Breve profilo storico del Nediško



PREMESSA

Varie sono le ipotesi circa l’origine dli questo dialetto delle Valli e dei suoi contermini che si parlano in una fascia confinaria che va da Tarvisio fino a Prepotto.

Data la estrema lontananza nel tempo di quest’origine, possono essere formulate solo ipotesi più o meno probanti, vista l’assenza di documenti irrefutabili.
In tal caso ci può venire in aiuto solo l’osservazione comparata di più dialetti e lingue similari, dandoci la possibilità di formulare delle asserzioni che non possono essere che di natura generale.

Innanzitutto, procedendo per esclusione, si può senza altro affermare che il dialetto che si parla nelle Valli ed i similari che si parlano nella fascia antedetta, per le caratteristiche linguistiche intrinseche relative alla fonetica, alla morfologia, alla sintassi prima ancora che al lessico, possono senz’altro essere considerati provenienti da un ceppo linguistico genericamente “slavo”, e non “latino” o “germanico”.

A mio parere, va considerata con una certa cautela anche l’ipotesi data per scontata da certi studiosi che tutte le forme “dialettali” e “linguistiche” attuali delle lingue “slave” derivino da un’unica “lingua paleoslava”, parlata da tutte le tribù slave, alla quale, alle volte, per soddisfare all’esigenza che l&proprie conclusioni “quadrino” con i postulati di partenza, si tende ad attribuire, secondo i casi, differenziazioni interne meno o più marcate di quelle plausibili;e questa tesi mi sembra che vada sostenuta con cautela anche relativamente ad un’unica lingua slava attuale ed ai suoi “dialetti” (vedi ad es. lo sloveno letterario con i suoi numerosi dialetti).
L’esperienza insegna che un dato gruppo umano generalmente, allo stato naturale, in assenza di condizionamenti esterni, meno numeroso è,più è omogeneo linguisticamente. Per cui se è sostenibile l’ipotesi che la popolazione slava, all’epoca in cui è fatta risalire la “lingua paleo slava comune” (tra l’altro “ricostruita” artificialmente, servendosi di fonti svariate quali i reperti archeologici e manoscritti, metodo che, a mio parere, non è sufficiente per assicurare una corrispondenza indubitabile con la realtà di fatto), era già relativamente abbastanza numerosa, composta di più “tribù”, deve dedursi di conseguenza che tale popolazione era già sufficientemente differenziata linguisticamente, in modo che non poteva più avere in comune una, sola “parlata”, ma un insieme di “parlate” che potevano variare da “gruppo” a “gruppo”, da “tribù” a “tribù”.

Quindi già per quell’epoca remota si può parlare di più “parlate”, più o meno estese, che potevano essere considerate similari, ma già abbastanza differenziate l’una dall’altra (in tal caso un fenomeno di nomadismo può avere operato in favore di una certa omogeneità linguistica, ma la forza del nomadismo, a mio parere, va considerata più come un freno alla differenziazione linguistica che come direttrice determinante verso l’omogeneità linguistiche.

In base a tali considerazioni per ogni “dialetto” o “lingua” “slavi” attuali (a) si può affermare tranquillamente almeno due tra le varie possibilità:

1)
che una data lingua (o “dialetto”) slava attuale sia frutto dell’evoluzione di una “parlata” specifica relativa ad un sol “gruppo” o “tribù” slava relativamente omogenea, evoluzione condizionata oltre che da uno sviluppo dovuto a fattori esclusivamente linguistici, anche da molti altri fattori relativi a varie sfere della vita
(sociali — tra cui in generale la maggiore o minore interrelazione con altri gruppi linguistici;
economici — tra cui il maggiore o minore contatto commerciale; geografici — tra cui la maggiore o minore presenza di barriere naturali (monti, colli, terreni paludosi, dirupi, fiumi e simili) nel caso di insediamenti territoriali temporanei;
storici — tra cui gli spostamenti migratori, le. guerre, ......

2)
Che una data lingua (o “dialetto”) slava attuale sia frutto della convergenza evolutiva di più “parlate” relative a più “gruppi” o “tribù” slavi in una sola “parlata”, convergenza evolutiva che può essere stata favorita, soprattutto nei periodi degli spostamenti migratori, da “temporanei” o “definitivi” aggregamenti umani di varia entità e qualità (da “tribù” diverse anche linguisticamente) e da altri fattori di altra natura come già fatto rilevare prima. Questa”parlata risultante” ha avuto poi essa stessa un’evoluzione che ha portato a quella data lingua (o “dialetto”) attuale considerata.

Naturalmente tutti possono ammettere tranquillamente che tra questi due casi di evoluzione linguistica considerati ci può essere una oscillazione evolutiva varia sia rispetto alla quantità che alla qualità, oscillazione dipendente di volta in volta dal maggiore o minore peso che possano avere avuto (storicamente) i fattori linguistici ed extralinguistici che sono entrati in relazione nel processo evolutivo linguistico considerato.

In generale, relativamente alla attuale varia “composizione” di un sistema linguistico di una data lingua attuale, consideriamo qui almeno due casi evolutivi:

a)
una data lingua attuale che ora può essere chiamata “lingua x” per la prevalenza maggioritaria di elementi linguistici x nel suo bagaglio fonetico, morfologico, lessicale, sintattico, semantico, in un dato passato poteva essere chiamata “lingua y” (perché allora nel suo bagaglio linguistico erano prevalenti (maggioritari) elementi linguistici y) (ad es. un certo tipo di latino parlato (y) l’attuale friulano (x)).

b)
Una data lingua attuale ha avuto relativamente sempre (almeno da un certo lasso di tempo molto remoto in qua), nell’arco storico della sua evoluzione, nel suo sistema linguistico una prevalenza maggioritaria di elementi x (per cui poteva sempre essere chiamata “lingua x”, indipendentemente dal fatto che in realtà, nell’arco storico della sua evoluzione, abbia avuto più denominazioni).

Anche qui va osservato che la casistica presa in esame non è così “semplice” come può apparire, ma è decisamente complessa ed anche tra i due casi generali considerati ci sono delle “gradualità” soggette ad oscillazione.

Per concludere, ciò che mi sembra giusto far notare (e che anche per la sua “elementarietà”, non è sempre tenuto nella dovuta considerazione) è che una analisi linguistica dettagliata e non condizionata da fattori extralinguisiici (quali possono essere interessi politici e sociali e simili) deve andare al di là delle denominazioni “caratterizzanti” che vengono “appioppate” alle varie lingue, e vedere una “lingua” come è in realtà, non come un bagaglio linguistico statico, ma come un sistema vivo, sistema dinamico di vari elementi in interazione costante tra di loro che producono trasformazioni continue, le cui modalità sono soggette ad alcune leggi generali interne al sistema linguistico e ad altre esterne ad esso.

