CIVIDALE
La regione della Slavia italiana, secondo l'autore, ha la figura di un triangolo irregolare il cui centro è Cividale, che vanta una storia importantissima.
L' orizzonte si allarga.
Tema principale di questo studio è il distretto di S. Pietro, e solo per incidenza parlai di qualche limitrofa villa, ma ai fianchi ed oltre di quello si distende ancora la Slavia, sempre su terra italiana.
Nel distretto di Cividale sono slavi i monti dei comuni di Prepotto, Torreano, Faedis ed Attimis.
Egualmente nel distretto di Tarcento i comuni di Nimis, Ciseriis, Lusevera e Platischis.
Da ultimo nel distretto di Moggio i comuni di Resia e Resiuta.
Questi comuni, cogli otto del distretto di S. Pietro, sarebbero diciotto con circa 40.000 abitatori Slavi.
Ora coll'occhio sulla carta geografica mi basta rilevare all'ingrosso, che le montagne a settentrione ed oriente di Cividale costituiscono la Slavia italiana, e che al di là continua la Slavia austriaca.
Rilevo ancora che la pianura friulana del territorio di detta città confina a ponente col fiume Torre ed a mezzogiorno e levante col circolo di Gorizia.
Rimarco finalmente che tutta la regione così conterminata ha la figura di un triangolo irregolare il cui centro più distinto è Cividale.
Ecco le ragioni per cui questa città, in onta che ordinariamente ristretta, vanta una storia importantissima ecclesiastica ed internazionale, le cui faccette più caratteristiche e rispondenti all'obbiettivo di questo libro presenterò al lettore.
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Sotto il volto della torre di S. Pietro in Cividale è murata una lapide ebraica dell'anno 604 avanti 1'era volgare, ossia quattordici anni prima della distruzione di Gerusalemme. In questa lapide Cividale è chiamata
Città di Dio
ed è indicata siccome stanza degli Ebrei ivi rifugiati.
Un latifondo presso Cividale si chiama tuttora Giudaica ed era il cimitero degli ebrei. (Zancarolo Antiq. Civ. Forijul.)
Ciò premesso, entro in periodi storici meno nebulosi.
CITTÀ ROMANA
Il Console Marco Claudio, 180 anni avanti Cristo,
invito Senatu
, distrusse questa città, che Plinio chiama perciò
deletum oppidum ad XII lapidem ab Aquileja
. (Libro III, cap. XIX), onde se ne induce che fin d'allora era un luogo fortificato.
Giulio Cesare, riedificandola, la elevava all'onore di colonia di confine e da lui assunse il nome di
Forum julii colonia
, che poi si applicò a tutto il Friuli. (Tolomeo, Lib. III della sua Geografia).
Questa colonia era ascritta alla tribù Scapzia e, come risulta dalle lapidi del R. Museo cividalese, contava tutte le principali magistrature che erano in Roma: i Quadrumviri, il Collegio dei Pontefici, i Seviri, gli Angustali e il diritto di dare il Cavalierato romano.
Allora Forogiulio, sparsa come un campo trincierato, raggiunse forse la massima sua estensione, e lo dimotrerebbero le reliquie di templi, monumenti e terrapieni scoverti nel suo circondano ed illustrati dal sullodato canonico della Torre.
CITTÀ LONGOBARDA
Trovatala quasi distrutta da Attila, Alboino la creò castello di difesa, onde Paolo Diacono la dice
Castellum Civitatis
, e la fece sede del primo ducato eretto da lui in Italia, nominandovi titolare lo stesso suo nipote Gisulfo, il quale non accettò, se prima non gli fu concesso che rimanessero "ad abitare seco le principali prosapie dei Longobardi da esso desiderate." (Paolo Diacono, Lib. II, cap. IX.)
Da queste prosapie forse ebbe origine la maggior parte della nobiltà friulana.
Tutti i duchi longobardi del Friuli risiedettero a Cividale, ed ebbero anche i natali in questa città Luitprando, Ratchisio e Grimoaldo, che divennero re di quella nazione.
