Le originalità del nediško - 3° Capitolo

E' bello conoscere e capire le specificità della lingua che si ama.
Questo vuol essere un piccolo apporto, un piccolissimo segno di amore e di devozione verso la lingua che i miei cari, che non ci son più, mi hanno trasmesso.

In questo file

Gli accenti tonici e fonici
Accento tonico nei dittonghi
Due articoli e una preposizione anomali

Considerazioni

Ho ancora nelle orecchie la voce del nonno, l'intonazione delle sue dolci parole, il suo accento dal sapore antico, quel esprimere con grande proprietà di linguaggio i sentimenti della sua anima.

Quante volte, in seguito anche da adulto, ho riprovato le stesse sensazioni ascoltando tante persone anziane. Voglio nominare alcune non per paura di dimenticarle, sarebbe impossibile, ma per ringraziarle con questo modesto atto della gioia che hanno saputo comunicarmi con le loro parole slovene.

La più indietro nel tempo la vecchia Štefanka, coetanea del nonno.
Di lei ricordo le preghiere.
Conosceva le preghiere più strane, anche quelle "za zapovjeduvàt" contro l'orzaiolo, contro la risipola, kar tej kròta oscàla, kar tej modràs osònu, le preghiere per i moribondi e tante tante altre.
Era orgogliosa del suo sapere e quasi te lo faceva pesare spiattellandotelo con sicumera, come lo facesse per brauroso orgoglio.

Poi la nòna Vančjònova dall'espressività estrema, una partecipazione al discorso e alla narrazione che ti avvinceva, ti ammaliava!
Neppure la più famosa attrice moderna saprebbe recitare con una espressività maggiore di lei le sue storielle.
Mio fratello, ormai giovanotto, ritornava a casa dalla "gorìca", quando la vedeva incamminarsi verso casa nostra per farsi medicare dalla mia mamma. Poi assieme supplicavamo la nòna perchè ci racconti, perchè parli non importa di cosa.

E lo zio Valentino che viveva in famiglia con noi!
Aveva un carattere collerico; per questo le poche volte che parlava ci metteva l'anima, una potenza espressiva prossima al furore.
Proprio per questo le sue parole mi affascinavano e ancor più i suoi canti, anch'essi sempre sfogo della sua appassionata esaltazione.

Allo stesso modo Vigjòn Bančjù, dal cuore d'oro ma di una veemenza espressiva inaudita quando parlava, che davvero spaventava chi non lo conoscesse.

La dolcezza, invece, della voce della nostra Paolina di Cicigolis, la cugina di mia mamma e mia naturalmente, anche solo nel ricordo mi commuove fino alle lacrime!
Quando mi parlava penso che la sua preoccupazione maggiore fosse quella di scegliere tutte le parole più delicate del suo repertorio e studiare di pronunciarle con tutta la gradevolezza, la soavità, la grazia possibili.
Era ammalata di una malattia che allora mieteva tante vittime.
Infatti, morì giovanissima, mamma di tre bambini.
Cosa pagherei per risentire le sue dolci parole!

In seguito, tornato da adulto nelle Valli, ho rigustato in tutta la sua espressività la bellezza della nostra lingua.

Fra tutte le persone che ho conosciuto in quel periodo la vecchia Mišòka è certamente la persona che meglio di qualsiasi altro era capace di esprimersi nella nostra lingua con grande proprietà di linguaggio, con una intonazione perfetta, con una signorile semplicità.
E ne aveva cose da raccontare!

Carlo Šìnku parlava ridendo. Perfino quando cantava l'interminabile sfilza dei suoi canti, non poteva farlo senza esprimere con la mimica del volto il suo irrefrenabile buon umore.
Anche per questo eri costretto ad amare le sue parole.

L'anziano Bazìlio Bevàndu misurava le parole con assoluta tranquillità, soppesandole e centilenandole come gocce di miele o di fiele a seconda delle situazioni.
Parole a volte pesanti come macigni ma sempre appropriate, azzeccate, eleganti, che finivano col diventare filosofia!

Nùnčič Mišòku era la semplicità in persona.
Aveva un carattere schivo ma se avevi la pazienza di attendere e di cogliere il momento giusto, gustavi tutta la linearità del suo semplice ragionare, come di chi sa esprimere i concetti più difficili con le parole di un bambino.