In altre parole un dato sistema linguistico, essendo in continua evoluzione, supera comunque i confini della “etichetta” che noi gli appioppiamo. (b)

Se in base alle considerazioni suesposte analizziamo il sistema linguistico del cosiddetto “dialetto” delle Valli del Natisone, possiamo arrivare ad una asserzione generale di questo tipo:
il “dialetto” attuale delle Valli del Natisone, considerato nella globalità del suo sistema linguistico
(cioè relativamente al suo bagaglio fonetico — morfologico — sintattico — lessicale — semantico,
relativamente alle interrelazioni nell’ambito dei suoi singoli settori: fonetica; morfologia; lessico; sintassi; semantica; e degli stessi settori considerati in interazione tra di loro;
inoltre relativamente a tutto Il suo sistema linguistico considerato in interazione con gli altri sistemi linguistici)
per la prevalenza attualmente ancora maggioritaria,su altri elementi estranei, di elementi “sloveni” relativi al bagaglio fonetico, morfologico, lessicale, sintattico, ed anche semantico, e per la particolare tipologia di interazione che manifesta a contatto con altri sistemi linguistici, può essere considerato un “dialetto sloveno”.

Note

(a)
Occorre precisare una volta per tutte che da un punto di vista strettamente linguistico si può tranquillamente sorvolare qualsiasi distinzione tra “dialetto” e “lingua” e simili, in quanto linguisticamente dovrebbero essere chiamati tutti con uno stesso nome “lingua”, pur se vi si possono riscontrare differenze a livello del bagaglio linguistico (in quanto una lingua può essere, sempre da un punto di vista strettamente linguistico, quantitativamente più “ricca” di un’altra, in relazione ai vari fattori storici, geografici, sociali, politici, ecc..., che possono aver contribuito al suo sviluppo), o a livello della rispettiva diffusione spaziale (dovuta a vari fattori, tra cui quelli sopra menzionati), la quale tra l’altro varia nel tempo (in quanto, tra i vari casi possibili, c’è anche che una lingua che attualmente è relegata allo ambito di “dialetto”, in passato può essere stata più diffusa rispetto ad una data lingua attuale contrassegnata col vocabolo crismatico di “lingua”).

In altre parole ciò che fa sì che una “parlata” venga chiamata “lingua” ed un’altra “dialetto” è dovuto esclusivamente a fattori extralinguistici (storici, politici, sociali, ecc.); e se anche taluni linguisti adducono a giustificare tale distinzione motivi interni al sistema linguistico (i quali possono essere una maggiore organizzazione ed articolazione del sistema fonetico — morfologico — lessicale — sintattico - semantico), tuttavia tale distinzione rimane comunque esclusivamente di carattere convenzionale.

(b)
Detto tra parentesi, perché esula da una considerazione prettamente linguistica, mi sembra quanto mai doloroso e nello stesso tempo meschino che anche nel periodo attuale, che avrebbe dovuto sviluppare, anche relativamente ai sistemi linguistici, lo spirito cosmopolita dell’Illuminismo, persista un certo “razzismo” linguistico a tutti i livelli, per cui le decisioni in merito ad un potenziamento e ad una tutela di una data “lingua” devono sottostare sempre ad interessi extra— linguistici (per lo più politici, interessi di potere economico e, più in generale, interessi “di parte”).
Si noti ad es., per fermarci alla prov. di Udine, il fatto che il “friulano”, almeno da un punto di vista finanziario (tendente cioè a sovvenzionare iniziative di carattere culturale) se non giuridico, è relativamente più tutelato dallo Stato italiano dei “dialetti sloveni” della Slavia Veneta e della Vai Canale, i quali non sono da esso neppure ufficialmente riconosciuti, anche per il fatto fondamentale (agli occhi dei politici italiani) che il friulano non ha alle spalle un retroterra politico (cioè un altro Stato di lingua “friulana”) su cui poter contare (ciò che invece esiste, per i dialetti sloveni della Slavia Veneta e della Valcanale che, nelle loro rivendicazioni linguistiche, possono essere sostenuti dalla vicina Jugoslavia (Slovenia in particolare), come analogamente avviene da parte dell’Italia per gli Italiani d’Istria.

Ma ogni lingua dovrebbe essere tutelata e favorita nel suo sviluppo, in base a principi prettamente culturali e in base ad un principio generale di “libera espressione umana a tutti i livelli” indipendentemente da ogni interesse “politico” ed in generale “extra— linguistico”.

Purtroppo, anche a livello linguistico, come in altri settori, tuttora prevale il gioco delle forze del potere (sia politico, sia economico, sia di altro tipo), si verifica cioè un “razzismo” linguistico più o meno bene dissimulato. Nel caso specifico del “dialetto” delle Valli del Natisone, si può dire che lo stesso motivo che ha indotto lo Stato italiano ad ignorare tale “dialetto”, può portare lo Stato iugoslavo ad interessarsene (ma basterebbe che il “dialetto” delle Valli, per ipotesi, non fosse “sloveno”, ma “ottentotto”, e già tale interesse potrebbe svanire).
E questo stato di cose, dove più dove meno, è purtroppo simile un po’ dovunque nel mondo.

Breve profilo storico del dialetto sloveno delle valli del natisone.

Più all’indietro ci. spingiamo nel tempo, minori sono le informazioni che abbiamo sulle vicende dell’evoluzione storica del nostro dialetto e sulle modalità del suo uso.
Comunque pare certo che la sua infiltrazione nel territorio dell’attuale Friuli e delle Valli del Natisone in particolare, possa esser fatta risalire all’inizio dei primi insediamenti di Sloveni (a) a carattere temporaneo o stabile, che si verificarono nella zona considerata intorno al VI0 sec. dopo Cristo e precisamente, come ne abbiamo testimonianza da Paolo Diacono, nel periodo dello stanziamento longobardo nel Friuli.
Dallo stesso Paolo Diacono abbiamo notizia (nel libro IV, cap. 44) che perfino il duca longobardo Rodoardo parlava tale dialetto sloveno.
In assenza di fonti storiche più dettagliate possiamo arguire che tale dialetto era usato allora a livello soprattutto familiare e in occasione di scambi commerciali (prevalentemente di prodotti agricoli), scambi allora ancora molto limitati. Sappiamo infatti da alcune fonti storiche poco più tarde (risalenti al periodo franco) che gli “Sloveni” erano conosciuti ed apprezzati soprattutto per la loro abilità nel disboscare e dissodare terreni incolti (“pustote”).
Quindi se la loro attività primaria, una volta insediatisi nella zona, era diventata l’agricoltura, si può opinare che anche il “dialetto” da loro parlato fosse legato e caratterizzato prevalentemente da questo tipo di economia. (b)

Naturalmente non sappiamo in che misura avesse risentito in questo periodo di influssi germanici da una parte e latini dall’altra.
Non sappiamo neanche con precisione se allora in tutto il territorio del Friuli occupato da “Sloveni” si parlasse una sola lingua locale slovena comune o se già allora (come mi sembra probabile) ci fossero delle differenziazioni “dialettali”, le quali successivamente possono essersi accentuate, tra la zona delle Valli del Natisone, la zona del Torre, la zona di Resia, la zona della Vai Canale.
Quel che sembra più probabile è che, di qualunque entità fosse tale differenziazione linguistica, in quei primi tempi il dialetto sloveno, oltre che essere usato a livello familiare, come veicolo di un vastissimo patrimonio di leggende e tradizioni che si perdevano nel tempo (patrimonio che in parte è pervenuto fino a noi),doveva essere usato anche pubblicamente, soprattutto in occasione della celebrazione di riti pagani, di feste, cacce, guerre, e in tutte le occasioni di riunioni pubbliche.

