Dino Menichini
Le poesie di Dino Menichini contenute in Pagine provinciali
La Panarie - Udine 1979
Approda bianca estate
Se accosto alla mia dolce boccarmonica
le labbra, nei fanciulli è un'allegria.
Alla musica occorrono buoni.
Io sono per tenermi compagnia.
Approda bianca estate
Approda bianca estate a questa riva,
il magro corpo affiora dalla polvere
del tempo che lo chiude antico mallo,
in una trasparenza di cristallo
emergi. L'alta frana si dissolve,
e l'acqua del torrente come in giugno
ricorre alle tue pugna, quasi senza
lambirti.
E resti viva.
Poesia
La vita ha i suoi perché:
se triste sono in cuore
una ragione c'è.
Nascondo in me un amore:
ma è come una finestra
che più non abbia
lumi, o come una
ginestra cui l'oro si consumi.
L'anima ho confessata
e ho strana gelosia:
non ti possiedo,
amata, non sei più solo mia.
Sapeste ora come
duole la mia ferita!
Tristezza ho senza nome.
Ha i suoi perché la vita.
Bugia
Un orologio scatta e la tribù
scompiglia in una triste meraviglia,
il passo scalzo più non piega l'erba,
nel bosco non insidiano la serpe
arco e saetta fatti di bambù.
Tutto è crollato a quello scatto. E tu?
Tu ritrovi te stessa nella pesta
che trattiene la sabbia e non sa piena
che la deturpi, soffio che la scrolli.
(Creatura, se felice ti fa questa
bugia, anche nel bene che ti volli.)
*
Affiderai pel tempo d'un tuo gioc
il mio nome alla sabbia lagunare?
Si compirà il miracolo nel fuoco
della memoria, quando la tua mano
incida gli anagrammi entro la traccia
del tuo cuore trafitto dalla spada.
Se delusa la mano ti ricada,
non cedere alla voglia che minaccia
le ciglia! Non dal tuo, da un altro cuore,
- obliate nel gioco - scenderanno
gocce di sangue: non fittizia doglia.
Preghiera
T'ho cercato, Signore: la tua pura
voce io ho cercato entro me stesso.
L'orgoglio m'abbagliò. Eccomi adesso
umiliato. Sono una creatura.
Dell'opera mi restano parole.
Ma al peccato, Signore, alla follia
dei miei sensi, indulgenza un giorno sia
il segreto tormento che mi duole.
Cugina
Vespa:
nuova lesta.
(
proverbio
)
Cugina, io non so quale dolcezza
blandisse il tuo giardino senza fiori
ormai (fasciava il passo dell'autunno
un àlito di morta primavera),
non so quale languore
scendesse sui viali senza traccia
(il nostro passo non sfiorò la ghiaia
tant'era lieve il cuore), non so quale
fuoco t'ardesse nella cava mano
il giorno dell'incontro.
Certo un abisso si colmò se il cuore
non avvertì distanza dal tuo cuore,
se in un profumo tènue di lavanda
che t'era nei capelli
io rivarcai confini e nostalgia
mi punse - dolce ancòra - di mia terra
e di mia casa, se nel riso breve
che sulle labbra accende la matita
io rigustai sapore
di chicchi d'un'acerba melagrana.
Mutata: - véla l'ombra d'un pudore
lo squillo della voce fatta grave,
segue un amaro che non sai, cugina,
la curva del tuo seno.
Tutto si compie come fu prescritto.
Mai non si violò
la legge che ti fece di bambina
fanciulla e donna; che mutò il sorriso
in cenno di diniego.
Ma nel cuore
strenua resiste l'eco della prima
voce, la visione della prima
imagine di te. Quasi un segreto
- un'attesa librata come il filo
che la morte dipana sugli abissi -
ci rende unico fiore di due rami.
Ricordi? era l'autunno, il mite autunno
che ama la mia anima. Nel sole
languiva un raggio che settembre nega
talora ai propri giorni.
E l'acqua della piccola fontana
ch'è a mezzo del giardino
aveva una sua voce che non sanno
le nostre labbra; e il putto che la versa
tremava nel riflesso e rincorreva,
negandosi nel gioco, i pesci rossi,
e l'edera che veste la fontana
rabbrividiva tutta ad una goccia
e al volo d'una vespa.
Attenderemo (sai non tarderà)
la " nuova lesta " che ci fu promessa
nel giorno di settembre, al nostro incontro.