Santina Fàntičova mi ricordava la nonna di Vančòni.
Le assomigliava perfino fisicamente nella corporatura, nell'atteggiamento, nella voce, nell'accento, in quel saper dare ad ogni parola la carica, l'estro, il brio necessari e anche un pò di più.

Sono stati loro e tanti altri che porto nel cuore a trasmettermi un grande amore per la nostra lingua.

Gli accenti

L'accento tonico

Il termine accento abbraccia un ambito piuttosto vasto.
Parlando in generale, l'accento è l'inflessione di voce particolare, in pratica la pronuncia che caratterizza una regione, un ambito o addirittura, come succede qua da noi, un singolo paese.
Tanto che possiamo dire:
- dal parlare capisco che quello è napoletano, quell'altro è sardo o veneto o triestino -; e per riferirci alla nostra realtà:
- quello è di Montefosca o di Rodda o di San Pietro o di Vernasso... -

Più specificatamente, invece, l'accento è il risalto che si dà parlando a una determinata sillaba pronunciandola con maggiore intensità di voce o con diversa altezza di suono.

Questo si chiama precisamente accento tonico della parola.

Come vedremo può esserci anche un accento secondario di una sillaba lontana dalla tonica e su cui la voce deve tuttavia appoggiarsi.

E c'è anche l'accento fonico che caratterizza le vocali: aperte, chiuse, semimute, ecc.

Tutti questi accenti, comunque, sono legati alla pronuncia delle parole e interessano con modalità diverse da lingua a lingua anche la scrittura.

Lo sloveno letterario, per esempio, è caratterizzato dall'assenza totale di accenti nella scrittura. (Come curiosità diciamo che proprio per questo motivo troviamo difficoltà a scrivere sul nostro sito in italiano e in sloveno, dovendo usare due diversi set di codifica dei caratteri. Tecniche emergenti stanno per risolvere anche questo problema, unificando tutti i set di codifica dei caratteri e noi ne approfitteremo).

La lingua italiana usa gli accenti principalmente nella scrittura delle parole tronche, oppure quando l'accento tonico muta il significato della parola.
Come ad esempio si scrive:
àncora,
per non confonderlo con
ancòra.

Nella pronuncia, invece, nessuna lingua può prescindere nè dell'accento tonico, nè da quello fonico per una corretta dizione e, come conseguenza, per una corretta comprensione.

Sia l'accento tonico che quello fonico, infatti, abbastanza spesso cambiano addirittura il significato del termine.

Abbiamo citato sopra l'esempio dell'accento tonico. Citiamo per l'accento fonico le nostre parole

skopàc = trappola (à breve)
skopàc = capace (à lunga)

bùkva = faggio (ù breve)
bùkva = libri (ù lunga)

pas = cane (à breve)
pàs = cinghia (à lunga)

Mentre l'accento fonico può essere verificato attraverso il contesto della frase per cui può essere facilmente corretto nel caso in cui non fosse scritto, quello tonico può venir eseguito correttamente nella lettura solo se è segnato oppure se il lettore lo preconosce.

Proprio per questo motivo, per una dizione corretta e anche per facilitare la lettura, abbiamo deciso di segnare l'accento tonico su ogni nostra parola scritta, in modo che anche un estraneo che non sa nulla della nostra lingua possa pronunciarla correttamente.

Bisogna anche aggiungere che un corretto accento tonico non soltanto permette una corretta pronuncia delle nostre parole ma conferisce a tutta la lingua una sua peculiare, inconfondibile caratteristica.

Basterà portare un esempio.

Barka žena
si può pronunciare

bàrka žèna
o
barkà ženà

Un natisoniano non avrebbe nessun dubbio nella scelta dei due modi di pronunciare. Chi, invece, non conosce la nostra lingua quasi sicuramente non seglierebbe la seconda versione, che, invece, è quella corretta.

Per qualcuno saranno questioni di lana caprina.
Per chi ha a cuore la salvaguardia della nostra lingua e in particolare la conservazione delle sue peculiarità non solo non sono questioni di lana caprina ma problemi essenziali che vanno presi nella giusta considerazione.

Ecco perchè tenteremo di affrontare il problema dell'accento tonico con un accenno anche a quello fonico, pur sapendo di esser davanti un "mare magnum".

L'accento tonico delle nostre parole

Diaciamo subito che per quanto riguarda l'accento tonico della parola a volte c'è e a volte non c'è unanimità su tutto il territorio specie per quanto riguarda alcuni termini oppure nei termini declinati o coniugati.