Il ducato allora comprendeva, nella pianura, il territorio dalla Livenza all'Isonzo e dal monte Croce in Carnia al1'Adriatico, e nei monti, parte della Carintia, piegando verso 1'Adriatico fino al Medalino, monte dell'Istria.
Insigni monumenti di questo periodo conserva Cividale, fra cui: il Tempietto, già delubro pagano, forse il modello più completo e meglio conservato dell'arte longobarda in Italia; il battistero per immersione, del magnifico duomo;
1'altare del duca Pemmone nella chiesa di S. Martino; finalmente il Codice della storia dei Longobardi di Paolo Diacono.
CITTÀ FRANCA
Carlomagno la eresse all'onore di Marchesato (
markt
confine) e ne diede la ragione, perchè "Erat limitanea regio Pannomiae scilicet et
Slaviae
contermina." (Ex monumentis Eccl. Aq. Col. 364.) D'allora in poi risiedettero a Cividale tutti i marchesi e conti franchi succedutisi nel Friuli.
Lo stesso Carlomagno vi trovò Paolino, allievo di Flaviano, che insegnava Grammatica (la prima di queste scuole nominata nel medio evo in Italia), e lo creò patriarca d'Aquileja.
Il cronista Macheropio narra di aver veduto nella chiesetta di S. Pantaleone, sopra 1'omonima collina presso Cividale, un affresco che raffigurava il santo patriarca in atto di benedire le sottoposte truppe di Enrico I°, marchese del Friuli, prima che queste marciassero in Pannonia contro gli Avari (795).
Nell'anno successivo s. Paolino indisse un Concilio in Cividale.
Durante il reggimento del conte Enrico II°, 1'imperatore Lotario concesse a questa città il diritto di aprire una specie di Università (837) cui dovevano accorrere gli scolari del Friuli, dell'Istria e di altre provincie. (Muratori, de rer. ital., p. u, p. 151).
Berengario, fratello di detto Enrico, gli subentrò nel governo della Marca (878) e risiedette alcun tempo in Cividale, finchè gli avvenimenti gli prepararono la strada al trono dell'impero (912).
Con lui si eclissa il regime puramente secolare del Friuli.
CITTÀ PATRIARCALE
Dopo la distruzione di Aquileja il patriarca Calisto trasportò in Cividale la sede del patriarcato (737).
A somiglianza del pontificato romano, il Patriarca di Aquileja sviluppa e presenta in Cividale 1'accoppiamento dei due poteri, che egli esercitava (per parlar solo degli esteri) su territori di Gorizia, Trieste, Istria, Carinzia, Carniola, Stiria e perfino nelle Pannonie.
Tuttora in memoria ditale doppio dominio, nel duomo di questa città, durante la messa dell'Epifania, il Diacono, con elmo piumato in testa e la spada nuda in mano, canta 1'Evangelo in modo diverso dal consueto, e poi colla stessa spada saluta il popolo, mentre 1'Arcidiacono recita i nomi di tutti i patriarchi già residenti a Cividale.
Bricciole e tradizioni di questo sterminato potere dovevano passare nel Capitolo dell'insigne Collegiata cividalese, nella Comunità e nelle nobili famiglie cittadine.
Il Capitolo (proclamato
insigne, antico e famoso
da dieci Papi e preservato dalla soppressione nel 3 maggio 1810) pare esistesse sotto il nome di Collegio Canonicale nel 731, essendo duca Ratchis che lo dotava di amplissimi poderi (Nicoletti nella Raccolta Guerra).
Il Patriarca Gerardo (1128) gli concesse il diritto di tenere placito sinodale o quasi vescovile su molti territori e parrocchie, compreso 1'Arcidiaconato di Tolmino. Perciò il Capitolo mandava propri rappresentanti alle Diete di Gorizia e di Gradisca.
Contò fra i suoi canonici quattro cardinali, nove Patriarchi d' Aquileja, tre Arcivescovi e trentadue Vescovi.
