti dei parlanti nedisko? E l'apprendimento del friulano è un "evento eccezionale" dovuto a particolari circostanze della tua vita o è un processo che comunque è tipicamente vissuto dalla maggior parte dei parlanti nedisko o altre varietà slovene? Mi spiego: quando anni fa per la prima volta mi sono recato con "coscienza e interesse linguistici" a Resia, a Timau e a Sauris ho notato con piacere, ma anche con una certa sorpresa, come in realtà in queste località sia parecchio diffuso il trilinguismo, per cui oltre all'italiano, anche il friulano è padroneggiato con sicurezza da gran parte della popolazione (o meglio, da gran parte della popolazione con cui ho avuto a che fare io...). È questo il caso anche nelle Valli del Natisone e del Torre? Qual è l'atteggiamento dei parlanti varietà slovene nei confronti dell'italiano? È amato come lingua di comunicazione o è piuttosto visto come un'imposizione? E nei confronti del friulano?
Nel complimentarmi poi per la tenacia e la bravura nel compilare il vocabolario e la grammatica del nedisko (che ritengo veramente un'opera notevole e fondamentale, e non accetto che tu parli di tua incompetenza, tutt'altro, è un'opera di tutto rispetto che segnala amore e conoscenza della tua lingua), devo porti ancora alcune domande... dici che da parte della rappresentanza politica della minoranza non vi è stato alcun interesse alla pubblicazione dei tuoi lavori... perché? la vostra rappresentanza politica è in qualche modo filo-slovena (di Lubiana)? [spero tu non interpreti in maniera negativa questa domanda: quello che mi interessa sapere è se i vostri rappresentanti politici sentono un legame/un'attrazione - eventualmente per un esplicito appoggio da parte di Lubiana stessa - verso Lubiana o no]. E come è formata la vostra rappresentanza? Cioè, i politici della minoranza slovenofona sono delle Valli o sono soprattutto della minoranza slovena triestino-goriziana? Che rapporti ci sono tra voi e queste minoranze di lingua slovena? Che accettanza (o rifiuto) da parte della popolazione delle Valli hanno avuto le misure di introduzione dello sloveno letterario nelle scuole a seguito della 482/99? Cioè: la popolazione delle Valli vuole lo sloveno di Lubiana o il nedisko (e le altre varietà slovene del Friuli)?
Molto interessante è l'etimologia del termine Benecija. Infatti, se è chiaro che esso deriva da "Venezia", è assai interessante sapere che è una "etero-denominazione" da parte di Sloveni non delle Valli... e da parte degli autoctoni viene accettato e comunemente usato (come la denominazione "benecijano" per la lingua) o ha qualche connotazione negativa?
Ti ringrazio anche di cuore per cercare di capire cosa non funzioni nella versione .pdf della grammatica, mi farà molto piacere poterla scaricare. Complimenti a tuo figlio per la sua carriera, e digli per favore che non si scandalizzi troppo... anche se conosco la situazione dei dottorandi in Italia (due miei amici hanno appena finito il dottorato in chimica) e so che non è per nulla rosea, devo dire che in Germania - dal punto di vista economico, non da quello didattico e di ricerca - è ancora peggiore... i dottorandi non vengono infatti pagati (salvo pochissimi casi in programmi speciali), e o devono lavorare in contemporanea al dottorato o devono cercare borse di studio altrove... io ho avuto la fortuna di avere una borsa di studio e di poter fare alcuni lavori che hanno comunque a che fare con il mio principale campo di ricerca (come la mia attività di introduzione di un manuale di italiano nelle università, o quella di curatore di pubblicazioni scientifiche, o, come appunto il prossimo semestre, l'attività didattica a fianco del mio tutore), ma alcuni miei colleghi finanziano il loro dottorato lavorando fino a notte inoltrata come camerieri o simili... certo, questo ha anche un vantaggio: in Germania sono i dottorandi stessi a proporre i temi su cui vogliono fare il proprio dottorato, e quindi possono veramente realizzare i progetti che più stanno loro a cuore. E questo ritengo compensi le difficoltà economiche!
Bene, io ti ringrazio ancora di cuore per la tua attenzione e la tua cura nel rispondermi, mi scuso per la serie di domande che ti ho nuovamente posto e attendo con grande interesse le tue risposte!
Buona giornata e a presto!

P.S.: non so se sia questo il luogo giusto per una mia lamentela "fondamentale", ma ritengo che io debba anche scusarmi in qualche modo per la mia insipienza... quello che ho da rimarcare nella politica linguistico-culturale friulana (=dei parlanti friulano) è la totale assenza di interesse per le realtà linguistiche altre del Friuli. Vi è una diffusa chiusura nel proprio orticello (certo con notevoli e lodevoli eccezioni), e non ci si accorge che la "specialità" del Friuli non sta nel friulano, ma nella convivenza e interazione di friulano, tischlbongarisch, nedisko, rozajanski, zahrisch, veneto, bisiaco, etc. E invece ognuno si specializza nel suo piccolo e dimentica gli altri (almeno così è spesso, appunto, da parte friulanofona). Io stesso mi sono avvicinato allo sloveno (e a quello standard di Lubiana, mancandomi qui la possibilità di dedicarmi alle varietà del Friuli) appena questo semestre qui a Monaco, con un corso di lingua che finora mi ha dato solamente i più grezzi rudimenti... peccato!
Firmato: Luca

L’amico ha risposto:

Carissimo Luca, mi trovi senz'altro consenziente a proposito di "varietà". Anche i musicisti parlano di "varianti". Per cui slavo "varietà nedisko" (non benecjano) mi va bene.
Ti parlo in primo luogo del "mio" friulano e soprattutto dell'amore e dell'interesse che ho per il friulano; per farlo devo per necessità di cose accennarti alle mie vicende personali.
Qua nelle Valli non si parla il friulano; si inizia a parlarlo al Ponte San Quirino. Nella nostra cultura non esiste, ad esempio, nessun canto popolare friulano. Il nonno però conosceva il friulano, lo capiva benissimo e se la cavava a parlarlo come tutte le persone che avevano contatti soprattutto commerciali con i friulani. Io sono venuto a contatto col friulano in seminario, all'età di undici anni.
In seminario era proibito parlare in "dialetto" (sotto pena di peccato veniale!) sia friulano, sia sloveno.
Mentre noi sloveni eravamo in pochi e forse, essendo un pò più ligi all'autorità non parlavamo sloveno se non quando non volevamo farci capire dai friulani, i quali s'arrabbiavano non poco quando lo facevamo, proibire ai friulani di parlare friulano era, si direbbe con un nostro proverbio, come pisciare contro vento. Infatti io ho imparato a meraviglia il friulano durante i miei 13 anni di seminario. Non solo. Per mia fortuna son venuto a contatto con persone che poi sono divenute protagoniste del friulano. Prima fra tutte Domenico Zannier, del quale ho musicato anche alcuni canti (che stupidamente ho perduto) su sua richiesta, quando gli ultimi tre anni ero organista e ho perfino letto le bozze del suo primo poema (così lo chiamava lui) "Natissa", che iniziò a scrivere proprio in seminario. E' stato già in quel periodo che ho iniziato a prendermela su col termine "dialetto" con tutto ciò che esso sottintende. Perchè allora era pacifico che anche il friulano fosse un dialetto!
Un secondo contatto importante è stato quello con la Scuola Media di Casarsa, dove iniziai a insegnare Educazione Musicale e dove incontrai personaggi davvero interessanti, il prof. Galliussi, Trillini, ecc., che naturalmente mi fecero conoscere (e amare) Pier Paolo Pasolini.
Conobbi, in seguito, il mio ex collega Pietro Biasatti. Divenni amico di Giso Fior, di cui musicai un canto friulano: "O ce biel inscindalasci di chest mont cencia sunsur e savéi che doma l'aria si è 'ndacuarta ch'a si mur...", e di tanti altri.
Ero attratto da queste persone più per la loro capacità artistica che per la lingua. La lingua imparai ad amarla dal popolo. Venni inviato cappellano a Rivignano per due anni, altri due a Magnano in Riviera ("dove parlano con la "e"), altri due a Interneppo. Non incontrai nessuna difficoltà ad usare immediatamente il friulano come usavo il mio nedisko. Comunicare con la gente in friulano era meraviglioso.
In quel periodo i miei studi musicali mi avevano messo in contatto con Bartok e Kodaj e la loro ricerca. Lessi tutto d'un fiato e rilessi più volte il libro del Bartok sulla cultura popolare. Mi aprì orizzonti insperati. Ero pronto per il ritorno nella mia terra, che avvenne nell'ottobre del 1964.
Qualche mese di difficoltà per orientarmi ci volle: pensavo in friulano e traducevo in nedisko. Il contatto con persone eccezionali (gente semplicissima ma di una ricchezza interiore rara) mi aiutò enormemente, eccezionali perchè per tutta la vita avevano parlato solo nedisko. Per 12 anni ho parlato anch'io quasi solo nedisko. E poi continuai a parlare solo ed escusivamente nedisko con mia suocera per 28 anni, fino alla sua morte, avvenuta due anni fa.
Perchè i primi di giugno del 1976 lasciai la parrocchia e mi sposai. Avevamo tentato di crearci con un gruppo di colleghi uno spazio di libertà in campo affettivo (stampavamo anche un mensile "Proposta") nella chiesa... sarebbe da scrivere un poema! Il terremoto mi diede il colpo di grazia. Dopo tanto lavorato anche manualmente (avevo fatto il carpentiere, il muratore, il manovale...), mi son trovato col terremoto senza saper dove andare a dormire. Al vescovo dissi: "Son disposto a ricominciare, a rimettere tutto a posto, ma mi deve lasciare in pace, altrimenti meglio che me ne vada". Lui rispose: "Beato terremoto, sapevo che anche il terremoto avrebbe fatto tanto bene!" Forse non potevo dargli torto: convivevo con l’attuale mia moglie in canonica (fino a poco tempo prima c'era anche mia mamma, che morì prima del terremoto) e certo a lui non andava bene. Misi come condizione che mi venisse affidato un incarico secondario nella chiesa. Mi nominò con lettera ufficiale (con mia grande soddisfazione) maestro del coro del duomo di Cividale. Ma il parroco non ne volle sapere. Quando andai con la lettera del vescovo per prendere contatti, inizio a farmi il terzo grado: "Dicono che sei filoslavo..., dicono che sei comunista..." In conclusione non mi vollero. Solo mons. Pupa, economo del Capitolo di Cividale, mi scrisse una lettera, che io ben conservo, di scuse, manifestando il grande dispiacere, perchè sperava che io avessi potuto mettere a posto anche il grande archivio musicale di Cividale. E l'avrei fatto ben volentieri!
A Cividale sì che avrei coltivato sia il friulano, sia il nedisko. Invece, ho quasi dimenticato il friulano (non certo i grandi scrittori friulani che continuamente leggo) e mi son gettato a capofitto nel nedisko.
Anche col nedisko, però, a un certo punto tante delusioni!
Ma ho esagerato. Meglio rimandare... alla prossima puntata, pensando che ti interessi la parte politica, che è alquanto complicata e della quale, naturalmente, potrò offrirti solo il mio punto di vista.
………………. Buona domenica.

Luca ha scritto

Carissimo, grazie per la tua assai interessante mail, che mi dà molte nuove e preziose informazioni. Devo tuttavia confessare che ho valutato a lungo se risponderti immediatamente o se attendere che tu mi inviassi la risposta alla seconda parte della mia mail precedente, perché le domande che mi sorgono alla lettura di questa tua nuova sono ancora molte, e non vorrei "oberarti" di perché? e come? e allora? e dove? e chi? Comincerei, se mi permetti, con la più "leggera" (in questo ambito) delle questioni, cioè quella legata agli stipendi dei dottorandi. Confesso di non conoscere la situazione di informatici e dottorandi di materie tecnico-scientifiche, conosco però quella di dottorandi di materie umanistiche, economiche e giuridiche.
………….. Chiuso questo capitolo, veniamo ad altri temi... mi fa piacere che possiamo accordarci sul termine varietà. Chiaro che nel tuo caso è nedisko, la curiosità sul benecijano era per la particolarità del nome di tale varietà e dei suoi parlanti...
La tua vicenda personale è assolutamente interessante e straordinaria! Se mi permetti, vorrei fermarmi su alcuni punti che mi stimolano nuove domande...
Prendo atto dell'inizio delle parlate friulane dal Ponte San Quirino, quanto tu però racconti mi pare molto interessante: se non c'è traccia di friulano nel vostro patrimonio musicale popolare (!!!), dici però che tuo nonno parlava molto bene friulano per necessari contatti commerciali con il Friuli... fungeva il friulano da Verkehrs- und Handelssprache (lingua dei traffici e commerci) tra le vostre Valli e il resto della regione? Ha li friulano ancora questa funzione o è stato completamente soppiantato dall'italiano? E il friulano era conosciuto più o meno bene da tutti (gli adulti) nelle Valli, o solamente da personaggi "straordinari" nel loro cursus vitae, che cioè fossero spesso o per lunghi periodi in Friuli, o che fungessero da intermediari/interpreti? E da parte dei friulanofoni, vi era comprensione del nedisko? Vi sono, vista la mancanza di tracce culturali, tracce linguistiche friulane nel nedisko, cioè parole di chiara origine friulana?
Il secondo punto che mi pare interessantissimo è l'atteggiamento della Chiesa...
Vi era una stretta proibizione delle varietà non nazionali, mi dici... era questo atteggiamento ufficiale della Chiesa (cioè anche delle autorità ecclesiastiche)? Vi è stata (anche posteriormente) una reazione da parte degli slovenofoni, così come per i friulanofoni Glesie furlane? Io conosco dagli scritti del grande friulano pre' Toni Beline il tragico caso di pre' Arturo Blasutto di Monteaperta di Taipana, è questo caso esemplare o una triste e orrenda vicenda eccezionale?
Devo dire che effettivamente il tuo contatto con il friulano è stato segnato dalla conoscenza di personaggi fondamentali! Peccato veramente che tu abbia perso i canti di Meni Zannier da te musicati!
Interessantissimo è anche il fatto che mentre tu amavi le capacità artistiche di queste persone, la lingua tu abbia imparata ad amarla dalla bocca del popolo, e come tu trovi qualcosa di meraviglioso (più immediato? più spontaneo? più naturale?) il fatto di comunicare con la gente nella loro "marilenghe". (Piccola parentesi: dici che anche il friulano era considerato "semplicemente" un dialetto... da chi? dalle autorità ecclesiastiche o anche dai parlanti, ergo dai tuoi compagni di seminario?)
Il tuo interesse verso la tua lingua è nato "culturalmente" con Bartok o ritieni che il contatto con il popolo ti avrebbe fatto in ogni caso riscoprire le tue radici?
Dici di aver parlato per 12 anni quasi solo nedisko... sono 12 anni caratterizzati da una permanenza continua nei tuoi paesi? la comunicazione in nedisko era possibile anche con le autorità ecclesiastiche e civili (mi parrebbe un po' strano...)? e per scambi commerciali o d'altro tipo?
Interessantissima (e assai riprovevole) la posizione del parroco di Cividale... è indice di un atteggiamento allora (e forse anche ora?) diffuso nei confronti degli slovenofoni, o era una sua personale posizione? Cividale è trilingue da sempre? Se leggi spesso letteratura friulana non credo tu abbia dimenticato la mia lingua! E delusioni purtroppo se ne subiscono specialmente nelle cose che più ci stanno a cuore (sapessi come trovo orrende certe politiche e certe decisioni che si prendono - anche da parte di "esperti" e "friulanofili" - nell'ambito del friulano... ma mi piacerebbe sapere cosa intendi tu per delusioni col nedisko... e se possibile, mi piacerebbe anche sapere che posizione occupa l'italiano in tutto questo...
Certo la parte politica mi interessa, ma sono molto interessato anche al "percettivo" e "percezionale" dei parlanti e degli abitanti delle Valli!
Augurandoti un miglioramento del tempo (anche qui è da giorni grigio e piovoso), ti mando i miei più cari saluti
Luca