L'accento tonico nell'infinito di tanti verbi

In generale si può dire che ci sono tantissimi infiniti di verbo che terminano tronchi, tantissimi in -ìt e in -àt, molti in -èt, ìet (dittongo) e in -ùt; nessuno in -òt.
Anche se non so quanto sia corretto considerarli tronchi, dato che, avendo eliminato la vocale finale -i (se veramente la -i c'è sempre stata), potrebbero essere considerati piani.
In pratica risultano tronchi.

Verbi che all'infinito terminano in -ùvat (-uvàt) -àvat -ovàt

Per continuare con i verbi, interessante il comportamente di quelli che possono terminare in -uvat -avat e -ovat.
Questi verbi non cambiano di significato a prescindere dalla loro desinenza.

Quando terminano in
-uvat,
spostano l'accento in maniera piuttosto aleatoria

uzdigùvat (accento sulla ù)
e anche
uzdiguvàt (accento sulla a).

Quando terminano in
-avat
terminano preferibilmente con l'accento -àvat

uzdigàvat.

Mentre quando terminano in
-ovat,
terminano sempre con accento -ovàt

uzdigovàt.

Esempi

zmarzùvat-uvàt/zmarzàvat/zmarzovàt = raggelare
spoštùvat-uvàt/spoštàvat/spoštovàt
bušùvat-uvàt/bušàvat/bušovàt
uzdigùvat-uvàt/uzdigàvat/uzdigovàt
ujskùvat-uvàt/ujskàvat/ujskovàt
šenkùvat-uvàt/šenkàvat/šenkovàt
spraznùvat-uvàt/spraznjàvat/spraznovàt
odrigùvat-uvà/odrigàvat/odrigovàt.

Alcuni verbi mancano di una delle due forme
Darùvat e i composti mancano della forma in -àvat
e provùvat di quella in -òvat, ecc.

Darùvat-uvàt/darovàt,
provùvat-uvàt/provàvat
norčinùvat/norčinàvat
norčùvat - norčuvàt/norcàvat
žalùvat-žaluvàt/žalovàt
dažùvat/dažovàt
kraljùvat/kraljovàt
ecc.

Altri hanno in pratica una sola forma.

zasùvat o zasuvàt
zuvàt
ufrùvat
mankùvat o mankuvàt
čistùvat

I precedenti verbi, che all'infinito terminano in -ùvat (-uvàt) -àvat -ovàt sono sempre verbi imperfettivi

I precedenti verbi, che all'infinito terminano in -ùvat (-uvàt) -àvat -ovàt sono sempre verbi imperfettivi, hanno perciò sempre significato di presente, di contemporaneità anche quando usano prefissi.

Esempio

Zdigùvan o zdigùjen, uzdigùvan o uzdigùjen, parzdigùvan o parzdigùjen (la stessa cosa con zdigovàt o zdigàvat) hanno tutti il significato di presente e quindi mai significato di futuro. Per il significato di futuro bisogna usare il relativo verbo perfettivo: zdìgint, uzdìgin, parzìgint, ecc.; uzdìgnen=alzerò; uzdigùjen=alzo (sto alzando).

L'accento tonico dei dittonghi

Un problema lo creano i dittonghi.
Il dittongo ha luogo sempre (quasi sempre) proprio sulla vocale che porta l'accento tonico della parola.
Nella lingua italiana la vocale originaria mantiene sempre l'accento tonico.

Esempio

òmo = uòmo
bòno = buòno
fèno = fièno
ecc.

Mentre nella nostra lingua quasi sempre la vocale diventa semivocale (perde l'accento tonico), quella che dovrebbe essere semivocale diventa vocale ossia acquista l'accento tonico.

Esempio

è = ìe

besèda
diventa
besìeda

svèt = mondo
diventa
svìet

lèp
diventa
lìep,

Spesso si vede scritto
besjeda, svjet, ljep
Forse c'è qualcuno che ha la tendenza a pronunciare (di conseguenza a scrivere) in questo modo, non so però quanto spontaneamente.
Personalmente sento pronunciare:

besìeda, lìep, svìet
perciò penso che così bisogna scrivere.

altri esempi
Bolèt/bolìet, brèg/brìeg, brènje/brìenje, brèskva/brìeskva, urèt/urìet, ecc., ecc.

ò = ùo

zvestò/zvestùo, zuonòvi/zuonùovi, zgòdnji/zgùodnji, pokòra/pokùora, ecc., ecc.

