Škrat
Critica a “Skrat”
(Dipinto su muro, casa Slaidar, Sottovernassino)
L’opera rappresenta un messaggio di semplicità, di ritorno alla Natura, alla
gioia di vivere, alle origini ed alla fanciullezza che non conosce malizia.
L’immaginario collettivo e popolare nel passato veniva spesso influenzato
dalle credenze religiose, che venivano rielaborate e riproposte in miti e leggende tradizionali, in un’unione tra sacro e profano che solo la fantasia popolare riusciva a creare.
Tra i personaggi presenti di frequente nelle leggende folcloristiche delle Valli
del Natisone ci sono gli Skrat.
Gli Skrat erano, secondo la mitologia tradizionale, i bambini morti non
battezzati, che fino alla metà del Novecento venivano sepolti fuori dai cimiteri in quanto colpevoli di essere portatori del Peccato Originale. Subivano quindi
l’espulsione dalla società e dalla religione dei vivi, per non disturbare il riposo dei giusti. Non potendo essere Angeli, diventarono delle “piccole pesti” che vivevano nei boschi, sotto gli alberi e nei muri.
Lo Skrat in primo piano rappresenta il cuore, indossa una casacca di colore
rosso vivo (come il sangue purificato e carico di ossigeno) e dei pantaloni più scuri (come il sangue che dalla periferia torna al muscolo cardiaco per ossigenarsi). E’ vivace ed instancabile, ma sta in una posa precaria, di equilibrio vacillante: potrebbe cadere in qualunque momento. E’ la metafora del cuore, che potrebbe improvvisamente smettere di battere, ma anche dell’amore.
L’amore infatti è instabile, la passione è effimera, cieca ed irrazionale.
L’altro Skrat è una femminuccia che guarda le evoluzioni del suo piccolo
amore ma sembra chiusa in se stessa ed è pensierosa, calma e riflessiva: cosa
aspetta, con pazienza, come solo le donne sanno fare?
Siede appoggiata ad un fungo velenoso(Amanita muscaria), un simbolo
fallico qui utilizzato in contrapposizione alla Mela del Peccato (femminile). Il
peccato infatti ha una connotazione maschile: è prepotente, violentatore, abusatore e devastatore, come il fungo dell’esplosione atomica.
L’erba fa da base e rappresenta la nostra esistenza di nascita, crescita e morte.
Il prato simboleggia anche la duplice visione del senso della morte, da un lato
come termine ultimo dell’esistenza (come l’erba che si secca e rimane nei terreni
abbandonati per tutto l’inverno), dall’altro come possibilità di rinnovamento e
metamorfosi, come il fieno che, reciso e tagliato dalla violenza della falce, viene poi utilizzato per nutrire e dare vita.
La cornice dell’opera è una metafora che ripropone il tema del movimento
ciclico dell’esistenza, del legame tra cielo e terra, tra sacro e profano.
Il nodo presso le antiche popolazioni celtiche aveva un profondo significato
magico e mistico, rappresentava infatti lo scorrere infinito del tempo, il continuo avvicendarsi del giorno e della notte, della nascita e della morte. Qui simboleggia il fluire dell’energia vitale che dal nodo scorre e si trasforma nelle radici di un vecchio tiglio contorto, ma contemporaneamente si eleva e si perde in alto tra i rami e le giovani foglie.
Il vecchio tiglio (Tilia cordata) indica le origini slave della maggioranza
della popolazione della Benecija, le radici ci ricordano queste origini, le
tradizioni, la lingua madre. Presso le popolazioni slave il tiglio è considerato una pianta sacra e veniva piantato nei luoghi di assemblea, di culto (già “pagano” poi cristiano) e vicino alle sepolture. Ancora oggi è presente nei punti più significativi, a memoria del legame con i simboli antichi che si evolvono e si sviluppano nel tempo, emergono dal passato, dalle radici, e sono proiettati verso il futuro, verso il cielo ed i nuovi germogli.
La scena si chiude in un cerchio (la Luna, il femminino sacro), che unisce gli
Skrat in un solo essere, negando la dualità tipica delle religioni
“maschili”(bene/male, Dio/demonio ecc.) per riportarci al misticismo primordiale
della Dea Madre.
Fabrizio Podorieszach
con la gentile collaborazione della
Dott.ssa A. Remondini