L’amico ha scritto

Carissimo Luca,
mi dispiace di doverti scrivere a puntate. Non è che mi manchi il tempo, ma ci sono mille cosette insignificanti che battono sempre alla porta. effettivamente avrei dovuto parlarti subito di "politica", così tante tue domande potevano cadere. Ho deciso di farlo ora e poi di rispondere alle tue domande.
Non è facile tentare di riassumere situazioni complicatissime. Naturalmente io ti parlerò unicamente della nostra situazione nazionale, cioè di minoranza etnico-linguistica, anzi soprattutto linguistica.
Prima della fine della guerra (1945) la situazione era "normale". Era stato il plebiscito..., la creazione dell'Istituto Magistrale a San Pietro (secondo me per fortuna, perchè tantissime nostre ragazze hanno acquisito un titolo e un lavoro ben retribuito) con precisi scopi antisloveni, la proibizione sotto il fascismo, ecc., tutte cose che non hanno, secondo me, minimamente influito (se non per una naturale osmosi) sulla nostra lingua, che ha "imbarcato" sicuramente tanti termini soprattutto tedeschi e friulani e solo pochi italiani quasi tutti "tecnici", cioè termini di oggetti nuovi non esistenti precedentemente. La maggioranza dei termini romanzi sono stati acquisiti dal friulano, basta ricercare i tanti termini friulani del vocabolario (basta cercare: "(friul.)" o "(ted.)" per il tedesco). E' ovvio che sia così: in un ambiente ancora ben strutturato com'era fino al primo dopoguerra il nostro ambiente contadino non poteva essere diversamente. Nessuna proibizione poteva influire se non in maniera epidermica. Come non ha influito la proibizione, addirittura sotto pena di peccato sia pur veniale, in seminario. Per la verità la scusa (sciocca) era che il dialetto (che era considerato da tutti a tutti i livelli fin molto tardi un semplice dialetto) nuoceva l'italiano.
I guai sono iniziati col crollo del mondo contadino e soprattutto con la sua definitiva scomparsa e naturalmente con l'avvento di un mondo completamente nuovo (radio, televisione, settimanali, giornali, ecc.). La nostra lingua era una lingua orale. Le nostre persone dotte, a iniziare da Mons. Trinco, non ho capito se consciamente o inconsciamente, quando scrivevano lo facevano nella lingua slovena non in nedisko. Almeno al crollo del mondo contadino si sarebbe dovuto incominciare a scrivere in nedisko (i friulani per fortuna hanno iniziato a farlo subito anche se all'inizio con tanti sbagli, non ultimo quello di sfruttare il friulano unicamente a fini coloristici, macchiettistici). Invece i nostri uomini hanno continuato a scrivere le loro poesie e quant'altro in sloveno letterario. Perchè? Ahime, qua cominciano i guai.
Bisogna risalire ai partigiani: partigiani titini, partigiani garibaldini, partigiani osovani, il tutto condito di comunismo. Qua nelle Valli peggio: si aggiungeva il filoitalianesimo, il filotitino, il filosloveno. Il filocomunista ... col pericolo che davvero le Valli vengano assegnate alla Jugoslavia.
La stragrande maggioranza (sicuramente oltre il 90%) della popolazione delle Valli rifiutava lo sloveno letterario nella maniera più piena. Ma la minoranza filojugoslava incominciò ad avere via via sempre più aiuti economici dalla Jugoslavia, poi dalla Slovenia, poi ultimamente dall'Italia come minoranza (chiaramente non solo linguistica). Naturalmente a costoro interessava soprattutto lo sloveno letterario. Infatti il primo settimanale il "Matajur" era completamente in lingua slovena. Questi poi divenne "Novi Matajur", ma non cambiò nulla, se non l'introduzione anche di articoli in italiano. Poi si aggiunse il quindicinale DOM edito dai sacerdoti sloveni delle Valli. Questo iniziò ad avere un'attenzione maggiore alla nostra cultura e un pò anche al nedisko (ma senza idee chiare). Era però sovvenzionato dai cattolici sloveni. Per cui l'impronta del giornale era la lingua letterale slovena. E si sa cosa contano i soldi.
Poi cadde la Jugoslavia, nacque la Slovenia e anche qua nelle Valli si iniziò ad avere maggior attenzione al nedisko. Si iniziò a discutere, a fare soggiorni culturali per bambini, concorsi sul nedisko e mille altre attività. Io ho sempre partecipato a queste attività. Se non altro facevo cantare ai bambini i nostri canti. Ho anche stampato un libro per le Medie e uno per le Elementari basato sui nostri canti popolari e anche quelli friulani. Ho anche insegnato (quasi gratuitamente) per tanti anni educazione musicale nella scuola bilingue (insegnando naturalmente i nostri canti in nedisko). Ho creato già nel 76 una scuola di musica (ancora ben attiva anche se io a un certo punto mi son levato fuori come ti dirò), nel 74 un coro (POD LIPO=sotto il tiglio) che ancora dirigo (sabato andremo a cantare a Trenta in Slovenia, un luogo bellissimo sotto il Triglau). Poi non tanti anni fa, ma non voglio pensare all'anno, alla fine della precedente legislatura, è arrivata la legge di tutela. Che sogno (sembrava)! La tutela soprattutto dello sloveno letterario!!! (che delusione) Mi son levato da quasi tutte le attività anche se le sostengo dal di fuori. Pian, piano son diventato un solitario, mal sopportato, mal visto, seccatore e chi sa che cosa ancora. Sbirciando nel nostro sito si riesce a intravvedere l'involuzione.
Mio figlio creò il sito e con esso un'associazione culturale, il LINTVER (tu conosci bene il termine; per noi è un essere mitologico, una specie di grosso ramarro che vola da un monte all'altro; tanti sostengono di averlo visto qua nelle Valli (!!!)). Erano una ventina di giovanotti, quasi tutti studenti universitari. Poi tutto si è sfasciato. La colpa? Il nedisko. Diversi di quelli che si sono allontanati hanno trovato impiego nelle strutture della minoranza slovena sovvenzionate con la nuova legge di tutela.
Il LINTVER ha chiesto dei contributi, non ha ricevuto che qualche bricciola. Ha chiesto contributi per stampare il vocabolario e la grammatica: la Provincia ha risposto per iscritto che non si tratta di un "lavoro prioritario". La stessa cosa ha detto la Regione ma solo al telefono, pur dicendo che avrebbe risposto per iscritto. Una grammatica-vocabolarietto (che io ho solo visto ma non ho), stampato da un circolo culturale del comune di San Leonardo, ha avuto le sovvenzioni. Spero tu possa rintracciarla ed esaminarla (ce l'ha un ragazzo che era nel LINTVER).
Comunque brevemente il grande contrasto era sul fatto che l'ambiente sloveno considera lo sloveno letterario facente parte della nostra cultura contadina. Io sostengo che lo sloveno letterario può benissimo essere insegnato a chi lo desidera, ma che è il nedisko la nostra lingua, non foss'altro perchè la nostra gente capisce il nedisko e non lo sloveno letterario. Ti assicuro che io stesso se prendo in mano il PRIMORSKI, il quotidiano di Trieste, non ci capisco nulla, come non capisco gli articoli del NOVI MATAJUR o del DOM scritti in sloveno letterario.
Il mio ragionamento è: se vogliamo che la nostra gente riconosca la propria identità di “slovenji=slavi (non sloveni)” bisogna darle lo strumento giusto per riconoscersi, cioè il nedisko, perchè nello sloveno letterario che non capisce non si riconoscerà mai.
Comunque il mio disamoramento è iniziato quando mi è stato fatto capire chiaramente che ormai il nedisko non interessa più a nessuno. Anzi la direttrice della scuola bilingue ha scritto chiaramente che il nedisko è ormai un dialetto morto e che il mio lavoro era inutile.
Sicuramente in te urgeranno mille domande, perchè sintetizzare chiaramente una situazione così ingarbugliata e lunga è impossibile. Ho almeno tentato.