Ma il suo massimo vanto, almeno a mio avviso, è quello d'aver custodite le migliori tradizioni della musica sacra. L'ambiente propizio dell'antica
città di Dio
, riti, messale e breviario particolari fino allo scorcio del secolo decimosesto, e la pompa delle cerimonie patriarcali, concorsero a produrre: preziosissimi Documenti neumatici; un coro modello, rigorosamente disciplinato dal
Maestro di Coro
, dal Canonico Scolastico, dal Maestro di Cerimonie, e da quello di Musica; una serie egregia di maestri di cappella, che ebbe testè un vero genio in mons. Jacopo Tomadini, il quale nella tonalità antica e moderna compose musica sacra di tal valore che, a giudizio dell'eminente critico prof. Biaggi, mandato dal R. Ministero ad esaminarla, 1'uguale non fu scritta da due secoli in qua.
Alla Comunità di Cividale il Patriarca Marquardo (1366?) cedeva i propri diritti giurisdizionali nei distretti di Tolmino (De Rub. Mon. Eccl. Aq. e. 98. n. v.)
Ad istanza del patriarca Nicolò di Lussemburgo, l'imperatore Carlo IV, fratello di lui, sotto la data 3 agosto 1353, accordava alla città la quale "omni vectigalium fertilitate exhuberat, et aeris amenitate laetatur, ad studium quoque dedita...... studium generale" che doveva servire agli scolari "A1emaniae, Ungariae, Slavoniae, atque Italiae, quodque.... facilius et securius ac minori expensarum profluvio quam ad partes ulteriores Lombardiae possunt accedere." (Dal Libro d' oro.)
Per citare una sola fra le più benemerite famiglie cividalesi, i De Portis contano: un Eberardo, eletto nell'anno 836 duca e conte del Friuli dall'imperatore Lotario; un Mainardo, nominato nel 1335 dal patriarca Volfero duca di Carintia; Volrico ed Ulvino, vescovi di Trieste morti negli anni 1269 e 1340; Enrico, patriarca d'Aquileja nel 1344; Filippo, nel 1310 eletto podestà di Trieste e nel 1313 marchese d'Istria; Ulvino sopradetto, nominato arbitro dal Doge di Venezia e dal Patriarca per loro controversie su territori dell'Istria; Utussio, mandato li 15 maggio 1309 a stringer pace con Enrico conte di Gorizia; Nicolò, nel 27 giugno 1398 scelto dal patriarca Antonio quale arbitro per sue differenze insorte sul territorio di Tolmino col vescovo di Brixen in Tirolo, ecc. Rodolfo, nel 1371 ambasciatore presso il Pontefice per trattare gl'interessi dei Fiorentini rifuggitisi nel Friuli. (Dalle pergamene di casa de Portis.)
Questa medesima famiglia aveva avuti in feudo dai conti di Gorizia i castelli di Trussio, Mossa, Cosbano e Nosna, dai patriarchi di Aquileja quelli di Duino presso Trieste e di Castelvenere e di Pietrapelosa in Istria ed altri dai vescovi di Bamberga e di Salisburgo. (Manzano, Annali del Friuli, vol. XI, pag. 210.)
Ma il patriarca Bertoldo aveva trasportato di fatto la residenza del patriarcato nel castello di Udine (1230). Il patriarca Bertrando accennava a compiere 1'opera col favorire in tutti i modi la nuova capitale a scapito della vecchia. Ciò diede origine ad una lotta, che costituisce 1'episodio forse più interessante della storia del Friuli.
Ecco tre documenti.
Sub Anno 1346. Indictione 14. Die Jovis. 19 Octobris.
Actum in Civitate Austrim Aquilejensis Diaecesis. Praesentibus Hon, subradictis, Dominus Jacobus qm Uvani Vice Gastaldio, Consiliarii, et Comunne Civitatensis. Ad sonum campanae more solito fecerunt et constituerunt suum et aliorum comunis Nobilem militem Dominum Philippum de-Portis ibidem psentem syndacum et Procuratorem ad interponendam quandam apellationem ad Dominum nostrum Papam et sedem Apostolicam contro processus et sententias excomunicationis et interdicti factas per Dominum Bertrandum Patriarcham Aquilejensem contra homines, et contra terram Civitatis predictae ad substituendam et contrahendam per communi et presenti guerra inter nos et commune Utini, et obbligandum homines et bona homnum et Communis Civitatis, et faciendas venire gentes et mirandam vanitatem. Cum omni melioramento.