E’ opinabile che l’istituto delle “vìcinie” con la relativa struttura giudiziaria annessa,fosse già praticato in quei tempi ed ancora prima (del resto forme analoghe di “amministrazione autonoma” sono documentate anche per i Germani e per i Longobardi; quindi non si vede perché non fossero state praticate già anche dagli “Slavi” in generale (e di conseguenza dagli “Sloveni”)).
In tal caso anche tali riunioni potevano costituire un’occasione di uso del “dialetto” comune. E’ probabile però che, più tardi (non sappiamo precisamente quando, comunque è verosimile che ciò sia cominciato dopo l’insediamento nel Friuli), in occasione di tali assemblee vicinali, l’uso della lingua “slovena” venisse progressivamente sostituito dalla lingua ufficiale (cioè quella prevalentemente usata in quel territorio): è così che si può capire come in un primo tempo (nel periodo dei Franchi e del Patriarcato) si usi nei verbali scritti il latino e successivamente (nel periodo della dominazione della Repubblica dì Venezia) l’italiano.

In assenza di precise documentazioni in proposito, ci si può limitare ad ipotizzare che nei primi tempi della attività di tali riunioni vicinali (ancora prima dell’insediamento nei Friuli) la lingua usata fosse esclusivamente quella “slovena” e che in questo primo tempo le deliberazioni venissero fatte oralmente e non fossero fissate per iscritto; poi successivamente (soprattutto dai VI sec. in poi, nei periodo dell’insediamento nel Friuli, dopo un lasso di tempo in cui ci si può essere ancora limitati a deliberazioni orali, o per esigenze interne alle assemblee vicinali o per pressioni esterne (dei potere dominante, gastaldi, giurisdicenti, ecc.), o per le une e le altre, si comincia a stendere un verbale per iscritto di tali deliberazioni.

Dall’esame delle poche fonti storiche relative al periodo che va dai VI0 al XVIII sec. non appare che ci sia stata una pressione linguistica diretta ad ostacolare l’uso dei “dialetto” locale sloveno.
Senza dubbio, in tale lungo arco di tempo, il dialetto sloveno locale fu soggetto in misura maggiore o minore all’influsso prima della lingua longobarda, e soprattutto del particolare tipo di “latino parlato” nella zona; nel periodo franco poi è pensabile che abbia risentito almeno in parte della lingua franca; ma in questo primo periodo ritengo che le possibilità di infiltrazione nei sistema linguistico del dialetto sloveno di elementi ad esso estranei erano molto limitate, proprio perché allora gli “Sloveni” rappresentavano un gruppo ancora abbastanza compatto e poi per le limitate interazioni sociali.
Due dei fattori che hanno avviato, a mio parere, una maggiore infiltrazione nel dialetto sloveno di elementi ad esso estranei sono da una parte la loro conversione al cristianesimo, che si pensa sia iniziata nel IX sec., dall’altra, più tardi, soprattutto dal XIII sec. in poi (con l’avvento dei Comuni, e, relativamente alle Valli, il rafforzamento conseguente dei Comuni di Cividale e Udine) l’intensificarsi dei traffici, dei mercati e delle fiere.

La conversione al cristianesimo ha portato come conseguenza l’attecchimento a poco a poco, nell’ambito dell’amministrazione vicinale, di una struttura ecclesiastica che, se in un primo tempo può aver cercato di “dirozzare i costumi” e di conquistare al cristianesimo la popolazione, servendosi della lingua “slovena” amata dal popolo (come risulta anche da una leggenda di questo periodo che dice che a S. Paolino, allora Patriarca di Aquileia, riuscì di convertire al cristianesimo la popolazione delle Valli solo dopo che ebbe mandato tra di essa missionari sloveni), apriva la strada all’uso della lingua latina nella liturgia.

Più tardi si afferma nella liturgia l’uso della lingua slovena (prevalentemente sovradialettale) che toccherà il suo apice nel XVIII — XIX sec., ciò che lascerà pure un influsso determinante sul sistema linguistico del dialetto sloveno locale.

Inoltre già nel periodo della dominazione franca, ma anche successivamente, con l’avvento al trono patriarcale di prelati tedeschi (quali ad es. Sigehard, per nominarne uno), che favorivano l’insediamento nel Friuli ed anche nelle Valli del Natisone di nobili tedeschi a loro soggetti, non è da escludere un certo influsso sul dialetto sloveno locale del paleotedesco.
D’altra parte, le frequenti sagre, fiere agricole, pellegrinaggi e il generale intensificarsi dei traffici (soprattutto dal periodo dei Comuni in poi), favorendo una maggiore interazione a Nord — Nord Est con gli Sloveni carinziani e i Tedeschi, a Sud — Sud Ovest con i Friulani e i Veneti, ha determinato sui dialetto sloveno locale un maggiore influsso, da una parte dei paleotedesco e dello sloveno carinziano, dall’altra del paleofriulano e paleoveneto.

Nel XV sec. abbiamo già dei documenti scritti parzialmente in dialetto (vedi, relativamente alle Valli, il manoscritto di Castelmonte, che contiene il Pater, l’Ave e il Credo ed altre annotazioni, conservato nell’Archivio capitolare di Cividale, databile, secondo Angelo Cracina che ne ha curato la pubblicazione, dal 1498 ai primi anni del 1500; ma anche, per la zona circostante, il manoscritto di Udine, autore Nicholo Pentor, datato 29 ottobre 1458, che contiene un elenco di numerali dall’1 al 40, le centinaia fino a 500 e alcuni termini per le migliaia; e il catapan di Cergneu, più conosciuto con il nome di manoscritto di Cividale, che contiene atti di donazione alla Confraternita di 5. Maria di Cergneu (presso Nimis)), ma non è improbabile che si possano rinvenire documenti ancora più antichi, scritti parzialmente in dialetto, soprattutto relativi a donazioni di terreni (o “pustote”).

Angelo Cracina (nel “Koledar Mohorjeve družbe 1974” - Gorizia, pag. 142) sostiene che:
“I manoscritti di Frisinga (Brižinski spomeniki) datati attorno all’anno 1000, il manoscritto di Klagenfurt (Celovski rokopis) 1360—1390, e il manoscritto di Castelmonte (Starogorski spomenik) dimostrano chiaramente che nell’intera area culturale slovena si è formata una lingua ecclesiastica uniforme già nel Medio Evo;...”.
Personalmente ritengo che tali manoscritti attestino una rivalsa progressiva della lingua slovena sul latino nell’ambito liturgico.

Se si può ritenere che la lingua slovena d’oltr’Alpe abbia influito, assieme alle altre lingue di contatto slovene e non, ininterrottamente sul dialetto sloveno delle Valli, si può senz’altro ritenere che questo influsso raggiunse il suo apice in un periodo che va dal XVIII al XIX sec., periodo in cui furono diffusi, soprattutto nelle Valli, ma anche nella zona slovena contermine (Vai Torre e Val Resia), una messe di catechismi, messali, libri di preghiere e di devozione, tutti in lingua letteraria slovena.