Rispondo alle tue domande.
E' vero non c'è traccia di influenze nei canti anche se qualche raro canto è penetrato chi sa da dove e come. Ad esempio il friulano "Sdrindulajle che bambinute" e il nostro "Oj bozime" sono identici nella melodia. Qualcuno dice che noi l'abbiamo appreso dal Friuli. Io sono un pò perplesso e penso il contrario per due motivi precisi: primo il fatto che la nostra melodia e struttura è su un tempo binario-ternario, cioè le misure si alternano ora binarie ora ternarie. Questo di solito avviene nei canti più antichi. Maggior peso ha la seconda motivazione: il nostro canto è legato a una tradizione e i canti legati alla tradizione sono sicuramente i più antichi. Infatti questo canto veniva cantato come canto di saluto al termine del pranzo di nozze (io stesso a Mersino ha assistito e ascoltato più volte) come saluto della sposa alle Valli, alla mamma, al papà, alle sorelle, ecc. "Addio Valli, come vi lascio a fatica...).
Musicalmente siamo stati sicuramente molto più influenzati dalle Valli del caporettano, del tolminotto e in generale da tutta l'attuale Slovenia.
Il nonno conosceva il friulano come tutte le persone anziane che avevano contatti col commercio friulano. Quasi tutti i sabati si recavano al mercato. Quasi tutte le persone anche le donne che si recavano a barattare le merci: castagne, mele, formaggio, ricotta, burro. Andavano fino in provincia di Pordenone, fino a Trieste (anche mia suocera lo ha fatto) e a volte stavano via dalla famiglia una settimana intera, finchè non avevano venduto tutto (si facevano portare il materiale dai carri prima, e dai camion dopo; dormivano nei fienili, mangiavano alla buona, ma tutte ricordano con simpatia quell'esperienza e tutte hanno raccontato che venivano trattate molto famigliarmente). Imparavano subito il friulano con grande facilità. Viceversa i friulani quasi mai imparavano lo sloveno. Probabilmente c'era un rifiuto psicologico e forse anche le declinazioni scombinavano tutto, rendendo impossibile la comprensione.
Anche attualmente i pochi commercianti rimasti (ad esempio il mio vicino di casa che commercia in legname) parlano tranquillamente anche il friulano, anzi negli scambi con i friulani parlano sempre in friulano non in italiano.
Ho conosciuto e incontrato tante volte pre Antoni Beline. Lui è uscito vincitore dalle sue battaglie. Noi abbiamo iniziato a lottare coi denti troppo tardi.
Comunque non mi imbarco nel racconto delle traversie della Chiesa: ha fatto errori enormi, ma ora ha riparato, soprattutto ha riparato col precedente Arcivescovo. Sul nostro sito sono pubblicati diversi suoi interventi fondamentali. Se oggi nella chiesa non si adopera il nedisko è per l'incuria dei sacerdoti e dei fedeli, non per le direttive dell'autorità ecclesiastica.
Per quanto riguarda me sicuramente l'incontro con quelle personalità friulane ha fatto maturare in me la convinzione che lingue giovani come il friulano (allora considerato da tutti a tutti i livelli dialetto nel senso deteriore del termine) avevano in sè capacità espressive enormi, come poi è avvenuto realmente. Ma una lingua bisogna viverla e non la si vive leggendo (nella lettura manca la parte più viva: il suono) ma parlando. Prova pensare alla varietà del friulano di Dierigo. Se non hai nelle orecchie quelle inflessioni di voce non riuscirai mai a capire la sua bellezza anche tu leggessi la poesia più bella del mondo. Io quando l'ho sentito per la prima volta (eravamo in vacanza a Paularo col seminario) son rimasto sconvolto, affascinato: quello era un canto non una parlata. Adesso quando leggo le poesie del Biasatti e del Pasolini sento anche i suoni. Anche se naturalmente non so imitarli.
Il Bartok mi aprì gli occhi soprattutto musicalmente, in particolare mi ha aperto al canto popolare, però anche a tutta la cultura contadina, non ultima certamente la lingua. La lingua me l'ha fatto gustare la mia gente.
Ho parlato quasi esclusivamente il nedisko perchè abitavo a Mersino e con la gente parlavamo solo nedisko. Naturalmente con chi non conosceva il nedisko dovevo per forza parlare italiano. Chi sa quante cose vorresti ancora sapere. Se mi chiedi ti risponderò.
Probabilmente ho fatto errori anch'io: avrei dovuto essere più diplomatico, forse più elastico, più flessibile, più arrendevole e chi sa cosa ancora. Ora mi ritrovo quasi solo. Per fortuna ho mia moglie e mio figlio.
Scusa la chiacchierata.
Ti saluto calorosamente.
19 giugno 05


Luca ha scritto

Carissimo,
grazie ancora di tutte le informazioni e delle tue interessanti amil! Finalmente ho avuto il tempo di leggere, riflettere e ora mi accingo a risponderti.
Interessante mi pare innanzitutto che tu sottolinei come la politica italianistica del fascismo non abbia influito minimamente sull'uso del nedisko. Notevole, perché nel Friuli friulanofono essa ha fatto molti danni, se non diretti, indirettamente creando una classe di insegnanti intolleranti nei confronti del friulano (mentre mi pare di capire, anche leggendo la tua storia nel forum, che non fosse tale la situazione nelle Valli). La mancanza (o la scarsità) di lessico di origine italiana dice anche molto della scarsa penetrazione (sicuramente molto recente) di questa lingua nelle Valli. Tutto ottimo materiale per me!

Interessante d'altra parte il fatto che gli intellettuali delle Valli scrivessero in sloveno letterario... non esiste proprio letteratura in nedisko (di tempi non recentissimi)? per chi scrivevano questi intellettuali? Mi spiego: tu conosci sinceramente la situazione del friulano: vi erano numerosi scrittori che scrissero in italiano, ma i loro scopi artistici e comunicativi erano sicuramente diversi da quelli di coloro che scrissero in friulano (anche il tanto criticato Zorutti, per fare un esempio: forse non poeta di grande valore artistico, ma fondamentale per il friulano stesso). Non esiste una poesia (seppur "minore", per quanto significhi questo termine) in nedisko? E da dove veniva la competenza dello sloveno letterario negli intellettuali? Vi era un orientamento verso la contemporanea letteratura slovena?