Ego Marcus Antonius Nicolettus Civis et Not. Coli. Civ. F. J. ex notis olim Dni Stepani Notari mihi comissis fideliter aliena manu pubblicavi rogatus et in fidem me subscripsi. Die 5. jul. 1581.
Egregiis Nobiiisque Viris Dnis Provisoribus, ac Deputatis Civitatis Austriae vicinis et Majoribus honorandis.
Nobiles Mayoresque Domini, Noveritis quod per precessum Turse (?) per quam vobis plene scripsimus, fuimus iterato ad presentiam summi Pontificis, qui nobis ut supra respondidit, prout alia nobilitatibus vestris plene intimavimus. Cui namque Dno nro PP. diximus in hac forma:
Pater beatissime, sanctitati vestrae sit notum quot semper Civitas vestra Civitatis Austriae est et fuit fidelissima Ecc1esiae Sanctae Dei, et per consequens Ecclesiae Aquilegiensi etc. etc. Et propterea Pater Sancte devotissime suplicamus sanctitati vestrae ut nos habeatis misericorditer recomissos nobis fidelissimis vestris dando materiam ut in eadem fidelitate debeamus permanere, quibus verbis sic narratis Dominus ipse noster Papa habuit in forma respondere, et quare in fidelitate non debetis permanere? respondimus namque quod Dnus Patriarcha petebat a nobis ex odio et dolo etc. Dnus Franciscus de Sbrogliavacca (
nobile friulano
) valde amicus noster dicere habuit. Pater Beatissime haec sunt verba valde minatoria, cui respondimus, sunt verba narrativa et demonstrativa sanctissime Dno nostre Papae etc.
Hiis auditis nobis dixit debetis - quod hoc non facio intuitu denariorum in quibus mihi tenetur Patriarcha sed ulterius volo deliberare, et vobis respondebo, sic stetimus usque ad presens. Interim venit novum de unione fienda Ecclesiae Sanctae Dei de loco accepto scilicet in Saona propre Genuam cum Capitulis quos per presentem mittimus nuncium solecitavimus pro posse atque sollecitabimus in futurum dante Domino. Valete felicìter ut optatis.
Dat. Rome die VIII. Maij (
manca l'anno che probabilmente fu il 1347
).
Nicolaus (Philippus?) de Portis de Cive Au.
Virgilius de Virgiliis de Cive Au.
Vestri cives cum Recomandatione premissa.
Particula sumpta ex gravaminibus productis per Conradum qm Dni Petri Fondani de Civitate Austriae Aquilejensis Diocesis Cancellarium Ecclesae Civitatensis, et Plebanum Quadrubii contra Rev. D. Bertrandum Patriarcham Aquilejensem anno MCCCXLVIII Inditione Prima die XX octobris.
Item ipse D. Patriarcha est excomunicatus per costitutionem Provincialem pro eo, quod dedit D. Federico de Savorgnano et permisit fieri Castrum in Quadrubrio ubi est Cymiterium, et Curtim Plebis meae S. Marinae, ex quo castro multi sunt homines vulnerati, mortui et interfecti, et tota Patria fuit, et est in penuria, culpa et negligentia ipsius D. Patriarchae.
Ego Marcus Antonius Nicolettus civis, et vice Cancellarius Civitatis Forijulii, ex notis olim D. Stephani notarii Civitatensis mihi comnis fideliter aliena manu suprascriptas duas particulas educere feci, meque infide cum usitatu signo conscripsi. - S. N.
Queste rappresaglie dovevano finire in una catastrofe.
Nel palazzo-castello de Portis in Cividale si unirono i congiurati, e capitanati dal Conte di Gorizia e da Gian Francesco Frangipane Conte di Castello, deliberarono la morte del patriarca Bertrando e la mandarono ad effetto il giorno 6 giugno 1350, nella pianura di Rinchevelda presso Spilimbergo.