Accento secondario

Come già visto, nella parola può esserci anche un accento secondario di una sillaba lontana dalla tonica e su cui la voce deve tuttavia appoggiarsi.
Questo succede soprattutto nelle parole composte e anche negli imperativi specialmente di verbi con prefisso

velikonòčen; accento secondario su "li"
usakdànji; accento secondario su "sa"
usàkankaj; accento secondario sull'ultima sillaba
poberìtase; accento secondario sulla prima sillaba
prenès; accento secondario sulla prima sillaba.

Accenti tonici variabili

Diversi termini sono spesso usati con accenti tonici diversi

ankùl/ànkul
žlebnjàk/žlèbnjak
žembà/žèmba
žgànje/žganjè
zvarhà/zvàrha
ecc.

Accenti caratteristici

Altri termini, specialmente quelli tronchi, sono caratteristici della nostra lingua; perciò vanno tenuti particolarmente in considerazione anche nella scrittura.
Questi termini rimangono tronchi anche nella loro coniugazione.

Esempi

Molti sostantivi femminili

zenà
uodà
zemjà
varcà
uiskà
ucà
tetà
tamà
stazà
sovà
slavotà
smolà
skarlà
sestrà
sarnà
rosà
podkovà
postrovà
perà
pascà
osà
morà
medlà
maglà
lepotà
lazà
kozà
kosà
korà
kopà
izbà
igrà
iglà
gosà
gorà
daskà
čečà
čelò
bruzdà
broskvà
arjà
ecc.

Anche sostantivi plurali

sisè
rogè (-jè)
lasè (-jè)
očì
ecc.

Sostantivi maschili

očà
rašetò
kotù
tapù
sakù
pokrù
pojù
pakù
kotù
fazù
čarù
brozdù
ecc.

Sostantivi plurali

žekì
smetì
sodì
kostì
korzì
kolì
čebrì
ecc.

Sostantivi neutri

vesejè
stažè
sarcè
predenjè
pledenjè
ojè
kostjè
imè
icè
arjujenjè
zelenò
srebrò
rešetò
čelò
oknò
iklò
armenò
ecc.

Tanti aggettivi femminili il cui maschile termina in -èn

zgubjenà
zelenà
zdrobjenà
zbujenà
spečenà
osoljenà
zaledjenà
zasmojenà
zašùšenà
utečenà
usajenà
spotjenà
spečenà
spartjenà
rojenà
puščenà
pretečenà
ecc.

Anche

dobrà
mokrà
ostrà
ecc.

Alcuni aggettivi femminili diventano tronchi nella loro declinazione

Esempio

Nom. lìepa
gen. lepè
dat. lepì
acc. lepò
loc. lepì
str. lepò.
Lo stesso al plurale.

Da notare che, mentre al nominativo avviene il dittongo in quanto proviene dalla "è" accentata (lèpa), negli altri casi, non essendo la "e" accentata, il dittongo non ha luogo.

Interessante però notare che se usiamo la forma determinante natisoniana (adoperando, cioè, l'"articolo" "te"), il dittongo viene riesumato anche negli altri casi:

Nom. Te lìepa (es. zenà)
gen. od te lìepe
dat. te lìepi
acc. te lìepo
loc. (par) te lìepi
str. ( s) te lìepo

Allo stesso modo si comportano altri termini, ad esempio

blìed - blìeda, od bledè
slìep - slìepa, od slepè, ecc.
srìep - srìepa, od srepè
bùos - bùosa - od bosè

Accento fonico

L'accento fonico abbisognerebbe di uno studio veramente approfondito, che comunque esula dai nostri obiettivi.
Fra l'altro ci imbatteremmo in grandi difficoltà tecniche per la loro scrittura.
Non abbiamo, infatti, la possibilità di scrivere su questo sito i diversi accenti fonici.
Questo per ragioni tecniche (dovendo usare due diversi set di codifica dei caratteri per la questione delle strešice):
siamo impossibilitati ad usare correttamente l'accento acuto, quello grave e quello circonflesso; infatti, viene sempre usato quello grave per indicare soltanto l'accento tonico della parola.
Solamente nei monosillabi, dove non serve l'accento tonico, la presenza dell'accento indica l'allungamento della vocale e la sua assenza sta, al contrario, ad indicare la vocale breve.