Assai interessante è anche l'intervento "esterno" da parte della Jugoslavia e dei cattolici sloveni: come ha tollerato/consentito tutto ciò l'Italia pre 482/99? Mi spiego: le relazioni italo-jugoslave sono state sempre piuttosto tese, posso immaginarmi che il governo romano non abbia accettato così a cuor leggero un' "ingerenza" jugoslava in un territorio (sia "fisico" che "metaforico") come le Valli e la lingua... interessante anche scoprire come la caduta della Jugoslavia abbia in realtà portato ad una presa di coscienza maggiore del nedisko... significa che in tempi di "guerra fredda" veramente la politica linguistica era in realtà ideologia politica, mentre a nessuno (dei "potenti") interessava veramente la lingua del popolo?

Sai darmi un spiegazione per la mancanza di attribuzione di fondi al lintver? chi decide della sostanza dei progetti per attribuire i finanziamenti?

Dici di non capire lo sloveno, e che questa tua "incompentenza" è condivisa dai tuoi valligiani... nel forum però vi sono opinioni diverse, la preghiera (=il catechismo) si dice essere sempre stato in sloveno, etc. Qual è la competenza slovena standard dei valligiani? Quanto sono diversi (morfologicamente? sintatticamente? fonologicamente? è chiara forse una differenza lessicale) il nedisko e lo sloveno standard? Leggo nel forum che è il modello "italiano-spagnolo", stessa matrice, comprensione in realtà possibile fino a un certo livello, chiara coscienza della diversità...

Sul discorso identitario sono ASSOLUTAMENTE d'accordo con te! Se addirittura a livello "italiano" si è finalmente capito che NON ESISTE uno standard (guarda lavori di sociolinguistica, si parla al massimo di "neostandard", varietà che presenta però ovunque coloriture locali), nelle lingue finora "minorizzate" si ricerca una assurda standardizzazione (nel caso del nedisko nella già presente norma slovena, nel caso del friulano in questa famigerata koiné...). Interessanti lavori sul "noi", gli "altri", "identità" e "altruità" lo mostrano con chiarezza: posso identificarmi solo in ciò che è mio, vicino, basilettale, non in varietà nuove che mi sono sconosciute.

Quanto la direttrice della scuola bilingue ti ha detto sul nedisko mi pare piuttosto idiota, se mi permetti: 1) da dove ha lei questa informazione? se tu lo parli, se la gente lo parla, non è affatto morto; 2) mi pare la solita posizione puristo-ideologica tipica (e di tradizione franco-italiana) degli insegnanti, che purtroppo tanti danni ha fatto...

Quanto è molto più importante, e quanto chiedo a te, è: la gente parla nedisko? i giovani lo parlano? e lo vogliono mantenere vivo?

Credo anch'io, da quanto mi dici, che Oj bozime sia "l'originale" e che la versione friulana sia derivata dalla vostra, le tue motivazioni mi paiono difficilmente confutabili. Interessante però che (anche?) musicalmente l'influsso sia stato più dall'attuale Slovenia...

Che ruolo aveva il commercio con il Friuli nell'economia delle Valli? Il commercio ambulante era praticato da molti (come i carnici cramars?)?

Sono parzialmente d'accordo con te sulle cause dell'assenza del nedisko nella chiesa (anche se posso dare solo un'opinione da fuori e senza molta cognizione della realtà concreta): Sono d'accordo che spetterebbe ai sacerdoti introdurlo, e ai fedeli volerlo, ma entrambi sottostanno a una politica liturgico-culturale fatta dalle autorità ecclesiastiche. E se queste non creano un clima favorevole all'espressione nelle propria lingua (o addirittura la combattono), fedeli e sacerdoti hanno poche possibilità di successo...

È vero che praticare una lingua è altro che leggerla solamente, dove manca tutta la sonorità (molti linguisti cognitivi - come il prof. Schulze - ritengono che una delle caratteristiche fondamentali per definire una lingua come tale sia il movimento dell'apparato articolatorio e della muscolatura toracico-orale - che mancano per esempio nella comunicazione [lingua] dei sordomuti, ma anche nell'attività di lettura silenziosa!), ma la lettura permette di mantenere un contatto con la lingua stessa e di non dimenticarla.

Mi dispiace che tu ti senta solo, pur con la consolazione e il sostegno della tua famiglia, ma non credo tu lo sia. O meglio: forse sei solo con le migliaia o milioni di altre persone al mondo che vogliono combattere con i mezzi della ragione per la vitalità della propria lingua. …………… Un caro saluto e a presto! Se bomo vìdli! (spero di esprimermi correttamente!) Luca P.S.: e potrei avere anche il file della grammatica che ancora non riesco ad aprire? Grazie!

L’amico ha scritto

Carissimo Luca,
cerco di risponderti capoverso per capoverso.
Probabilmente non mi sono spiegato bene: il danno che il friulano ha subito lo ha subito sicuramente anche il nedisko. Anzi per quanto riguarda le maestre qua la situazione era sicuramente peggiore, perché l'Istituto Magistrale di San Pietro ha sfornato migliaia di insegnanti, quasi tutte paladine dell'italiano. Ricordo nel mio paese natale le tre sorelle Mucig (ciononostante il loro cognome canti sloveno) più italiane dei romani di Roma. Volevo però affermare che la gente se ne infischiava, continuava imperterrita anche con la proibizione fascista a parlare il nedisko. Nel dopoguerra, invece, iniziò una fase completamente nuova, diversa. La gente (anziana) continuava a parlare nedisko, ma iniziò a imparare sempre più l'italiano e incominciò a parlare sempre meno in nedisko con i bambini. E' anche vero però che i bambini lo sentono il nedisko, inconsciamente lo imparano, per cui verso i trent'anni incominciano a parlarlo e più invecchiano più lo parlano.
Noi bambini, ai nostri tempi, fra di noi parlavamo solo nedisko.
Comunque, in merito alle proibizioni, queste sono continuate, sia pure larvatamente, fino agli anni ottanta e più. Io posso testimoniare che nella Scuola Media di San Pietro e di San Leonardo mi era proibito pronunciare in classe anche una sola parola in nedisko (sono stato anche ammonito sia pure solo verbalmente dal preside su segnalaziione di qualche genitore). Addirittura mi veniva proibito di parlare con i ragazzi anche personalmente in nedisko nell'ambito della scuola. Io però me ne infischiavo di questo e in pubblica riunione di collegio dei docenti dissi che era la Costituzione a permettermi di rivolgermi personalmenete alle persone come volevo. A un collegio dei docenti mi venne proibito di far partecipare il coro di ragazzi che avevo formato a scuola a un concerto di Natale solo perché sul manifesto che pubblicizzava il concerto era scritto anche in sloveno. Io dissi: "Va bene, aspettiamo tempi migliori." E il preside tra i colleghi frastornati rispose: "Bravo Specogna, adesso ho più stima di lei." Evidentemente non aveva colto la mia ironia.
E a una manifestazione con tanto di autorità politiche in una commemorazione di Garibaldi, quando il mio piccolo coro intonò un canto popolare delle Valli il preside (una femmina) di San Leonardo si alzò rumorosamente e con un'alterigia unica abbandonò la sala!
Erano però atteggiamenti che facevano sorridere, di gente ammuffita e irrancidita.
Poi si piombò nell'indifferenza. Che forse è peggiore di ogni proibizione.