Nè tardò molto la vendetta. Nicolò di Lussemburgo, successore a Bertrando nel Patriarcato, volle la strage dei congiurati e, fra gli altri, Filippo de Portis nel 1 giugno 1353 fu condotto sopra un carro per la città di Udine, tanagliato nelle membra, poi ligato a due cavalli e squartato.
Ultimo sprazzo di luce, forse riflesso dal Patriarcato su Cividale, fu il Concilio ecumenico indettovi nell'anno 1469 dal pontefice Gregorio XII, che era stato appositamente raccomandato ai cividalesi dall'imperatore Roberto. (La lettera nel Libro d'oro.)
Dopo questo fatto la città ognora più si spopolava.
Riconoscendo però il bisogno della sua florida esistenza, in data 20 maggio 1415, l'imperatore Sigismondo emanava ordine da Costanza di risanguarla trasportandovi famiglie d'ogni fatta, sotto comminatoria che "si quis... licentiae et concessionis ac Indulti Nri hujusmodi violator extiterit et inobediens Nrae Cesareae Majestatis se noverit incursurum praesentiam sub Nro Majestatis sigilli testimonio litter." (Lib. I, Pag. e. 126 dell'ex Archivio del Monastero di S. Maria in Valle di Cividale.)
Pare che il Decreto non avesse esecuzione, perchè in quegli anni si preparava per Cividale un nuovo destino.
Memorie del Patriarcato
. - La comunità cividalese aveva i propri statuti fino dal mille. Essa concedeva di diritto la nobiltà a quelle famiglie che ne giudicasse meritevoli, iscrivendole nel Libro d'oro. Oltre gl'indizi di coltura emersi dalla scuola di grammatica, da altre di teologia e dai due diplomi per l'università, è caratteristico notare che Tommasino Cerchiari, nato nel 1185 in Cividale, vi dettò in lingua tedesca un poema intitolato:
Der Welchisch Gast
- 1' ospite romanico - che fu pubblicato 1'anno 1852 da Enrico Ruckert in Lipsia.
Nella festa di Pentecoste e nei due giorni successivi del 1304, il Clero della Collegiata, convenuto nel palazzo del Patriarca Ottobono de' Razzi, rappresentava una trilogia il cui soggetto partendo dalla creazione del mondo arrivava al giudizio universale. Giuliano, canonico cividalese, probabilmente attore come gli altri, ne dà nella sua vendica cronaca i particolari, e quella rappresentazione è stimata una delle più complete ed antiche della storia dell'arte.
Lo stesso Giuliano, descrivendo un assedio sofferto da Cividale nel 1331, dice che gli assedianti
ballistabant cuim sclopo versus terram
, e questo è il più antico documento sull'uso delle armi da fuoco, dopo quello dell'Archivio fiorentino che risale al 1325.
Nel 1318 erano fabbriche di carta a Cividale e nel 1485 vi si stampavano:
i rudimenti di grammatica di Nicolò Perotti
.
Eredità del Patriarcato resta 1'Archivio Capitolare con manoscritti preziosissimi che dal secolo V giungono fino all'invenzione della stampa. Fra questi, i due codici di Gertrude, sorella di S. Stefano e di S. Elisabetta figlia di Andrea II, entrambi re d'Ungheria; una collezione di pergamene capitolari ordinate in 26 volumi dal mille in poi; Antifonari dei secoli XIII e XIV, il famoso Evangeliario del V secolo con innumeri firme, sigle o croci di principi e sovrani, fra cui quelle di Teodorico e Carlomagno.
Nel 1881 la città di Breslavia commetteva la fotografia di tre pagine del sullodato Evangeliario perchè in quelle stanno firme di pellegrini breslaviesi, unico documento dell'esistenza della capitale della Slesia prussiana in quei tempi remoti.
CITTÀ VENETA
L'accorta Repubblica di Venezia, per assicurarsi l'acquisto del Friuli, iniziò con Cividale trattative" super facto Pacis quaerendae et habendae, cum Patriarcha nullo modo ipsam habere possit." (Convocazione del Consiglio cividalese in data 15 maggio 1419.)