Per quanto riguarda il culto, le preghiere, i canti, e la liturgia, si conformavano in questo periodo a quelli della vicina Slovenia ed erano in lingua slovena (in sloveno letterario o in sloveno sovradialettale = sloveno dialettale nobilitato con prestiti di ogni genere dallo sloveno letterario).

Parecchi preti locali usavano uno sloveno sovradialettale nelle prediche soprattutto (vedi ad es. Pietro Podrecca 1822 — 1889 —, del quale quattro prediche scritte di suo pugno, sono state pubblicate recentemente ad opera di Pavle Merku, nel “Letopis za leto 1971”; Narodna in Studijska knjižnica v Trstu).

Non bisogna poi dimenticare, come giustamente fa rilevare F. Gujon, anche un’altra importante occasione d’influsso della lingua letteraria slovena sul dialetto:

“Frequentemente nelle diverse Cure venivano organizzate le “Missioni” della durata di 8 giorni.
Queste missioni erano tenute da religiosi sloveni prevalentemente di Ljubljana.
In tali occasioni l’afflusso della gente era straordinario per tutti gli Otto giorni. La chiesa era molte volte incapace di contenere i forestieri che facevano ressa per non perdere nessuna delle quattro istruzioni della durata ciascuna di almeno un’ora” (P. Gujon, La gente delle Valli del Natisone, pag. 44)

E questo processo di diffusione della lingua letteraria slovena nelle Valli e nella restante Slavia Veneta aumentò soprattutto dalla metà del XIX sec. in poi con lo aiuto della “Mohorjeva družha” (“Società di S. Ermacora”) di Celovec (Klagenfurt) che stampò e diffuse nella Slavia Veneta moltissimi opuscoli con finalità religiose, ma anche altri libri sempre scritti in sloveno letterario, che trattavano di agricoltura, tradizioni, storia, costumi del popolo sloveno.

Nel 1897 gli abbonati a questa Società Libraria nella Slavia Veneta erano 209 per salire a 337 nel 1910.

Il Musoni nell’op. “Sulle condizioni economiche, sociali e politiche.. .“ a pag. 11 ci riferisce che ogni anno arrivano nel Friuli 1200 libri mandati da questa società.
Lo stesso Musoni poi nella stessa op., a pag. 10, ci riferisce che nello stesso periodo arrivavano nella Slavia Veneta parecchi giornali sloveni d’oltre confine.

Non bisogna inoltre dimenticare che è proprio nel XIX sec. che si accentua quella migrazione temporanea del “commercio ambulante”, il cui inizio non è documentato, ma che si può supporre sempre più intensa almeno dal XIII sec. in poi; fenomeno questo del commercio ambulante che, se da un lato ha contribuito all’accrescimento della ricchezza economica del Friuli slavo (e non solo di quello slavo) ed ha elevato le condizioni di vita dei suoi abitanti, dall’altro ritengo che abbia avuto un certo influsso anche sui dialetti sloveni che vi si parlavano.

Dal 1866 in poi, con la dominazione italico—piemontese delle Valli, più che di un progressivo influsso sul sistema linguistico dei dialetti sloveni locali (compreso naturalmente quello delle Valli), si può parlare di una cosciente e programmata opera di assimilazione dei dialetti sloveni locali e in genere della cultura slovena locale alla lingua italiana e alla sua cultura.
(Vedi documento alla nota b a pag.53 ).

A questa opera di assimilazione degli ‘Slavi~’ del Friuli ci si dedicò con costanza operando in più settori, soprattutto con l’istituzione dell’Istituto Magistrale di S.Pietro e delle scuole inferiori, e più recentemente con una rete capillare di scuole materne gestite dall’O.N.A.I.R. (Opera Nazionale Assistenza Italia Redenta), e cominciando subito già nel XIX sec. a favorire una campagna diffamatoria a mezzo stampa (c).

Senonché quest’opera di assimilazione, almeno inizialmente, non sembrò fare molti progressi.
Lo stesso Musoni, agli sgoccioli del XIX sec. (1895), nell’op. “Sulle condizioni economiche, sociali e politiche...”, a pag. 9, dopo aver fatto notare come tutti i comuni delle Valli siano provvisti di scuole elementari inferiori, dice: “. . .
La istruzione però come viene impartita non raggiunge lo scopo che si propone: lo scopo cioè di far apprendere la lingua italiana. Si può dire, è vero, che ormai, specialmente in pianura, viene intesa e parlata da tutti, ma ciò perché appresa praticamente, fuori del paese, sui mercati, ai lavori, sotto le armi, (d), più che a scuola o sui libri.
Senonché la lingua dei libri si intende poco o nulla, ragione per cui si legge pochissimo in lingua italiana, si legge assai più, come vedremo, in slavo ....“ e a pag. 11, continua così: “... quindi nè di libri nè di giornali italiani esso fa acquisto, se non raramente. Comprende invece quanto basta la lingua slovena, anche scritta, e perché poco dissimile dal dialetto e soprattutto in grazia del clero, il quale, avendo cominciato da alcuni anni a questa parte a far uso nelle chiese di un linguaggio più corretto di quello che abitualmente dal popolo si parli, ha convertito il pulpito in una vera cattedra di lingua, praticamente e con molto profitto insegnata.
Ecco perché.... a quelle italiane si preferisce l’acquisto di pubblicazioni slovene e la società di S. Ermacora si va facendo sempre più numerosi aderenti anche in Friuli.”.

Più avanti però, a pag. 15, parlando dell’abitante “slavo” (come lui lo chiama) delle Valli, aggiunge:

.... e in Friuli, a contatto necessario e continuo con la civiltà italiana, già ne subisce fortemente l’influsso e se ne mostra compenetrato in tutte le manifestazioni della vita.
La lingua ne è infarcita dì italianismi; l’assimilazione procede, lenta sì, ma continua; e purché non si commettano nuovi errori politici, determinanti reazioni che la ritardino o l’arrestino, verrà tempo nel quale in tutta l’Alpe Giulia, dalla classica vetta del monte su cui ascese Alboino, alle verdi acque del Natiso; dall’amena ed aperta Valle di Resia alla incavata Gola del Judrio, risuonerà dovunque l’idioma gentile (e) che unisce in un solo vincolo tutte le popolazioni italiche..

Abbiamo riportato per esteso queste ultime righe del Musoni, proprio perché ci sembrano indicative di una caratteristica ambiguità (più frequente nelle parti finali di un discorso o di un libro) di certi intellettuali delle Valli di quel tempo (vedi anche certi passi di Carlo Podrecca) che per dirla in modo proverbiale “danno un colpo al cerchio ed uno alla botte” e in certi punti dei loro scritti, se uno non conoscesse le ragioni di questo loro comportamento, sembrerebbe che si augurino che lo “Slavo” (come lo chiamano loro) delle Valli scompaia quanto prima per dar luogo a quella “civiltà che deve brillare ai confini”
(vedi docum. a pag. 53 riportato in nota a il Podrecca (a pag. 126, op. cit.; 1884)
a questo proposito riferisce:
“Alla Pretura di Cividale, cui più affluisce lo Slavo, egli non trova un interprete fisso e se lo vuole, bisogna che lo paghi del suo, ed in passato, non temo di essere smentito, veniva minacciato di prigione per non sapersi spiegare in italiano! Una volta un R. Commissario stimò debito suo di fare un casus belli e di chiedere speciali istruzioni al Ministero, perché nel distretto si usavano i catechismi slavi.”