Per quanto riguarda l'influenza dell'italiano sul nedisko, secondo me nonostante tanti strombazzamenti, è stata minima. E ci sono le motivazioni: la gente non parlava mai italiano, non sapeva parlare italiano, né sentiva parlare italiano se non eccezionalmente. Invece sentiva abbastanza parlare friulano e tanti se la cavavano anche a parlarlo. Infatti, come risulta anche dal vocabolario italiano-nedisko, alcune parole nediske derivano chiaramente dal friulano (almeno 150 risultano dal vocabolario) non dall'italiano. Ad esempio: pretìndit non deriva dall'italiano "pretendere" ma dal friulano "pretindi o pratindi"; anche in natisoniano i più anziani dicono "pratìndit". Voglio dire che l'italiano non ha "inquinato" il nedisko come tanti vorrebbero far credere. Nessuno ha sostituito parole nediske con parole italiane se non in via davvero eccezionale. Le parole "nuove" sono sicuramente derivate dall'italiano; es.: lavatrice, televisione, ecc. E non poteva essere diversamente, perché la gente usava le parole che conosceva e non andava sicuramente a guardare sul vocabolario sloveno (che nemmeno possedeva) cosa doveva usare.

Di intellettuali nelle Valli ce n'erano pochi. Anche quei pochi, non ho mai capito perché, si sentivano in dovere di scrivere tutto, comprese le loro poesie, in sloveno standard. Naturalmente parlo di scrittori del '900, quasi tutti conosciuti personalmente. Conoscevano lo sloveno standard perché l'avevano studiato o nelle scuole slovene o come autodidatti (mons. Trinco conosceva anche il russo, avendolo studiato come autodidatta). Gli autodidatti erano soprattutto preti, che avevano già avuto un'infarinatura nell'ora di lezione settimanale di sloveno nel ginnasio e nel liceo. Anch'io frequentai nel ginnasio uno o due anni di sloveno. Poi (nel 48 o 49) venne abolita anche quell'unica ora di lezione settimanale di sloveno probabilmente su pressioni del governo italiano (DC). Nel dopo guerra un sempre maggior numero di giovani iniziò a frequentare le scuole slovene di Gorizia o di Trieste e, in seguito, anche l'Università di Lubljana. Il direttore del Novi Matajur (una donna) ha studiato a Lubljana; la direttrice della scuola bilingue è triestina e si è laureata in lingue a Lubljana, ecc., ecc. Per forza loro capiscono tutto!

Per quanto riguarda documenti antichi in nedisko c'è ben poco e quello che c'è è sempre o quasi sempre scritto nel così detto "altonedisko" (non ho mai capito cosa volesse dire quel "alto"): la Via Crucis (stampata, che io posseggo) del parroco di San Andrea, il manoscritto di Castelmonte, un quaderno di ricette pubblicato sul nostro sito sotto RICETTE/Ricette di Vernasso; un manuale di medicina popolare, pubblicato in parte sul nostro sito in: STORIA/Personaggi/Stefano Gorenszach e poche altre cose. "Altonedisko" è sicuramente una bella invenzione di alcuni linguisti per definire lavori (intendiamoci lavori degnissimi, magari ne fossero tanti) di scrittori che scrivevano come potevano: metà in nedisko, metà in sloveno standard. Fin l'altro giorno c'era la convinzione (secondo me sicuramente in cattiva fede) che in nedisko non si poteva scrivere. Scrivere poi una grammatica o un vocabolario... da parte, fra l'altro, di un illetterato come me..., osare tradurre nedisko con "natisoniano"!!!
Da più o meno 10 o 15 anni si è iniziato a scrivere in nedisko. Però una parte, secondo la brutta tradizione, scrive metà in nedisko metà in sloveno standard. Solo una piccola parte, per presa di coscienza, si preoccupa di scrivere così come la gente parla, senza preoccuparsi assolutamente dello sloveno standard.
A me fa una grande rabbia leggere anche sui "nostri" giornali articoli che pretendono di essere scritti in nedisko e se ne infischiano anche delle regole più elementari del nedisko. Ad esempio: le finali in "m" anziché in "n", peggio ancora la vocale "i" delle desinenze dell'infinito, quando non esiste neppure come eccezione un verbo che in nedisko termini in "i". Infatti itì=andare non è eccezione, in quanto quella "ì" porta l'accento. Ma la regola generalizzata su tutto il territorio è talmente radicalizzata che molte persone anziane dicono addirittura "it" (con l'accento grave).
E' successo anche (e io lo ho ironizzato) che sul Novi Matajur il termine "besìeda" è stata scritta nei titoli "beseda", mentre "besieda" poteva andare nel corpo dell'articolo, dove evidentemente non dava fastidio. E si parlava di un convegno sul nedisko!
Potrebbe darsi che sia un... patito. Però, secondo me, bisogna dare "a Cesare quello che è di Cesare...".

Per quanto riguarda la preghiera la gente in famiglia pregava in nedisko con tante varianti da paese a paese per quanto riguarda il Padre nostro e l'Ave Maria, il Gloria Patri, l'Eterno riposo, Angelo di Dio, ecc. Le preghiere liturgiche fino al '76 erano d'obbligo in latino. I canti erano in nedisko (quelli nati in Benecija), naturalmente in sloveno più o meno standard quelli importati e naturalizzati nelle Valli. Le altre preghiere, quelle del catechismo per intenderci, erano in sloveno standard, perché così i sacerdoti le insegnavano e così erano scritte sul catechismo. Io ne ho uno: "Katolski katekizem za slovence videmske nadskofije", stampato a Gorizia nel 1928 (l'ultimo). Lo sloveno è standard con qualche concessione al natisoniano. La comprensione per me è abbastanza buona, conoscendo le preghiere in italiano o le domande e risposte catechistiche; abbastanza accessibile anche per le persone anziane, essendo il testo elementare; sono incomprensibili diversi termini, soprattutto quelli astratti. Un natisoniano però si accorge immediatamente che quella non è la sua lingua. Molto o del tutto incomprensibile era allora, quando veniva adoperato, quel catechismo per i bambini. Io non ho provato, perché, quando iniziai il catechismo, don Cramaro era stato obbligato ad adottare il catechismo italiano. Mio fratello, di 7 anni più giovane di me (1926), lo ha studiato. Comunque già allora diversi (e ci sono i documenti) lamentavano che i bambini non riuscivano a capire lo sloveno del catechismo.
Più difficile ancora è la comprensione del testo di devozione di mons. Trinco, dichiaratamente scritto per i nedižuc e a loro lasciato in testamento.
A proposito di mons. Trinco io conosco una sola poesia scritta in nedisko. Lo ho trovata per caso nella cantina della canonica di Vernasso in un cestino delle immondizie e la ho anche musicata per il coro. Tutte le parole sono in schietto nedisko (incredibile); vuol dire che si poteva scrivere anche in nedisko e mons. Trinco conosceva perfettamente il nedisko ma ha preferito scrivere le altre sue poesie in sloveno letterario.
Comunque quando si legge l'articolo di fondo di un giornale effettivamente non si capisce nulla; si può capire qualcosa rileggendo più volte e giocando sulla radice delle parole; ma spesso non c'è proprio verso di capire assolutamente nulla. Un fatto che forse non crederai, ma io ne ho testimonianza, perfino gli sloveni delle Valli di Caporetto-Tolmino, sia giovani sia anziani, non riescono a leggere i giornali. Domenica eravamo col mio coro a cantare a Trenta; io discorrevo tranquillamente con la gente di lassù, è vero che era un discorso familiare, però ci capivamo perfettamente. Penso che il problema sia il fatto che da anni a questa parte gli intellettuali sloveni hanno voluto eliminare tutte le parole di origine romanza sostituendole con termini nuovi, oppure tendono a una koinè che però mette tutti in difficoltà. Potrebbe anche darsi che io non capisca assolutamente il perché. Il fatto è che leggo, vorrei capire e non capisco, eppure conosco benissimo almeno ventimila termini natisoniani; non sono tanti ma, penso, sufficienti per la comprensione di una lingua.

