Radar sul Matajur

Nulla è chiaro.
Forse solo intenzioni...
Intanto si discute!
Ricordo la prima volta!
Siamo partiti in pochi ragazzi da Tarcetta.
Siamo scesi all'ìes di Perovizza, abbiamo attraversato la Nediža e da Brischis abbiamo iniziato a salire il Matajur per la bella mulattiera che da Domenis saliva a Kosaneja, a Tuomaz, alla chiesa.
Fin lì era tutto chiaro.
Eravamo stati più volte alla festa di San Luigi. A Tuomaz abbiamo dovuto chiedere:
"Kode se gre za iti gu Matajur?"
Ci hanno indicato un sentiero che da dietro la canonica saliva a Sturam.
Da Sturam saliva un sentiero ancora più bello verso l'alto.
Abbiamo incontrato gente che falciava.
"Al gresta gor na monte kalona?" (La frase divenne storica!)
"Ne, gremo go na Matajur."
"Ah, gu vas!"
"Ne, ne gu čimane."
"Ja ben, go na monte kalona."
Non ci capivamo.
Qualche anno dopo, quando ereditai i libri di mio cugino don Angelo, trovai il numero unico del Giornale di Udine in occasione dell'inaugurazione del monumento al Redentore sul Matajur.
Allora capii quel "kalona".
In seguito, giunto a Mersino, il termine divenne familiare, perchè anche a Mersino tutti dicevano:
"Gremo goh kalon!" Dalla finestra di casa mia si vedeva la cima del Matajur e proprio in cima si intravvedeva qualcosa di strano.
Avrebbe dovuto essere una chiesetta, secondo quanto avevo sentito dire, ma non assomigliava affatto a una chiesetta.
Così mi venne in testa di proporre agli amici di salire fin lassù per vedere cosa fosse.
Ecco perchè eravamo un gruppo di ragazzini che salivano per raggiungere la cima del Matajur. Ricordo la bellezza e la pulizia del sentiero (uglajena stazica!) che da Rodda saliva al paese di Matajur.
Attraversando il paese, passammo accanto alla canonica.
Proprio in quell'istante uscì don Pasquale col suo cane lupo.
"Kan bo?"
"Go na Matajur"
"Od kot sta?"
"Dos Tarčeta."
"Gren an jest go na Matajur. Če četà pridita za mano"
"Ja, ja. Mi na vemo za pot!" Non finiva di raccontarci.
Ci meravigliavamo della benevolenza che aveva verso di noi.
In seguito sapemmo che era nostro parrocchiano, essendo nato a Biacis.
Seguimmo un bellissimo sentiero che dal paese saliva verso Skrila.
Incontravamo gente in continuazione.
Lui si fermava a parlare, noi ci sedevamo volentieri su un sasso e aspettavamo per riprendere a salire.
Quando giungemmo alle rocce di Skrila, anzichè salire alla fonte, girammo sotto le rocce verso est, sulla destra.
I prati erano falciati; c'era un piccolo sentierino molto ripido, appena segnato.

"Sa van pokažen no posebno rieč."
Eravamo in luglio e faceva molto caldo.
Con nostra somma meraviglia vedemmo una specie di caverna, orientata stranamente da nord verso sud.
La caverna era piena di neve!
Quanto ci siamo divertiti!
Una grande soddisfazione emanava anche dal volto di don Pasquale.
Era soddisfatto per averci fatto una sorpresa così grande.
"Lietos niema čarve." Ci disse.
La neve coi vermi?!
Devo ammettere di aver dubitato della sua affermazione.

L'anno dopo siamo ritornati da soli.
La nostra capacità di orientarsi era eccezionale, perchè giravamo in continuazione per i boschi e per i torrenti.
Con nostra grande meraviglia, al limite del nevaio, dove la neve si stava sciogliendo, una gran quantità di bruchi bianchi quasi trasparenti e piuttosto grossi si dimenava in continuazione.
Don Pasquale aveva avuto ragione.
Ricordo che per tanti anni mi sono sempre recato in estate a visitare quella caverna.
Ricordo anche che di anno in anno era sempre più difficile arrivarci e poi un anno la delusione: la neve non c'era più.
Eppure don Pasquale aveva detto:
"Tel snieg se na astaje maj, ne po zime ne po liete!"

