Krivapete
Critica a “Krivapete”
(Dipinto su muro, Sottovernassino, casa Slaidar)
La mitologia tradizionale delle Valli del Natisone è elemento di connessione
tra cultura locale e interpretazione moderna del mondo, e di mediazione tra
presente e passato. L'elaborazione dei concetti di demoni e Krivapete ripropone i
temi universali delle paure arcaiche e delle angosce personali che da secoli
affliggono l'umanità in ogni parte del mondo.
L'opera è ambientata all'ingresso di una grotta, dove si svolge la danza
ancestrale delle leggendarie figure delle Krivapete, circondate da schiere di
demoni.
Le Krivapete, personaggi mitologici della tradizione delle Valli del
Natisone (ma presenti, con altri nomi, in molte culture precristiane di tutto il
mondo) qui servono da veicolo per il messaggio della libertà. Infatti esse pur
vivendo, secondo la tradizione, una condizione di reiette, costrette a sopravvivere
di espedienti e con ciò che la natura ha da offrire, sono sostanzialmente libere
perché possono fare ciò che vogliono. Questa loro “incontrollabilità” le ha rese
invise alle autorità religiose che in passato le hanno relegate alla parte nera
associandole al demonio. Con molta probabilità (al di là della caratteristica dei
piedi girati all’indietro) si trattava invece di figure realmente esistite, di donne
che curavano, che aiutavano con successo i malati, le partorienti, i feriti,
sfruttando le consapevolezze acquisite da un intimo legame con la Natura.
Rappresentando il messaggio fondamentale del dipinto (libertà) non devono
portare vestiti, gioielli, ma essere come la prima donna, come Eva nel paradiso
terrestre, libere dalle costrizioni socio-culturali che caratterizzano ogni epoca.
Danzano attorno al fuoco (purificatore), i volti nascosti dai capelli (la libertà
non può avere volto; né politico, né religioso), danzano alla Luna, alla donna,
alla madre, alla creazione.
La grotta rappresenta il luogo oscuro da cui nascono ed in cui nascondiamo i
nostri demoni, ma anche il femminile, la madre, l’utero, il potere del dare la vita.
Questi concetti sono sempre stati visti con sospetto e paura dal maschile, che nel
corso dei secoli ha sempre tentato di soggiogarli, demonizzandoli. L'imboccatura
della grotta, l'apertura verso l'esterno, simboleggia l’uscita dal tunnel della
malattia, delle dipendenze fisico-mentali (lussuria, alcool, droga ecc.) e religiose,
nelle sue accezioni più umilianti per la persona. E raffigura nel contempo la
speranza che disperde i tabù, le paure e le grettezze.
Tale concezione viene rafforzata nella scena centrale della danza: ancestrale,
tribale, liberatoria. La catena spezzata sottolinea questa condizione di libertà
dalle convenzioni, dal falso buonismo, dal “ben pensare” e giustamente viene
tenuta in alto, presentata alla Luna che altro non è che un simbolo, l’ennesimo,
femminile; anch’essa in molte culture (ad es. Maya, ma anche altre) non viene
vista con particolare benevolenza e, anzi, viene associata ad aspetti negativi, al
freddo, al buio ecc.
I demoni che circondano, incorniciando, la scena, sono eseguiti con colori
tendenti all’ocra rossa per ricreare l’idea dell’antro in chiave grottesca in cui
convergono, ma contemporaneamente ne escono, le nostre più intime paure ovvero i
nostri vizi.
Anche fuori ci sono i demoni. Sono rappresentati dalla foresta in terzo piano
ma questi, usciti ormai allo scoperto, ora sono impotenti spettatori e non più
protagonisti della vita. Vita che viene evidenziata dalla “catena” di fiori e foglie
intrecciate (Kita, in dialetto) associata tipicamente al ritorno della primavera
dopo l’inverno, dopo le tenebre e la morte.
Fabrizio Podorieszach
con la gentile collaborazione della
Dott.ssa A. Remondini