Per dare un’idea il più possibile completa della situazione in cui si trovava in quel periodo il “dialetto” sloveno delle Valli e gli altri dialetti sloveni del Friuli, riportiamo ancora quanto ne dice (come risulta dalla citazione che ne fa il Podrecca, op. cit.;1884; pag. 133) il R. Provveditore agli studi, cavalier Massone nella sua Relazione
— L’istruzione popolare nella provincia di Udine nell’anno scolastico 1882 — ‘83 —:“Solo fra 36.646 abitanti, quindici comuni sparsi fra i monti delle Giulie è ancora dominante la lingua slava, che, come ognun sa, nulla ha a che fare colla lingua italiana, ma che, e per effetto delle scuole e del movimento commerciale, accenna a scomparire lentamente, benchè in alcuni siti si mantenga ancora con tenacità, e sia riguardata quasi come un patrimonio privato.”
E dobbiamo concordare con il cavalier Massone quando indica nelle scuole italiane e nel movimento commerciale i motivi principali della “disgregazione” dei dialetti sloveni del Friuli, anche se mi permetterei di sottolineare che più che la scuola, il movimento commerciale, come già bene aveva visto il Musoni, deve essere considerato il principale responsabile della progressiva infiltrazione di neologismi e delle generali trasformazioni-e adattamenti a cui il sistema linguistico del dialetto sloveno delle Valli e degli altri dialetti sloveni del Friuli era soggetto.

Proprio da questo periodo in poi, quando, per i cambiamenti in atto nei sistemi di vita e per un generale progresso sociale ed economico, il sistema linguistico dei dialetti sloveni del Friuli (compreso naturalmente quello delle Valli), a causa della sua arcaicità, ha necessità urgente di adeguarsi ai “tempi nuovi” che si stanno affermando, adattando il suo repertorio linguistico alle nuove esigenze, è costretto a ricorrere, per prestiti soprattutto lessicali, alla lingua italiana, anche perché, imbrigliato com’era nella nuova realtà friulano-italiana, aveva perduto ormai i contatti con le ultime vicende evolutive delta lingua slovena d’oltre confine.

Particolarmente drammatica si fa poi la situazione dei dialetti sloveni del Friuli nel periodo fascista, quando si giunge a graduali pressioni di ogni tipo (sequestro di catechismi e libri sloveni, ricatti, pedinamenti, ammonimenti, convocazioni in Questura e Pretura, ed altri tipi di violenze morali e fisiche) operate soprattutto sul clero locale, ritenuto a ragione una delle forze culturali direttrici della popolazione slovena del Friuli.
La situazione giunge all’apice nell’agosto del 1933: il giorno 7 di quel mese il prefetto Testa di Udine fa visita all’Arcivescovo Nogara e gli porta l’ordine di Mussolini di interdire l’uso della lingua slovena nella predicazione e nell’insegnamento del catechismo.
Senonché questa proibizione ebbe sulla popolazione l’effetto di una ventata e le cose, a poco a poco, tornarono come prima. Ma ormai i dialetti sloveni del Friuli (molto meno quello di Resia, in quanto ancora abbastanza isolato) sono sottoposti ad una pressione ogni giorno più forte.

Un continuo processo di infiltrazione di neologismi e di “ammodernamento” nei dialetti sloveni del Friuli, accentuandosi dai primi del XX sec. in poi, è attualmente in ritmo crescente e non accenna a diminuire, proprio per la pressione continua esercitata dalla lingua e dalla cultura italiana che penetra nella realtà delle Valli del Natisone e del Friuli Slavo da tutti i canali (scuole, mass—media, amministrazione pubblica, contatti di lavoro,ecc...).

Paolo Petricig in “Alcune annotazioni sulla lingua e la cultura nella Slavia :italiana” (testimonianza alla conferenza internazionale sulle minoranze a Trieste, 10-14 luglio 1974) descrive così questo processo di penetrazione dell’italiano nel dialetto sloveno delle Valli:
“La penetrazione dell’italiano ha assunto da anni un carattere definitivo, quando alla scuola si sono aggiunte, moltiplicandosi, le occasioni sociali e le comunicazioni di massa. La penetrazione dell’italiano si verifica in primo luogo nella estensione spaziale, dai fondovalle verso la montagna, poi nei livelli, dai ceti superiori a quelli meno abbienti e contadini e quelli meno scolarizzati; infine nei modi espressivi, da quelli ufficiali, socialmente neutri a quelli più immediati e familiari."

In via indiretta la penetrazione dell’italiano avvenne per mezzo dell’iniezione graduale di apporti lessicali ed espressivi e soprattutto neologismi nella lingua slovena locale, secondo le onde di diffusione spaziale sociale e di stile sopra descritte”.

Attualmente un certo risveglio della propria coscienza etnica sta interessando una parte della popolazione slovena del Friuli ed un numero molto limitato di Sloveni del Friuli sta approfondendo anche la sua conoscenza del dialetto e della lingua slovena letteraria, ma questa limitata presa di coscienza non è, a mio parere, sufficiente ad arginare una progressiva “italianizzazione” non solo del dialetto sloveno, ma anche dell’essere, dei costumi di vita dello Sloveno del Friuli.
Quella politica scolastica intrapresa già dalla seconda metà del XIX sec. sta dando ora i suoi frutti più evidenti, ed anche quel “movimento commerciale” (come l’aveva definito il cavalier Massone nel 1883), cioè il settore economico (ora anche come “inquadramento nell’ambiente del lavoro”), sta avendo i suoi risultati; i mass—media, con la loro pressione continua anche nei vuoti lasciati dagli altri due settori, completano il quadro.

Ora le occasioni d’uso del dialetto sloveno delle Valli del Natisone (analogamente a quanto, in misura maggiore o minore, avviene per gli altri dialetti sloveni del Friuli) si vanno restringendo sempre di più (anche se nuove forze, vedi ad es. i vari circoli culturali del Friuli Slavo in qualche misura tentano di arginare questa tendenza con lodevoli iniziative: vedi ad es., relativamente alle Valli del Natisone,
il concorso annuale per “un tema in dialetto sloveno” — “Moja vas”;
l’annuale festiva_della canzone dialettale slovena “Senjam beneške piesmi”, organizzato dal circolo culturale “Rečan” di Liessa;
l’attività teatrale del “Beneško Gledalìšče” che porta in scena testi scritti nel dialetto delle Valli (da I.Predan, B. Strazzolini, ed altri);
non si possono inoltre dimenticare tra la stampa locale il quindicinale “Novi Matajur” e il mensile “Dom”, che contengono articoli generalmente o in lingua slovena letteraria, o in “Sovra-dialetto” o in italiano;
e si potrebbero citare ancora numerose iniziative;
degno di particolare menzione è, tra l’altro, il fatto che da due anni a questa parte pure la R.A.I. manda in onda programmi in dialetto sloveno dedicati al Friuli Sloveno).

Note

(a)
Naturalmente qui per il termine “Sloveni” valgono le analoghe considerazioni già fatte sullo stesso termine nella premessa.