Abbiamo raggiunto Skrila.
Che acqua gelida!
Che bevuta!
Poi siamo saliti per il ghiaione fino alla strada militare e poi per i prati e le roccette.
Appena sopra il termine della strada militare trovammo le prime stelle alpine.
Ci insegnò naturalmente don Pasquale il luogo preciso.
E finalmente in cima svelato il mistero di quel qualcosa di strano che si vedeva dalla finestra di casa mia!
Era veramente una chiesetta, ma crollata.
Rimaneva solo un arco, probabilmente l'arco nella parete est del vecchio monumento al Redentore.
Verso sud si intravvedeva ancora un pezzo di parete e un po' di finestra. "Muormo se uarnit. Bo sila."
Ci sembrava un pretesto per scendere in fretta, perchè c'era il sole e la nostra voglia di rimanere lassù era grande.
Abbiamo iniziato a scendere per il crinale verso sud ovest.
Poco sotto la cima incontrammo un pastore (in seguito, da abitante di Mersino, seppi che era Loren Uogrinkinu).
Aveva costruito con qualche palo (a nord ovest crescono arbusti di ontano) e qualche frasca un riparo dal sole cocente.
Don Pasquale gli chiese:
"A si nafrajù počau?"
"Ja, ja; biešte gledat, je pun!"
Incredibile!
Quasi in cima, sopra l'attuale rifugio della Planiska Družina, c'era un bel laghetto.
Era naturalmente un laghetto artificiale, opera delle mani e dell'ingegno di Loren.
Ci siamo seduti accanto a specchiarci. "Ale, àle hitro!"
Il sole si era oscurato e si era alzato un gelido vento di burrasca.
Correvamo giù per i prati falciati.
"Hitite, Gaspuod, bo trieskalo!" - Gridò un pastore.
Proprio in quel momento un lampo improvviso e altrettanto improvviso un tuono assordante.
Le mucche al pascolo iniziarono a saltare impazzite.
Una di esse con la coda sollevata come una scopa correva impazzita proprio verso di noi.
Era ripido e non potevamo muoverci velocemente.
Stava per investirci.
Il lupo di don Pasquale corse verso la mucca e, quando le fu accanto, la schivò e poi le saltò sul fianco.
La mucca cambiò improvvisamente direzione.
Ci rifugiammo in un kazon e aspettammo la fine del temporale.
Ma che tuonate!

Nonostante queste il Matajur entrò nel nostro cuore.

Da mersinese, in seguito, imparai a conoscerlo palmo a palmo il "nostro" Matajur.
Salivamo a raccogliere i funghi fino alla malga Za Čela, quasi quotidianamente a osservare gli uccelli, a salire al paese Matajur, a benedire i kazoni delle malghe di Mersino.
I kazoni! Che belli!
Abbellivano l'ambiente, ne erano parte integrante.
Si discuteva perfino della costruzione di un "lattedotto".
Poi, invece, il declino. Sempre meno pastori.
Alla fine due soltanto, la nonna di Bevandi e Muhor Maškoviču.
Poi solo Muhor.
Infine l'abbandono.

Adesso le poche volte che salgo da Jerep al "monte Kalona" mi si stringe il cuore.
Non voglio nè dire, nè pensare perchè.

Al tutto ora si aggiunge la questione del radar.
Sembra che non si sappia come realmente stanno le cose. In attesa di chiarificazioni una riflessione la voglio fare.
La strada che da Savogna sale al rifugio Pelizzo è una strada comoda, anzi una strada super lusso, se la rapportiamo ad esempio alle strade per Rodda o per Mersino o per Zappatocco o per Spignon o per Pegliano.
Evidentemente i nostri politici ragionano a modo loro.
Io che di politica per fortuna non m'intendo, mi domando quante strade si potevano mettere a posto con i soldi spesi per la strada inutile che da Montemaggiore va al Rifugio Pelizzo, prima ancora di chiedermi se quella strada ha abbellito o deturpato il "nostro" Matajur.

Ma non è questa la riflessione che voglio fare, perchè altrimenti ne dovrei fare di parecchie simili.

La riflessione riguarda il radar ed è questa.
Se il radar deturperà l'ambiente nella misura con la quale lo deturpano le altre installazioni (e non serve elencarle, in quanto sono sotto gli occhi di tutti), con quali argomentazioni potremo tentare di impedire la sua realizzazione?
Non saremo forse sotto il tiro dell'aforismo evangelico:
"Chi è senza peccato, scagli la prima pietra?!"

Buog Matajur, kan te so parpravli!
An še ki bo!!!
Nino Specogna
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