Il tiglio: alle radici di un simbolo
Sacro a tutti gli slavi, era l’albero della giustizia per i popoli germanici, il protettore dei villaggi per gli scandinavi e sotto il quale si riunivano le vicinìe del mondo non solo veneziano
Vi fu un momento in cui l’Uomo, oramai organizzato in comunità, intuì che forze superiori sorreggono la Terra e il Cosmo, determinando anche la sua stessa esistenza. Egli ricorse quindi a simboli che potessero rappresentare in maniera diretta e visibile quelle forze invisibili, amplificando inoltre la coesione sociale. Per tale motivo, ad alcuni alberi venne conferito quel ruolo e ciò non solo per il rapporto simbiotico dell’Uomo con la Natura, ma anche per molteplici ragioni intuitive: basti per tutte il fatto che l’albero attinge la vita dalla terra proiettandosi verso il cielo.
Per molti antichi popoli europei, il tiglio, diffuso in quasi tutto il continente, ebbe una particolare importanza, anche grazie alla sua rigogliosa imponenza, alla sua forma, alle sue proprietà e a una particolare longevità che può consentirgli di raggiungere i mille anni di vita.
È noto che questo fosse l’albero sacro per gli antenati dei vicini sloveni, come in effetti è stato. Tuttavia, se ampliamo il nostro orizzonte, possiamo vedere che il tiglio fu l’albero sacro per tutti i popoli slavi, presso i quali il suo nome è sempre il medesimo, lipa, quasi a confermare la radice comune dell’antichissima credenza. Una credenza forse sopravvissuta a lungo in zone a noi familiari: potrebbe essere stato, infatti, un tiglio l’albero adorato dagli slavi di Caporetto e bruciato per idolatria nel 1331 da alcuni nobili cividalesi, dopo una sorta di crociata predicata dal frate minorita Francesco da Chioggia, inquisitore per il Friuli.
Sacro lo fu pure presso altre genti, come i greci, i quali lo consideravano legato ad Afrodite e all’amore, così come godeva di una speciale importanza fra i paleoveneti, che popolarono il Friuli prima dei celti (il cui albero sacro era invece la quercia). Fu l’albero sotto il quale i germani amministravano la giustizia, poiché si pensava che sotto le sue fronde fosse difficile mentire e che le sue proprietà ispirassero serenità di giudizio: un’usanza proseguita nel mondo tedesco fino a epoche relativamente recenti. Infine, secondo la tradizione scandinava, nelle sue radici vivevano gli spiriti protettori della comunità e del villaggio.
Il ruolo del tiglio permase in tutto il territorio friulano, Schiavonia compresa. I documenti tardomedievali ricordano che nella piazza della chiesa ne sorgeva sovente uno, presso il quale si riunivano le vicinìe (ovvero le assemblee dei capifamiglia). Un uso immutato fino a epoche più recenti: nel 1788, ad esempio, le autorità giudiziarie di Latisana imposero alla vicinìa di Cesarolo di riunirsi all’aperto sotto un tiglio, che i vicini s’impegnarono a piantare «in sito opportuno».
La medesima consuetudine vigeva in Veneto, Trentino, Piemonte, Lombardia, Toscana, nei luoghi dove esistevano le cosiddette regole alpine e via dicendo. E ciò valeva tanto ad Aosta quanto a Cava dei Tirreni, Acigliano e altre località meridionali, forse per un uso introdotto dai burgundi nel primo caso e dai longobardi negli altri, mentre in luoghi come Trento nella piazza col tiglio si praticavano le contrattazioni commerciali.
Tornando alle nostre zone, a Cividale, sotto il tiglio della ‘corte’ cittadina, nel 1166 il patriarca Volrico di Treffen investì di alcuni feudi i nobili Luicarda d’Attimis ed Enrico di Manzano: si trattava di un atto di natura giurisdizionale che ci conduce per forza di cose al tribunale di Antro, ubicato a Biacis, sotto il cui tiglio si svolgevano i processi dell’omonima gastaldia, di verosimile origine longobarda. Un’usanza, questa, riconducibile invece alla tradizione germanica alla cui connotazione giudiziaria abbiamo già accennato.
Ciò indicherebbe un’ulteriore specificità dell’antica Schiavonia anche in quest’ambito, accomunando tradizioni preromane, slave, germaniche e scandinave. Per altro arricchite da un elemento locale, cioè la lastra protostorica di Antro-Biacis di cui abbiamo tuttavia la prima citazione in ambito giudiziario solo nel 1686, così come emerge dal verbale di una cosiddetta ‘prauda ordinaria’ ovvero la seduta del tribunale locale, istituito in epoca veneziana e composto da dodici giudici ‘popolari’ della convalle.
Un intrecciarsi di miti, simboli e usanze che pure attraverso il tiglio offrono un’affascinante complessità delle tradizioni locali, ancora spesso da rileggere nella loro evoluzione ultramillenaria.
Enrico Bonessa