(b)
Lo storico Nicoletti, relativamente al periodo in cui gli ‘Sloveni” si insediarono in certe zone della bassa friulana, afferma che “il linguaggio slavo era assai più usato nei villaggi di quello che la favella forlana, allora incolta e di un ingrato suono” (Manzano, “Annali del Friuli” 11, pag. 111).

(c)
C. Podrecca (nell’ op. cit. 1884, a pag. 25) ci riferisce ad es. sul conte Prospero Antonini il quale alle pagg. 226,518 e 520 del suo “Friuli Orientale”, parlando dei dialetti sloveni della Slavia Friulana, cosi si esprime:
“quei parlari imbastarditi e corrotti che si accostano più o meno ai linguaggi transalpini, che slovenzi, vindi, carentani soglionsi denominare... ibridi vernacoli delle genti slaviche stanziate di qua delle alpi ... corrottissimi gerghi misti di locuzioni prese a prestanza dai dialetti veneto — carnici e ripieni di vocaboli in molta parte derivati dall’idioma romanico”.

Ed ancora il Podrecca (nella stessa op.,alle pagg.25—26) ci riferisce:
“Il Fanfulla del giorno 26 luglio 1884, nel suo articolo di fondo intitolato: Un microbo (!), parlando in anticipazione di questa operetta da lui intitolata la giovine Slavia (?), non esita di asserire:
“Sono quattro o cinque migliaia di contadini disseminati nell’alto Friuli, che parlano lo slavo come io parlerei l’ottentotto, cioè un gergo barbaro di una lingua barbara”

(d)
Sottolineatura mia.

(e)
Sottolineatura mia.

Le considerazioni di alcuni linguisti sul dialetto delle valli del Natisone.



Uno dei primi ad occuparsi dei dialetti del Friuli Slavo fu il linguista polacco Jean Baudouin de Courtenay, il quale, come ci informa il Podrecca (nell’op. cit.; 1884; a pag. 27), “dopo di aver nel 1873 percorsi a piedi tutti i monti e le valli del distretto di S. Pietro, assicurava di aver trovato in questo il dialetto che più si avvicinava all’antico slavone, astrazione fatta da alcuni inevitabili neologismi veneti e friulani, e concludeva:
se la vostra lingua fosse parlata da due milioni di abitanti, essa potrebbe chiamarsi la madre della lingua slava”.

Il Baudouin de Courtenay inquadrava il dialetto delle Valli del Natisone in un sistema di quattro gruppi dialettali slavi:
Slavi di Rezja (Resia), Slavi del Ter (Torre), Slavi della Nadiža (Natisone), Slavi della “Stara Gora” (“Vecchio Monte” Castelmonte) (chiamati dai linguisti successivamente “Sloveni del Collio”).
Sempre secondo Jean Baudouin de Courtenay, il dialetto del Natisone e quello del Torre possono aver avuto, nel passato, legami piuttosto stretti con l’area linguistica čakava e rappresentano, dal punto di vista genetico, un’estensione della lingua serbocroata.
Ancora secondo il Baudouin de Courtenay, il dialetto del Natisone, nonostante conservi la propria base serbocroata, ora è un dialetto molto meno čakave del dialetto del Torre, perché ha avuto, nel passato, un forte impatto con lo sloveno.
La parlata resiana poi manifesterebbe uno stretto contatto con un elemento turanico (presumibilmente avaro).

In particolare il B.d.C. fece notare nei dialetti della Slavia Veneta la presenza di un gran numero di arcaismi ed innovazioni riscontrabili nel dialetto čakavo della lingua serbocroata.

Il geografo Francesco Musoni, a proposito del dialetto delle Valli del Natisone, dice che gli Sloveni dal Canale di Resia alla gola del Judrio, sono nient’altro che un riversamento o propaggine di qua della frontiera degli “slavi austriaci” e, dopo aver distinto gli “slavi” del Friuli in quattro gruppi (come già aveva fatto il 13.d. C.)
1) Resiani, 2) Slavi del Torre, 3) Slavi di S. Pietro al Natisone e 4) Slavi dello Judrio —
afferma: “Quantunque tale divisione s’imponga sotto il rispetto scientifico, linguistico ed etnografico, tuttavia gli ultimi tre gruppi non differiscono tra loro se non per leggerissime sfumature; solo il resiano ne diversifica, non però più di quanto si scosta dalla lingua letteraria italiana la maggior parte dei nostri dialetti” (“Slavi e Tedeschi in Friuli secondo l’ultimo censimento, Roma 1903).

B. Gujon nell’op. “Le colonie slave d’Italia”, dopo aver affermato, a pag. 8, come il Musoni, che “gli slavi dell’Italia settentrionale..., in continuazione degli slavi dell’Austria, coi quali hanno l’origine comune, costituiscono come un promontorio etnografico, come una punta avanzata per entro i termini del vecchio mondo latino” e dopo essersi soffermato sui problemi riguardanti la loro origine, passa a trattare di loro dal punto di vista linguistico (pagg. 12—13).
Innanzitutto il Gujon riporta la divisione del B. d. C. degli “Slavi giulii” in quattro gruppi, aggiungendovi però un’ulteriore divisione all’interno degli “Slavi del distretto di S. Pietro”:
“Non è da credere che una stessa parlata raggruppi gli Slavi del distretto di S. Pietro. Una notevole differenza si avverte all’incontro fra il parlare degli Slavi della valle del Natisone e quelli della valle dell’Erbezzo, fra i Nediški ed i Recanji (da Reka, fiume, come sogliono chiamare l’Erbezzo).
L’accento tonico Slavo dei Rečanji non sempre corrisponde a quello dei Nediški inoltre i protonici ed i postonici, caratteristici delle lingue slave, sono più frequenti e discordi dal tipo di paleoslavo nella parlata dei Rečanji che in quella dei Nediški, più propriamente korutana-slovena; infine elementi lessicali esotici più frequenti tra i Rečanji che tra i Nediški”.

Continua poi sostenendo, in base a tale distinzione linguistica, una immigrazione dei Rečanji nelle Valli posteriore a quella dei Nediški. Successivamente alle pagg. 22—29, sotto il titolo “Appunti fonologici”, prendendo come “termine fondamentale comparativo” “la base yugoslava primitiva del serbo”, analizza nel sistema vocalico e consonantico le corrispondenze tra il serbo antico e il dialetto delle Valli del Natisone (riportando, secondo la distinzione tra Nediški e Rečanji già operata, le varianti rispettive per la zona di S. Pietro e la zona di S. Leonardo.

Il linguista sloveno Fran Ramovs
— nella sua “Historična gramatika slovenskega jezika”, VII, Dialekti Ljubljana 1936 —,
analizzando il sistema linguistico sloveno, vi distingue più di 40 dialetti e parlate che lui divide in 7 gruppi (o “basi”, come lui le chiama) dialettali (ciascuno dei quali a sua volta comprende più dialetti che hanno un “timbro sonoro” simile); all’interno di questo sistema, il dialetto delle Valli del Natisone fa parte della “base litoranea” (“Primorska baza”).