(1940) Ed. 1944
Ho perduto i compagni
Bombardamento all'alba
La sirena ha gridato gli aeroplani,
già nel cerchio dell'alba si disegna
lo stormo distruttore:
trema ai vetri
il nuovo giorno a morte della luna.
Rabbrividisce il cuore al palpebrare
della luce, - e irrequieta dentro il giro
che sorvola i bersagli e spinge in ressa
folle oscure alle porte dei rifugi
sarabanda la tua, la mia sorte.
Ci salvi la pietà, il gesto amico
che cerca la tua mano, la parola
di conforto che tento... Anche la morte
può tradirci,
-la bomba è già caduta.
Ne attendi un'altra, e l'altra, e il tuono, il bàttere
del sangue nello schianto delle case
sconvolte, il grido lungo che percorre
le vòlte del rifugio... Anche la morte
può tardare, se vuole...
Tu guardavi,
bambina ancora, in cielo gli aeroplani
con dolci gli occhi, più leggero il cuore
nelle braccia levate a salutare
l'uccello fragoroso...
Gli apparecchi
oggi insistono cupi dagli imbocchi
dei ricoveri colmi, - oggi ai tuoi occhi
che una lacrima offende si ripete
lo sguardo d'innocenza e di terrore
del bimbo in cui ti specchi.
Ho perduto i compagni
La città bombardata ora ha il volto
delle sue donne morte nelle vie.
Altre donne in gramaglie lente vanno,
i loro gesti suonano parole.
Tu, pallida ai capelli dove i baci
perdevano sapore di peccato,
stupisci della quiete che t'assolve,
dal limbo che ti smèmora riascolti
la tua voce nell'aria fatta il grido
delle cose tradite cui prestammo
innocenza di nomi.
Una bilancia
è ancora intatta, l'ago non oscilla,
il piatto è fermo, la misura è colma,
un Cristo guarda. Netto sul rottame
d'una campana è inciso " miserere ".
Tu nemmeno hai pietà se la tua voce
m 'assorda i giorni e mi devasta il sangue.
Ho perduto i compagni ad uno ad uno,
la mia vita è una somma di memorie
aperta al tempo...
Lacrime e sangue
Fredda la pioggia frusta le macerie
nella sera che cresce e accende lumi
sùbito occulti al grido delle ronde
per la città, in echi muore il passo
degli uomini alle strade popolate
dal vento.
E nulla muta. Si ripete
tutto in un solo cerchio che conclude
entro stupite frane di silenzio
lacrime e sangue, offesa, cupo orrore,
corse ansimate e irosi spari a notte
da pattuglie remote, lunghe grida
dietro l'urlo dei cani sguinzagliati.
Cerchiamo se del cerchio che ci chiude
ci baleni l'errore che non giunge
gli estremi della curva, il punto fratto:
Forse la vita è qui, contro il tuo cuore,
nella forza del sangue che ti batte
al poiso e scande il tempo all'orologio
che lo cinge,
- o nel filo d'erba nuova
che preme tra le mura screpolate.
San Silvestro 1943
La città che abitai non mi rassegna
che ostili morti e freddo sangue in grumi
nelle piazze deserte:
oscuro sangue
amaro nella gola quando il vento
batte spietato ai muri calcinati
e impietra in rari gesti le parole.
Di quanto amai, di quanto mi fu sole
alla vita, qui resiste unica insegna
un'imposta che pazza ruota in càrdini
malcerti, un mite fuoco semispento
che aduna in ferma ressa tre soldati.
La strada s'è allargata alle sue case
sconvolte, braccia mozze a confortare
d'un uguale destino i dolci morti
riversi nella polvere; - ma iroso
scoppia uno zolfanello, frigge in fretta
in mano d'un superstite:
è raccolta
la palma al labbro a simulare un flauto.
Brucia la notte l'acre sigaretta,
- e già l'ànno è trascorso ai passo cauto
dell'uomo oltre la svolta
Ma voce più non suona dalle baite
Qui dove il cielo è azzurro, fermo al tetto
d'ardesia delle bàite e gli oleandri
sfioriscono nei vasi crivellati
da raffiche notturne di mitraglia,
le pattuglie rinnovano il mattino
a colpi di moschetto: - s'apre 'a volo
il falco e turba l'aria, nel suo grido
la vita si ridesta 'e il sole è alto.