Alla direttrice della scuola bilingue conviene dire che il nedisko è morto, così ha via libera il suo sloveno. Io non contesto la scuola bilingue, se mai come genitore manderei volentieri mio figlio in una scuola bilingue italiano-inglese e non perché l'inglese mi piaccia, ma perché purtroppo siamo inglese-dipendenti. Mio figlio deve scrivere in inglese i suoi articoli, nei convegni deve parlare inglese, ecc. Avesse frequentato una scuola così...
Il nedisko non è certamente morto. Vai anche nel covo dell'italianità (Tarcetta, Pulfero, San Leonardo) e sentirai parlare nedisko nelle strade, nelle osterie dalla stragrande maggioranza della gente. Io mi rivolgo sempre in nedisko parlando con la gente e ottengo sempre (o nella stragrande maggioranza dei casi) risposta in nedisko. Però, bisogna ammetterlo, con i figli non si parla più in nedisko, si parla italiano nella maggioranza delle famiglie. I bambini imparano e a una certa età iniziano a parlare. C'è un rifiuto psicologico da parte dei bambini: si vergognano a parlare nedisko ma anche sloveno da parte degli scolari della scuola bilingue. Come se parlare nedisko o sloveno fosse una vergogna, una menomazione. Ci sono state troppe polemiche, troppe chiusure, troppi muri contro muri. Forse è questo il maggior danno che i cosiddetti filoitaliani hanno fatto.

Non son sicurissimo su Oj bozime. In fondo anche il canto friulano aveva una funzione: dovrebbe, infatti, essere una ninna-nanna. Chi sa? E' bello però pensare a questo scambio, a questa osmosi che sa non solo di rispetto ma di amore reciproco.
Certo l'apertura culturale in genere era maggiore verso est, come quella commerciale per forza di cose era maggiore verso ovest.
Avevamo anche noi i nostri cramars; si chiamavano gùlari (commercianti ambulanti). La loro attenzione era però rivolta verso le regioni dell'est, anche quelle lontane. C'e un canto popolare nostro che parla di un gular che passeggia per le vie di Pest. Col Friuli gli scambi erano soprattutto di legna e di derrate alimentari; spesso veri e propri scambi: castagne-granoturco; mele-frumento, ecc.; anche in denaro però: burro, formaggio, ricotta, ecc.

Mons. Alfredo Battisti ha aperto la più ampia strada all'introduzione delle parlate locali nella liturgia. Bisogna riconoscerlo. Sono i parroci a non approfittare delle nuove libertà. Perché? Perché hanno maggiore peso decisionale nei consigli pastorali i (per essere sbrigativi) filoitaliani dei filosloveni. Quieta non movere! Per questo io dico che se i "filosloveni" vogliono la liturgia in sloveno si sveglino. Dipende (oggi) tutto da loro e solo da loro.

Sono perfettamente d'accordo con te riguardo alla lettura: io quando leggo muovo i muscoli della lingua, della gola, della bocca, ecc. Però solo se conosco perfettamente i fonemi che sto leggendo.
Ricordo che all'inizio mi piaceva molto parlare il friulano e mi vergognavo terribilmente a parlarlo perché sentivo che i miei fonemi non erano corretti. Ricordo in particolare la difficoltà di pronunciare la c dolce, che era completamente diversa dalla nostra c dolce. Dopo anni ho superato le difficoltà, ma ora mi ritrovo nella situazione di partenza: so che mi vergognerei a parlare friulano perché ormai non ho l'occasione di parlarlo da tanto. E solo per un fatto di fonemi.

Tu intendevi veramente "Se bomo vìdli", così genericamente o volevi dire "Se boma vìdla!"
E' vero però che generalmente si dice: Se bomo vìdli!
E allora dico anch'io:
Se bomo vidli!

giovedì 23 giugno 05

Luca ha scritto

Carissimo Nino, grazie mille per la tua risposta, per le preziose informazioni e spiegazioni e soprattutto per la pazienza con cui rispondi alle mie domande!
Grazie per la precisazione sul periodo del fascismo, evidentemente non avevo capito bene. E come immaginavo, i danni peggiori sono stati nel dopoguerra, con una generazione di insegnanti cresciuti nel fascismo e quivi formati, che hanno perpetuato una mentalità e un pensiero assolutamente nocivi e deleteri per le varietà diverse dall'italiano. E gli esempi che porti dalle tue esperienze nella scuola media di San Pietro e di San Leonardo sono illuminanti: proprio nella scuola, che gode di tanto "prestigio" e "potere" nella formazione di atteggiamenti e comportamenti, il fascismo e le sue orrende concezioni nazionaliste e nazionalizzanti hanno resistito più a lungo. Se poi il preside oltre che ignorante e velatamente razzista è anche così sordo da non capire l'evidente ironia delle tue parole, non c'è veramente speranza... e l'indifferenza di cui parli e che è sicuramente peggio delle proibizioni (che stimolano la reazione contraria), ma ne è anche evidente conseguenza. Peccato.
Grazie mille anche per le informazioni sulle influenze e i rapporti reciproci tra italiano, sloveno e friulano. Ed è anche interessante che il vocabolario neologico degli ultimi decenni (lavatrice, televisione, etc.) sia chiaramente italiano, il che dimostra come la lingua "tetto" sia stata l'italiano e il rapporto con lo sloveno di Lubiana non sia tale da rendere possibile prestiti e calchi da questo. Cioè non è punto di riferimento.
Strana e difficile da comprendere e spiegare in questo contesto resta la posizione degli intellettuali (e in particolare di mons. Trinco, se addirittura aveva cestinato l'unica sua composizione in nedisko conservata)...
Chiaro invece che i nuovi intellettuali, formati a Gorizia, Trieste e Lubiana abbiano lo sloveno letterario come riferimento, così come la cultura slovena "d'oltre confine". Ed è chiaro che se sono loro a rappresentare politicamente la minoranza slovena, le misure prese per questa vadano nella direzione dello sloveno letterario...
Grazie per le indicazioni sulle produzioni letterarie in nedisko! Quanto alla convinzione che nelle lingue minori, nelle varietà e nei dialetti non si possa scrivere, è un pregiudizio diffusissimo (e tanti dei miei informatori qui mi portano come "prova" del fatto che il friulano è una lingua proprio che esso venga scritto e che esistano delle grammatiche! Come se la descrizione del funzionamento di un sistema fosse l'unica prova tangibile del fiunzionamento stesso! Ogni varietà ha le sue regole, e ogni vaerità potrebbe essere descritta da una grammatica. Come ogni varietà può essere scritta, basta mettersi d'accordo sulla rappresentazione dei suoi suoni... e la scrittura non è che l'ultima realizzazione della lingue stessa - ma su questo tema torno dopo)
E se la gente scrive metà e metà non è sicuramente buono, ma già un primo passo. E la piccola minoranza che scrive così come si parla è fondamentale e va incoraggiata! Certamente un po' di confusione adesso è comprensibile, specialmente se questo accade in testi scritti da persone che hanno avuto una alfabetizzazione in sloveno letterario. È cognitivamente un'associazione automatica scrittura=sloveno di Lubiana, credo che spesso non vi sia né malafede né incuria. È comunque un passo importante che si scriva, possibilmente molto e su e di tutto. Ti faccio un esempio: io sto scrivendo il mio dottorato sulla conservazione o meno delle lingue alloglote in contesto migratorio, ovvero se, nel caso particolare, gli emigrati friulani che vivono in Baviera abbiano la possibilità e l'interesse di continuare a coltivare il friulano e l'italiano. Per raccogliere dati ho un questionario, redatto in versione italiana e friulana. E incredibilmente spesso i miei informatori, che con me parlano friulano e che numerosi scelgono la versione friulana del questionario, quando devono scivere qualcosa (e non solo mettere una crocetta), la scrivono in italiano, magari commentandola con me in friulano...
Malafede sarei portato più a vederla nel rapporto beseda nel titolo vs. besieda in corpo d'articolo del Novi Matajur...
Interessantissima l'informazione sulla preghiera! Certo che la liturgia era latina fino a tempi recenti, ma il fatto che esistessero versioni del Padre Nostro e di altre preghiere in diverse varietà nedisko mi pare molto importante. E interessantissimo sapere che i bambini non capivano il catechismo sloveno!
Curiosa la situazione dei giornali, se anche nel tolminese e caporettano non si capiscono... anche perché credo che se un processo di koinizzazione è sì spesso per molti aspetti spiazzante, in quanto non è nessuna varietà e le è tutte, in generale non porta all'incomprensibilità (anche se esagerazioni di reazione, come quella di eliminare il lessico romanzo - sono assai frequenti)... anche perché 20.000 parole sono di gran lunga molte di più di quante si utilizzano normalmente...
Non condivido la posizione sulla scuola bilingue italiano-inglese: l'inglese va sicuramente insegnato perché è imprescindibile nella nostra vita, ma il suo apprendimento può avvenire anche più tardi, come vera lingua straniera: l'importante è che il suo insegnamento sia di qualità. E che vi sia la possibilità di una maggiora attenzione alle vaerità locali mi pare fondamentale. Credo che l'idea più interessante sia quella che sta alla base delle scuole europee, o delle iniziative multilingue, anche se spesso la loro realizzazione lascia a desiderare.
Bello che i ragazzi scoprano, seppur in età più adulta, il nedisko, brutto che si vergognino a parlarlo... datti da fare, c'è bisogno di persone come te per superare questa fase!
Sono sicuro che in tempi a noi un po' meno vicini ci fosse un'osmosi molto maggiore tra le culture e le popolazioni che vivono sul territorio del Friuli, purtroppo il nazionalismo post-unitario ha distrutto molto, così come ha distrutto molto nei rapporti con i "vicini" (Austria in primis).
I gulari erano dei veri pionieri, come i "nostri" cramars... interessante anche questa evoluzione parallela... Sulla Chiesa non so cosa dire... se Battisti ha aperto nuove possibilità, è però anche chiaro che ci vorrà del tempo perché queste vengano capite e sfruttate veramente, e la Chiesa non è (sempre) famosa per la sua capacità d'innovazione e cambiamento...
Sai che sei veramente una persona interessantissima? Anche quanto dici sulla realizzazione dei fonemi friulani... sai che il tuo è un caso molto particolare? Che in realtà uno degli atteggiamenti che si registrano più spesso è l'attaccamento quasi morboso al sistema fonetico e fonologico della lingua madre anche quando si parla una lingua straniera (il famoso accento straniero), e che anzi il suo mantenimento è spesso sforzo e segno identitario? Ho avuto durante il mio master in didattica dell'italiano come lingua straniera un "feroce" dibattito con una collega romana che non voleva assolutamente rinunciare alla sua pronuncia romanizzante dello spagnolo, perché avrebbe vissuto questo abbandono come uno strappo con la sua identità? E si tu ûs, i podìn ancje fevelâ furlan! Allora: se boma vìdla! Luca