Lungo la linea di tale interpretazione si muovono anche altri linguisti sloveni attuali, quali Logar, Rigler, Merku, Lenček, che abbracciano i dialetti sloveni parlati nei Friuli nell’ “area linguistica occidentale slovena”, facendo vedere, sulla scia del Ramovs, come tali dialetti sono frutto dell’evoluzione linguistica all’interno del sistema della lingua slovena e come il dialetto delle Valli del Natisone e gli altri dialetti sloveni parlati nel Friuli abbiano arcaismi e particolarità in comune con altri dialetti sloveni.
Sempre secondo tali autori gli arcaismi del dialetto sloveno delle Valli trarrebbero origine dalla “lingua paleoslava comune” da cui si sono evolute tutte le attuali “parlate” slovene.

A.M. Raffo (in “Alcuni rilievi sulle parlate della Slavia veneta, con particolare riguardo alla Val Natisone” —nel volume: “Val Natisone” — Udine 1972), parlando del dialetto delle Valli del Natisone, così si esprime:

“... è un dialetto slavo arcaicizzante,fortemente deteriorato nella morfologia e nel lessico dagli apporti esterni,dalla debole comunicatività ed in via di naturale estinzione”.

Concludendo, mi sembra (partendo da alcune formulazioni esaminate da Paolo Petricig nell’articolo “Slavia veneta: “etnia, lingua e cultura al bivio”, in Quaderni Friulani 7, giugno 1977)

di poter dare una definizione del problema in questi termini:
“il dialetto delle Valli del Natisone è un ‘dialetto’ sloveno nella cui preesistente matrice arcaica paleoslava sono progressivamente filtrati elementi fonetici, morfologici e lessicali di altri ‘dialetti’ e ‘lingue’ (estranei al ceppo slavo), man mano che tale ‘dialetto’ entrava in contatto, nel corso della sua evoluzione storica, con tali ‘dialetti’ e ‘lingue’ estranei (soprattutto tedesco, italiano, friulano, veneto).

Per quanto poi riguarda gli influssi su tale dialetto più antichi, di presunta derivazione croata o altri influssi di altre lingue del ceppo slavo, bisogna, a mio parere, ammettere in linea teorica almeno tre possibilità:

o a)
il dialetto sloveno delle Valli del Natisone ha assunto tali caratteristiche (ritenute derivate da altre lingue del ceppo slavo) direttamente da un “sistema linguistico paleoslavo con differenziazioni interne già evidenti, ma ancora esigue in confronto a quelle attuali” a cui per le stesse caratteristiche hanno attinto anche le lingue del ceppo slavo in questione

o b)
tali caratteristiche gli sono effettivamente derivate dalle altre lingue slave in questione

o c)
tali caratteristiche sono frutto (secondo una dinamica linguistica comune al sistema delle varie lingue del ceppo slavo, o limitatamente alla sola lingua slove— na — come sostengono i linguisti sloveni quali Ramovš, Rigler, Logar, Lenček, Merku) dell’evoluzione linguistica progressiva interna a ciascun sistema linguistico (sistema che, per gli autori sloveni sopra menzionati comprende tutti i 40 e più dialetti sloveni, ma che, a mio parere, comprende globalmente tutte le ‘lingue’ — ‘dialetti’ con cui una determinata ‘lingua’ — ‘dialetto’ entra in contatto in misura maggiore o minore nel corso della sua “vita”.
Perciò, rispetto al termine “sistema linguistico” considererei almeno tre livelli:

a)
— sistema linguistico molto ristretto proprio d31 “dialetto” — “lingua” in esame (es. il dialetto delle Valli);

b)
— sistema linguistico più allargato comprendente il “dialetto” — “lingua” in esame ed altri “dialetti” - “lingue” similari (es. il dialetto delle Valli + tutti gli altri dialetti sloveni già studiati dal Ramovš);

c)
— sistema linguistico ancor più allargato comprendente il “dialetto” — “lingua” in esame e tutti gli altri “dialetti” — “lingue” che hanno contribuito in misura maggiore o minore alla sua evoluzione (es. “dialetto” - “lingua” delle Valli + tutti gli altri “dialetti” —“lingue” sloveni + tutti i “dialetti” — “lingue” del ceppo slavo + altri ”dialetti” — “lingue” di contatto: ad es. qualche forma di latino parlato, tedesco, veneto, friulano, italiano e possibilmente altre di cui non abbiamo documentazione).

Tenendo presenti poi i casi a,b,c, considerati si può pensare che certe caratteristiche del dialetto delle Valli del Natisone (considerato non solo nel suo bagaglio attuale, ma nell’interezza dei suo bagaglio storico — e quindi anche nei suoi elementi caratteristici una volta esistiti ed ora ormai estinti) gli siano derivate direttamente da una “lingua paleoslava comune” (caso a) (anche se la si può pensare già differenziata, per quanto in maniera ancora esigua), altre le abbia assunte da qualche determinato “dialetto” — “lingua” del ceppo slavo (caso b), ed altre ancora gli siano derivate da un’evoluzione interna al sistema linguistico suo proprio (in senso stretto o largo, come già considerato nel caso e).

Alcune particolarita’ linguistiche del “dialetto” sloveno

delle valli del natisone rispetto alla lingua letteraria slovena e rispetto alla articolazione linguistica interna alla zona delle valli.

Riportiamo qui innanzitutto l’elenco delle particolarità che individua nel “dialetto del Natisone” Tine Logar, uno dei più accreditati linguisti sloveni contemporanei. Traducendo dallo sloveno letterario in italiano ciò che il Logar dice, riferendosi al nostro dialetto, ho cercato dì attenermi il più possibile alla “lettera” del testo.

Ecco quanto afferma il Logar:


“Il dialetto del Natisone si parla presso il Natisone e i suoi affluenti in Italia.


Particolarità di questo dialetto sono:


il sistema monottongico—dittongico delle vocali lunghe e accentate: i: u: ie uo e: o: a:, è rappresentata in questo dialetto anche la palatale dolce 1: ; ie ed uo tengono il posto dei paleoslavi è ed ò;

e: ed o: poi tengono il posto di tutte le vocali “eizzanti” e “oizzanti” nelle sillabe slovene lunghe (e è ò o) quindi anche entrambe le nasali, quando invece a: si è evoluta dalla paleoslava a: e dalla semivocale slovena nelle sillabe lunghe (è:).

Con le proprie larghe e:/o: per le precedentemente menzionate vocali paleoslave il dialetto del Natisone ha conservato una grande arcaicità, che attesta soprattutto questo, che qui le nasali hanno perso tardi la propria componente nasale. Già nel vicino dialetto dell’Isonzo invece le e: ed o: del Natisone si sono dittongate in le ed uo e poi più tardi per lo più sono sfociate in ie/uo o perfino i:e/u:e.

L’accentuazione, relativa all’intonazione, delle vocali lunghe, che sono possibili in tutte le sillabe della parola, e l’accento dinamico delle vocali brevi, che si pronunciano solo nelle ultime sillabe della parola o nei monosillabi.

L’arcaico accento di parola delle parole polisillabe, che nel paleoslavo erano accentate alla fine, nella sillaba prima dell’accento (protonica) invece erano e/o oppure b/o (sestrà, kosà, maglà).

Il dialetto non conosce la semivocale e, al suo posto si pronuncia a.

La riduzione delle vocali brevi non accentate ha interessato principalmente solo “i” prima della pausa e le vocali alte in prossimità delle (consonanti) sonore, quando invece -o<-o, -o ridotto o perfino sfocia in u.