Per estratto pubblico i relativi importantissimi documenti:
MCCCCXVIIII Die Lunae vigesimo nono mensis Maij. In stupa comunis convocato Consilio sone Campane ut moris est, Hec est relatio facta per ser Simonem Joannis tonij Ambasciatorem regressum a Dominio Venetiarum, qui retulit sub compendio...... quod Ducale Dominium contentabatur dare Pacem Civitatensibus dumodo ipsi Civitatenses velint esse amici Amicorum et inimici inimicorum....
MCCCCXVIIII Die Mercurij ultimo mensis maij. - In stupa etc. talis difinitio sicut est. Super relatis ne quisquam aliquo modo atentaret neq. presumeret propalare aut manifestare ea quae dieta et narata sunt per ipsum Ser Simonem, difinitum fuit quod portaretur unum missale in quo Crucefixus Pictus esset, super quo Crucefixo quilibet Consiliarius iuret ad sacrosancta Dei Evangelia manibus tacto et ore osculato Crucifixo nullis temporibus diceret, manifestaret aut propalaret quo quomodo per dirrectum aut per indirectum alicui, quino fuit in presenti Consilio, sub Pena privationis Consilij et omnis officij Comunis terrae Civitatis Austriae et lingua penitus privetur, quibus difinitis delatum est missale etc.
MCCCCXVIIII die prima mensis Julij - In Pieno Consilio, in quo Interfuerunt omnes et Provisores et Consigliarij....
Primo respondeatur Ser.mo Ducali Dominio, super petitione per ipsum, videlicet, quod Comunitas sit amica amicorum et inimica inimicorum, et in hoc instetur, suplicetur, notificetur et deduretur, Quod Comunitas Nostra nullo modo intendit esse contra Ecclesiam Aquligiensem, ejusque Patriam, et membra quia si forent, meritare putarentur ribellos, Proditores, et Patricide, et quod nullus deberet consulere Comunitati ad hoc facienda pro honore suo contra vere Patriarcham Lodovicum Ducem del dech semel Comunitas se obtulit mittere ad curiam Romanam, et sic realiter faciet et quisquid sib, mandabit sanctissimus Dominus noster Pappa, libere obediet suis mandatis aliter non posse facere cum honestate nisi primo idem Patriarcha se moveret contra Comunitatem ad arma, et tunc posset Comunitas cum omni honestate se movere contra eum ad illud idem....
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Gravissime dovettero essere le pressioni e la fretta della Repubblica per assicurarsi di Cividale, se con questa strinse il trattato di pace addì 11 stesso, con cui la città si obbligava "esse inimica Domini Regis Romanorum et Hungariae" e di cooperare contro il Patriarca, la comunità di Udine e gli altri compatriotti della Patria.
Però a Cividale furono conservati gli antichi diritti:
" Nullus tamen ex suis ordinibus commutatis: sed intra se cives Terrae regimem, sicut ante conservarunt. " (Mon. Ecc. Aq. Col. 1043); - Ducale Priolo 1559, 23 giugno, prescrivente che la città di Cividale del Friuli sia in tutto e per tutto separata dalla città di Udine; -
altra Ducale Malipiero 1460, 7 febbraio: "mandamus expresse, ut haec materia totaliter sopiatur, et nullatenus moveatur, nec in futurum molestetur suprascripta Comunitas Civitatis Anstriae occasione dicti Castri Tolmini: sed omnino pacifica ipsius cum juribus suis possessione gaudere permittatur omni contradictione cessante, sicut illud jamdiu tenuit, et de praesens possidet."
Perfino dalla seguente lettera, che scoprii nell'Archivio Municipale cividalese, si può arguire che almeno per un momento la Repubblica, mediante il Patriarca d'allora, un patrizio veneto Grimani, accarezzava l'idea di restituire a Cividale la residenza di fatto del Patriarcato, tanto più che questo non aveva ancora il suo palazzo in Udine.