L’amico ha scritto

………. Carissimo Luca, ……….. Nel dopo guerra il danno è stato assai più grave che in Friuli, anzi è iniziato secondo me con la guerra di liberazione e continuato soprattuto nel dopoguerra. C'era di mezzo il comunismo con la Russia e la Jugoslavia. Anche il nedisko sapeva di Russia e di Jugoslavia. La nostra cara D.C. ha "operato" assai meglio del fascismo attraverso i suoi servizi segreti. Io so per esperienza personale che erano coinvolti anche preti delle Valli, filoitaliani e filosloveni anche a livello istituzionale. Noi eravamo merce di scambio. Potrei citare anche i nomi. Sono stati anni davvero bui. Tutti sapevano delle sovvenzioni iugoslave, lo Stato italiano era d'accordo, perchè la Jugoslavia sovvenzionava la minoranza slovena in Italia, l'Italia a sua volta sovvenzionava la minoranza italiana in Istria. Succede la stessa cosa ora, solo che gli aiuti vengono dati direttamente dagli stati interessati. L'Italia ha interesse a sovvenzionare la lingua slovena standard, se ne infischia della cultura o di ciò che la maggioranza della gente desidera, anche perchè questo le chiede la Slovenia. Il nedisko è fumo negli occhi. Tu pensi che non " vi sia né malafede né incuria". Io ho i miei dubbi. C'è la volontà di far diventare il nedisko un vero "dialetto", qualcosa che assomigli sempre più allo sloveno standard. Vorrei farti leggere gli articoli in "natisoniano" scritti dal direttore di DOM. Probabilmente lui non sa parlare nedisko perchè da ragazzo non lo parlava. Ma quando scrive in un certo modo adopera sempre il nostro "iato" (a proposito, se ci incontreremo come speriamo, vorrei discutere con te, che sei uno specialista, su questa particolarità del nedisko che è strana per molti aspetti) per affermare che scrive in nedisko (lo sloveno non usa assolutamente mai lo "iato"), ma nello stesso tempo aggiunge a tutti gli infiniti la sua bella "i", la "m" al posto della "n", introducendo anche termini dello sloveno standard anche quando esistono quelli nediski. Ho criticato molto un suo articolo, se hai tempo di leggere: NEDISKO/opinioni sul nedisko/"Po našem", "po našim" o piuttosto "po našin"!?
Devi scusarmi, invece, riguardo alla poesia del Trinco. Dovevo raccontarti meglio: ho trovato quel foglio nella canonica di Vernasso, nella stanza accanto dove facevamo le prove di canto col mio coro; qualcuno mettendo a posto ha eliminato quel foglio. Non certo mons. Trinco che in quel momento era già morto. Quel canto l'aveva dedicato alla cantoria di Vernasso. Mons. Trinco era una degnissima persona, culturalmente eccezionale, generosissimo (ricordo che in seminario noi benecjani andavamo a fargli gli auguri di compleanno e ci dava una cospicua somma di denaro ogni volta). L'unico suo torto non aver capito la bellezza della cultura popolare e in particolare della lingua del suo popolo. Lui era anche un politico (era consigliere provinciale) e la politica è cattiva consigliera.
Comunque il problema è che gli intellettuali sloveni della provincia di Udine si sono formati o a Gorizia o a Trieste o a Lubljana. Snobbano i loro "dialetti" che siano delle Valli del Natisone o del Cornappo o di Lusevera o di Camporosso ecc.


Tu non credi che c'è una differenza enorme fra le nostre “c” e quelle friulane. Per me pronunciare quella friulana è davvero difficile. Son dotato di un buon orecchio, anche se ora l'udito se ne sta andando. Insegnando al coro riesco senza nessuna difficoltà a seguire una per una le quattro voci. Forse per questo il mio diletto più grande era (ed è, quando mi capita) quello di ascoltare parlare in friulano specialmente le donne, ma le donne contadine, con quelle vocali molto aperte, schiette, intonate come un canto, come mi piace ascoltare le nostre vecchiette che invece sanno sfruttare al meglio l'abbondanza delle nostre consonanti.
No tu mi as dite di dulà che tu. Sei per caso di Rive d'Arcano?
Se bomo vidli... con mio figlio, mia moglie, la tua ragazza, ecc.


(da qui l’amico ha perso le e_mail, che son riprese dopo parecchi mesi con una allieva dottoranda del professore)
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