Ma voce più non suona dalle bàite
deserte, il grido tonfa nelle stanze,
le porte chiuse mostrano gli squarci
del calcio dei fucili: alle finestre
l'ansia del cuore è acuta nelle scaglie
dei vetri frantumati.
Qui resiste
solo il ragno paziente che dipana
il filo della tela, la formica
veloce nella polvere, la scritta
raschiata da uno stipite,
- e nell'orto
un fiore rosso: un rivolo di sangue.
Lo dici tuo alla stilla che ne spiccia
dal dito per la spina della rosa
raccolta nelle aiuole devastate,
- e la bugia t'assolve dall'orrore
della morte, sei salva... Con un soffio
" l'ultima rosa " dici,
- e la deponi,
perché altre fioriscano, ove cadde
di schianto il partigiano fucilato.
Dicembre 1944
Il tuo volto mi duole
coi passi della neve dentro i lumi
remoti della notte che s'azzurra
amorosa al presagio della luna,
triste mi cresce voglia di parole.
Se lentissima palpebra un'imposta,
passi e lume si spengono nel grido
d'allarme delle ronde cui nessuna
voce fa eco dalla chiarità.
La tua vita è già salva alla medaglia
cui s'affida: la notte se ne illumina,
e sedata è l'attesa, l'ansietà.
Poi è il colpo di sfida, poi la sosta,
e l'ira del mortaio, la mitraglia,
il lagno dei feriti,
- e il tuo respiro
nell'ombra: un filo bianco di pietà.
Capodanno 1945
Tu dici nel tuo cuore il capodanno
questa nebbia che nasce alle colline
con il grido dei galli consueto:
Ancora una vicenda di stagioni
è bruciata col fuoco sulle mura
delle città, coi colpi di moschetto
sui monti della patria e nelle strade,
col pianto della madre per i figli
perduti alle sue braccia ma che a sera
raccoglie in cari atti alla memoria
la fervida corona del rosario.
Come quel fuoco rossa, - o il sangue -' a sommo
della frana che ingorga oggi e domani,
è impressa questa data al calendario:
Siamo tutti, Signore, circoncisi
nel nostro sangue oggi che il dolore
non riscatta la vita e l'unghia è dolce
solo se fonda ai fori delle piaghe,
e lo zoccolò ostile dei cavalli
cosacchi preme forte sopra il cuore
dei nostri morti accolti in serva terra.
Dove sei, prigioniera alla memoria?
Questo sole d'autunno che accartoccia
con un suono dolcissimo le foglie
ai tigli del viale, questo vento
che rapido le investe e le rapina,
quest'armonica stridula a una stanza,
ombre leggere che muove contro i vetri,
- tutto questo è reale, un segno certo,
concluso della vita...
Oh, reale
è anche il tuo singhiozzo che s'affila
nelle pause del vento, anche il tuo pianto,
la tua bianca figura incisa al vano
della porta abbattuta, il grido acuto,
il tuo grido più alto delle risa
dei cosacchi ubriachi, il crepitìo
vermiglio dell'incendio che travolse
muri e ricordi, lacrime e speranze,
e fu polvere cieca, e fumo, e cenere,
lamento al roseo corno della luna.
Ora il solè d'autunno è alle finestre
delle case distrutte, - e non ti sporgi
ai vetri che schiudevano canzoni,
il mite volto illuminato al fuoco
d'un fiore di geranio tra i capelli.
Dove sei, prigioniera alla memoria?
La tua voce è remota, dentro il vento
che la mòdula triste,
- o nella foglia
che scricchia al ramo, trema, scrolla giù.
Partigiano ferito
Ricordo il partigiano sulla strada
che tra pruni ove raro rompe il bosso
declina al Natisone,
procedere a fatica, - un suo bastone
in mano e intorno al collo il fazzoletto
rosso.
Salutò col pugno chiuso:
" Morte, disse, al fascismo e libertà
ai popoli ",
- e nel cielo il mite aspetto
dei monti scolorò, presto soffuso
del pàllido barlume d'una quiete
promessa nel suo gesto a quella mano.
Allora il partigiano scese al fiume
e bevve: ma lo sguardo era lontano,
specchiata alle pupille un'altra sete.
Speranza
Le distrutte città cantano in cuore
con la voce dei morti nella luce
che li ricorda, aureola al loro capo
deluso di carezze:
finge mani
scheletrite nel cielo la rovina
delle case del mondo, e vita ancora
è ai morti un triste vento tra i capelli.