Mag.ci Ps.orj Il R.mo S.or Cardinale Patriarcha nro è tanto affettionato alla terra dj Cividale, Che di Continuo di essa ne parla co' Grande amorevolezza, lodando lo sito, lo dilettevole et Commodo habitare, et la dolce et Gentil natura de tutti universalmente, Che habitano in essa, talmente Che partendo di Roma et di qsta legazione ha deliberato, Che Cividale sia la ferma sua habitazione, Con animo de dimostrar Con buoni effetti il Cordial amore, qual vi porta, et anchor che sua S. R.ma habbia de gli luochj assai nel Patriarchato, et epali suoi di Ceneta, et Concordia della qualità, Che vi è nota ne gli quali oltre la spirituale tiene anche la temporale jurisditione, prepone Cividale alle sue terre, et agl'altri luochi in queste parti, ne è dj, che di Ciò Con me non ne ragionj: desiderarebbe sua S. R.ma fabricar lo 'Palazzo Patriarchale di Cividale, et li sarebbe di piacere, che doi oratorj nostri comparessero avati la Ser.ma S.ria Con Vno suo nucio à dimadarlo, Che Certo indica sarà facil Cosa ottenerlo: Il che sara di ornamento Grande alla terra Vra, et Come sia ottenuto sua S. R.ma vole in psona venir Costi, accio si faccia il modello, et siano deputati soprastati alla fabrica, et ancho il danaro necessario, Volendo che il R.mo S.or Patriarcha suo fratello in sua absenza faccia apresso voi la sua residenza, molto desidera sua S. R.ma intender la mente Vra, p potere scrivere à Venezia, che si Compara avati la ser>
Io son molto ben visto et carezzato da sua S. R.ma ne mancha in tutti gli Conti dimostrarmi il singolar amor suo, et Venendo occasione nè dubito trovarmi molto Contento essere venuto alli servitij di sua. S. R.ma et Come affettionatissimo et devotissimo à V.e S.e me raccomando. Dj Perugia, el dj Vltimo Aprile M.DXXXVJ.
Figliolo et S.tur IL VESCOVO DI URBINO
Vicelegato di Perugia
(Extra) Alli Mag.ei S.ori Proveditori Consiglio et Comunità di Cividale S.ori M. Oss.mj (L. S.)
In base ai patti del trattato di pace colla Repubblica veneta, Cividale si affrettò a mandare cartello di sfida al Patriarca Tech ed al comune di Udine (28 agosto 1419), onde questi due, assieme ai goriziani, posero 1'assedio alla città, la quale però, coadiuvata dai veneziani e da abbondante neve caduta, (novembre 1419) resistette e fu libera dopo sedici giorni.
L'anno successivo Udine e tutto il rimanente Friuli fecero la loro dedizione alla Repubblica.
Perduta la propria autonomia politica, Cividale si tenne il glorioso ufficio di difendere la Patria ai confini. Ecco due luminosi esempi.
Addì 1 agosto 1426 il conte di Cilia e Segovia, cognato e generale del Re d'Ungheria, a nome del suo Re, di quello dei romani, del Papa e del Duca di Milano, coll'astuzia e con minaccie di sterminio, tentò di costringere la Comunità cividalese a staccarsi da Venezia.
La Comunità, impreparata, ottenne sole ventiquattro ore per riflettere, ed al domani, adunatosi il Consiglio plenario, rispondeva all'Ambasciatore: "quod ipsa Comunitas certa pacta inijt cum inclito Dominio Venetorum quae
usq. ad mortem
intendit perservare inviolata tamq. veri fideles, et quod tractatum Concordiae et obedientiae tractare potest cum ipso Dominio Venetorum, a cujus mandatis nunq. summus recessuri. Et si pur ipse Comes volet nobis damna inferre dispositi summus nos viriliter deffendere, sperantes in Deo nostro, ac in Nra Justitia, inq. ser.mo Duc. Dominio Venetorum et ejus potentia, quod si hostes nostri ad nostras offensiones venerint,
ita tractabuntur quod vellent non venisse
."
E non vennero.
All'epoca della lega di Cambrai gl'Imperiali avevano rotto le truppe venete nelle battaglie di Ghiaradadda e di Trivignano, onde il duca di Brunswick, imbaldanzito, con 10.000 uomini piombò su Cividale, battendola in breccia dalla collina detta del Fortino con 17 pezzi d'artiglieria, le cui palle pesavano da 50 a 100 libbre. Tre assalti furono rinnovati, e tutti tre respinti dai cittadini frammezzo a cui combattevano le donne.