L’ “aizzazione” è sporadica, 1’ “uizzazione” e l’ “iizzazione” non le conoscono.

Il sistema consonantico ha seguito questo sviluppo:
h Non conosciuta è la l/, mentre le occlusive sonore hanno perso il suono davanti alla pausa, ( -g < - X)"
(Tine Logar, “Slovenska nareàčja” — it. “Dialetti sloveni” —; Mladinska knjiga v Ljubljani 1975; pagg. 105 — 106).

Pensiamo che il Logar per individuare queste caratteristiche del “dialetto del Natisone” (a) non si sia basato solo sui tre testi dialettali registrati a mezzo magnetofono dalla viva voce di una abitante di Sorzento, testi che lui ha trascritto alle pagg. 56 — 58 della sua op. cit. “I dialetti sloveni”; però facciamo notare che le particolarità indicate dal Logar rappresentano solo una parte delle particolarità riscontrabili nell’intero ambito delle Valli del Natisone.
Infatti, se fossero studiate tutte le varianti esistenti nella zona ad arricchire di molto la casistica delle particolarità presentata dal Logar.

Ciò che mi preme far notare è che testi dialettali di Sorzento o di qualsivoglia zona ristretta delle Valli del Natisone non possono essere considerati “rappresentativi” dell’intera zona delle Valli, ma solo “indicativi”.
Solo uno studio linguistico meticoloso e capillare relativo a tutta la zona delle Valli può portare ad un risultato “completo”.

Per dare un’idea della estrema articolazione del sistema dialettale delle Valli del Natisone, articolazione relativa a tutte le “zone linguistiche” delle Valli, prendo spunto da quanto afferma il Logar in un passo della sua conferenza sui “dialetti sloveni” tenuta a Scrutto (S .Leonardo) in occasione del primo ciclo degli “Incontri culturali”, 1973—74, conferenza pubblicata assieme alle altre in un opuscolo a cura del “Centro Studi Nediža” — Editoriale Stampa Triestina — 1978 —.

A pag. 12 di quest’opuscolo si trova questa affermazione del Logar, relativa agli spostamenti d’accento:
“Il più diffuso dal punto di vista territoriale è il passaggio dell’accento dalla sillaba finale breve alla vocale breve protonica (ženà, nogà žéna, nòga).
Questo fenomeno..., non si verifica in una parte dei dialetti della Carinzia e dell’estremo occidente (Rož, Val di Resia, Valle del Torre, Valle del Natisone).
Questi dialetti conservarono l’accento originale come pure il dialetto del ča e la lingua russa (ženà, nogà)”.

Vorrei far notare, a questo proposito, che, almeno relativamente alla zona linguistica di Tribil Sup. e dintorni (andrebbe poi verificato il caso relativamente alle altre zone linguistiche delle Valli) è vero che lo spostamento d’accento dalla sillaba finale breve alla vocale breve protonica non si verifica nella parola ženà (it. donna), però la parola “noga” (it. gamba) si diversifica ormai nettamente riguardo all’accentuazione dalla parola “ženà”, infatti attualmente non è “nogà”, ma “nòga” (quindi la precedente vocale breve protonica “o” di “nogà” si è allungata, dando appunto “nòga” e la “o” allungandosi ha acquistato un accento secondario, diminuendo 1’ “intensità” dell’accento che cade sull’ultima sillaba, che tuttavia è rimasto; non si può però escludere del tutto che sia in corso un processo di spostamento dell’accento dalla vocale breve della sillaba finale alla penultima sillaba (naturalmente questo fenomeno è solo ipotizzabile perché per attualizzarsi richiede tempi relativamente lunghi).

Inoltre vorrei ancora far notare che non corrisponde a verità ciò che il Logar dice nell’elencare le particolarità del dialetto del Natisone a pag. 106 dell’op. v “Slovenska Narecja”, quando afferma che “il dialetto (del Natisone) non conosce la semivocale e“; a questo proposito va invece detto, come già ha fatto rilevare il Petricig a pag. 64 del suo scritto “Alcune annotazioni...”, già cit., che la semivocale è presente nell’ambito delle Valli, si tratta solo di verificare la sua “fascia di uso” (che il Petricig indica in Montefosca, Topolò e Drenchia, ma che, personalmente, suppongo più ampia ancora) e di verificare (io aggiungo) i suoi “casi d’uso” che il Petricig limita alla “r fra consonanti”, ma che, a mio parere, dovrebbe potersi trovare anche in altri casi (forse ad es. — sono ancora ipotesi — nella prima persona singolare del presente indicativo del verbo essere: “‘sam” a Tribil Sup.; “sim” a Drenchia; “sam sla” (it. = sono andata) — dove la semivocale dovrebbe essere presente da qualche parte nelle Valli; “sam bla:” (it.=sono stata, ero) — dove pure la semivocale dovrebbe essere presente.

Lo stesso Petricig a pag. 65 dell’op. cit. fa notare la presenza del duale (del quale ho riscontrato alcuni casi anche nei testi analizzati della zona di Sorzento) e la presenza della “i” finale dei verbi all’infinito relativamente alla zona di Matajur (e un caso della “i” finale nella forma verbale infinitiva l’abbiamo riscontrato pure noi nell’analisi dei tre testi della zona di Sorzento ed è: “so čùli” (it. hanno sentito, sentirono).

Non ho avuto modo finora di occuparmi con serietà di questo settore linguistico delle Valli, per cui, solo per dare un’idea della complessità dell’argomento, ho passato rapidamente, senza tanta rneticolosità, in rassegna i tre testi di favole già menzionati trascritti dal Logar nella sua op. cit. alle pagg. 56—58, cercando di individuare i termini che subiscono delle varianti più o meno accentuate nella “parlata slovena” della zona di Tribil Sup. e dintorni.
Questo seppur rapido lavoro di confronto tra le due “parlate” della zona di Sorzento e di quella di Tribil Sup., se anche fatto solo sulla base dei tre testi menzionati, ha già fornito una indicazione abbastanza valida delle “divergenze” tra le “parlate” delle due rispettive zone linguistiche, “parlate” che ci fanno vedere come ciascuna “zona linguistica” delle Valli del Natisone, da un lato presenta delle particolarità rispetto a ciascuna delle altre “zone linguistiche” delle Valli (particolarità che variano rispetto ad una o ad un’altra zona linguistica), anche se ha un patrimonio linguistico in comune con tutte le altre zone linguistiche delle Valli, dall’altro ciascuna zona linguistica delle Valli può contribuire ad arricchire la casistica delle divergenze rispetto aria lingua letteraria slovena (e, per essere completi, rispetto a tutti gli altri suoi “dialetti”).

NOTE

(a)
Che il Logar con “Nadiško narečje” (lett. Dialetto del Natisone) abbia voluto comprendere la totalità delle Valli e non solo il dialetto relativo alla zona di Sorzento o più ampiamente alla valle del Natisone, ce lo dice testualmente a pag. 105, quando sotto il titolo “Nadiško narečje” specifica: “Il dialetto del Natisone si parla presso il Natisone e i suoi affluenti in Italia.”
Giorgio Qualizza
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