Ma forse basta un gesto, una parola
di pietà o di conforto in un paese
che squillano campane, basta un uomo
che avverta al giro breve del suo pugno
esatta la misura del suo cuore,
perché ancora la piega delle labbra
si distenda nel canto, perché il fuoco
balùgini alle ceneri e ravvivi
i tizzi spenti
(cara, la mia vita
può avere solo il ritmo del tuo sangue):
A Codroipo, stasera, sotto il vischio
di capodanno, il cuore ha le sue risa
nel tuo sguardo dolcissimo che accoglie
la clemenza del cielo, si compone
l'odio e il perdono in fiore di speranza
entro il cerchio amoroso del tuo braccio.
Dolci morti
XI Agosto
Il tuo grido è nel fischio del trenino
alla cava di pietra. Cade l'anno,
improvvisa ritorni. Fra le antiche
erbe, carrelli abbandonati sanno
un nido di formiche.
Pensavi che il destino
gettasse parallelo ai nostri giorni
per sicuro cammino un suo binario:
sola croce ti è il segno di matita
che fissa questa data al calendario.
La rissa che ora plachi sarà pegno
d'una conclusa guerra:
la mia terra si tocca col tuo cielo.
Dalla tua cara bocca
una voce stasera scende zitta
a dolermi.
La mia vita è una sconfitta
ad ogni anniversario.
Ai tuoi giorni bambina
Ai tuoi giorni bambina, a me già donna,
sei passata quaggiù schiva di sguardi,
con innocenti giuochi: era una lucciola
il lume che recavi alla brughiera,
il tuo vestito bianco i tuoi commiati.
Grave di mosti ottobre persuase
al sonno i grandi occhi che chiudemmo
(nell'iride gl'intatti desidèri).
Ora ottobre si fa pallido ai clivi,
l'autunno piega docili a canzoni
le labbra dei soldati;
- e forse tuo
lamento è nella foglia che si stacca,
premi forte la terra
al corno che sollecita le cacce.
Sempre ch'io guardi il cielo
Sempre ch'io guardi il cielo,
mi torna con il pàlpito sepolto
del tuo cuore la tua voce dentro l'aria
ai fiori del cotogno che sfarina
non questa mattutina ma altra brezza.
(Se tento una carezza sul tuo volto,
tra le dita mi resta lo sfacelo
dei miei giorni, una vita già precaria).
Negli sterpi percossi dalla folgore
fingevi le tue serpi, innocua insidia
al piede scalzo lesto lungo i fossi.
La biscia non schivasti quella sera
che un dolce vento dilatava il prato:
sospirosa varcasti la frontiera
del limbo che mi fa diseredato.
Eri una mongolfiera
aperta dal tuo fiato.
La civetta ha gridato ferma al tetto
Ai tuoi occhi, bambino,
è bastata una bolla di sapone
a comporre la grazia della vita:
a dilatarla troppo breve fiato
misuravi nel petto
perché non si sfacesse alle tue dita.
La civetta ha gridato ferma al tetto
della tua casa:
il vento del mattino
sfiora basso la terra, alza la pesta
del piede che la corse, ora che il gallo
più non ti desta.
Sulla fronte delusa la ferita
Lorenzo, amico morto, a me s'affida
la tua memoria al volto del fanciullo
cui la mano fa schermo contro il sole,
il suo gesto nell'aria così vivo.
Io ricordo la volta che seguivo
la pista del compagno cacciatore
di grilli, in uno scrollo di corimbi
sedata la rivolta del tuo sangue.
Sulla fronte delusa la ferita
bruciava, vi premevi le tue dita
a una vana difesa; - poi fu calma
negli occhi.
Ti guardavi nella palma
a rintracciarvi il filo della vita.
Epigrafe alla nonna
La mia vita da tutte le sue strade
confluiva alla riga del tuo capo:
la mia rosa dei venti era il tuo gesto
che apriva l'aria al segno della croce
e fermava il Maligno sulla porta,
riscattava i tuoi figli dalla morte.
Se io lo ripetevo, anche il mio piede
era salvo dal morso del serpente:
il suo dente era innocuo di veleni,
inerti al tuo tallone le sue spire.
Come allora il tuo passo mi risuona
al fianco, e se ne ritma il mio respiro.
Dino Menichini
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