In questa circostanza il cividalese Girolamo nob. Formentini introdusse in città 300 fanti all'insaputa del nemico, e Zenone de Portis "non solum res et fortunas suas pro alendis et sustentandibus militibus large profusit, verum etiam ejus supellectilia ex stanno et plumbo pro conflandis pitis scoporum, dedit." (M. A. Nicolettus Canc. Civ. die 16 julii 1580). Squarciate finalmente le mura di S. Domenico, gli assediati fecero una disperata sortita, inchiodando e prendendo i cannoni nemici, onde gl'Imperiali, che avevano perduto 1500 soldati fra morti e feriti, levarono 1' assedio. (2 agosto, 1509).
Se Cividale non avesse osate queste resistenze all'Ungaro ed al Tedesco, visto che poco dopo il Brunswick s'impadroniva di Pletz e di Tolmino, e che fra le pretese dell'imperatore Massimiliano stava il riacquisto dello stato aquilejese e della Contea di Gorizia, gran parte almeno del Friuli occidentale avrebbe forse avuta la sorte di quello orientale.
CITTÀ ITALIANA
Mi limito a citare tre onorifici particolari del suo patriottismo nazionale.
Nel 1848 i cividalesi furono dei primi a sollevarsi ed armarsi contro lo straniero, e ad un tempo si mostrarono tanto generosi da accogliere nelle loro case e trattare per mesi e mesi come figli gli allievi dell' I. R. Collegio militare locale, che gli Austriaci fuggenti vi avevano dimenticati senza guidà e difesa.
Nel 1861 questa cittadella contava, fra i suoi figli emigrati, ben undici ufficiali nell'esercito nazionale.
Quanto al 1866, non ha guari il venerando Cavalletto, dettando nell'
Opinione
la necrologia del deputato Piccoli nativo di questa città, ammirava l'ardita protesta fatta in quell' anno dai cividalesi contro il minacciato pericolo di rimanere staccati dalla patria comune, e concludeva che Cividale "posta nel nostro confine orientale, allo sbocco" dell'alta valle del Natisone occupata da gente slava, fa "argine allo espandersi del panslavismo."
CITTÀ ODIERNA
Col confine politico stabilito nel 1866, cessò il commercio dei Carintiani e degli Slavi del Coglio, su quel di Gorizia, con Cividale. Continuarono per altro le relazioni di questa città colla piazza di Trieste.
Pei nostri Slavi Cividale è la
ztari Cedad
(vecchio Cividale), la Mecca, il loro mercato, onde tutti i sabati sembra quasi una città slava.
Che ciò sia sempre stato, risulta dalla seguente Ducale di Silvestro Valerio in data 5 febbraio 1698.
OMMISSIS.
4. Dichiara finalmente et stabilisce et alli Popoli fideliss.mi delle Contrade d' Antro et Merso, et sono Villagi trentasei, et in numero d' Anime seimilacinquecentododici in circa, non possa in alcun tempo né per qualsivoglia emergente negarsi di potersi provedere per quei Mercati di Cividale e Territorio di biade d'ogni qualità pel loro necessario alimento con le sempre praticate formalità adherenti a loro privilegi, mentre somministran anch'essi le loro povere sostanze in Cividale med.mo e Giurisd.ne de Laticinij d'ogni sorta, Animali Bovini e Minuti, fieno, legne da fuoco, legne da lavoro et altro.
Ab immemorabili i figli degli Slavi abbienti frequentano le scuole di Cividale. Nell'anno 1882-83, si contavano quarantacinque di questi nelle sole elementari maschili della città.
Di più àvvi il Collegio-Convitto comunale, che attira gli esteri del Litorale e perfino della Dalmazia, onde nel 1879 se ne contavano 80 su 130 convittori.
Insomma Cividale, dall'alto del suo
ponte del Diavolo
sul Natisone, guarda ad oriente i monti slavi e ad occidente la pianura che va a morire in mare, presso Aquileja....
Carlo Podrecca - LA SLAVIA ITALIANA
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