Esempio

Pas = cane ("a" breve)
Pàs = cinghia ("a" lunga)

dug = lungo ("a" breve)
dùg = debito ("a" lunga)

Per la verità la nostra lingua ha tante inflessioni di suono che, oltre a essere problematico riprodurle nella scrittura, sarebbe ancor più problematico il leggerle.

Vogliamo, invece, richiamare l'attenzione sulla scrittura di quelle parole, nelle quali la lunghezza della vocale cambia il significato della parola stessa, per cui sarebbe opportuno a scanso di equivoci evidenziare l'accento fonico anche nella scrittura.

Comunque,per quanto riguarda l'accento fonico possiamo dire che

quando un termine nelle desinenze viene contratto, la vocale della desinenza (o l'ultima vocale del termine se manca la desinenza) è sempre lunga.

Per questo motivo le desinenze dell'infinito sono sempre lunghe, perchè nel natisoniano hanno perso la finale "i".

Così i genitivi plurali (e a volte anche altri casi) di certi termini che si contraggono perdendo la desinenza, allungano la vocale finale.

Esempio
od žèn ("è" lunga)
adirittura anche quando come conseguenza avvengono combinazioni inusuali di consonanti
od cìbc = dei pulcini ("ì" lunga)

Anche la terza persona singolare di parecchi verbi elide la desinenza e di conseguenza allunga la vocale precedente.

On se mòt
kòr = occorre (impersonale)

Il participio passivo di tanti verbi abbastanza spesso è uguale all'infinito nella scrittura.
Nella pronuncia però la vocale della desinenza del participio passivo è sempre breve.
La vocale, invece, della desinenza dell'infinito è sempre lunga (per il fatto già considerato che il natisoniano elide la "i" finale della desinenza infinita e, di regola, la vocale precedente l'elisione si allunga).

Esempio

Skrìt = nascondere (ì lunga) - infinito Skrit = nascosto (i breve) - participio passivo (Se interessa, vedere la VI° lezione della grammatica per quanto riguarda il participio passivo).

Due articoli e una preposizione anomali: "te", "an", "od"

E' risaputo che le lingue, che come il greco, il latino, il tedesco, lo sloveno utilizzano la declinazione dei nomi, non abbisognano dell'articolo.
La nostra lingua, pur usando le declinazioni, sembrerebbe averne due:

te
an

Cerchiamo di capire qualcosa con un esempio.

J paršù vìetar
J paršù te hùdi vìetar

La prima frase dice che è arrivato il vento.
Nella seconda frase viene usato il "te" per specificare che è venuto un tipo di vento che si sa essere cattivo.
Chiaramente il "te" ha valore indicativo.


Se decliniamo il "te", forse si capisce qualcosa di più.

Je paršù te lìep pas = è giunto il cane bello
Dlàka od tegà lìepega pisà je bìela = il pelo del bel cane è bianco
Dan temù lìepemu pisù za ìest = dò da mangiare al cane bello
San šù u jàgo stin lìepin pisan = son andato a caccia col cane bello

Dagli esempi sembra che non si tratta di un articolo vero e proprio ma dell'aggettivo dimostrativo "quello" o "questo".

Però possiamo benissimo riscrivere le stesse frasi, mantenendo il "te" indeclinabile.

Je paršù te lìep pas = è giunto il cane bello
Dlàka od te lìepega pisà je bìela = il pelo del bel cane è bianco
Dan te lìepemu pisù za ìest = dò da mangiare al cane bello
San šù u jàgo ste lìepin pisan = son andato a caccia col cane bello
Me so ušèč te bìeli pisì = mi piacciono i cani bianchi.


Ora si tratta di vedere se le frasi col "te" declinato e quella col "te" indeclinabile hanno lo stesso significato.
Prendiamo due frasi:


Dlàka od tegà lìepega pisà je bìela = il pelo del bel cane è bianco
Dlàka od te lìepega pisà je bìela = il pelo del bel cane è bianco

Nella prima frase il "tega" sembra mettere più in evidenza che è il pelo di questo bel cane è bianco.
Nella seconda frase, invece, si direbbe in pratica che un cane per essere bello deve avere il pelo bianco.

Secondo me, in pratica, il "te" introduce la forma determinante dello sloveno letterario.
Infatti,

nello sloveno letterario
Lep pas = un bel cane (forma indeterminante)
Lepi pas = il bel cane (forma determinante)

Nella nostra lingua
Lìep pas = un bel cane (forma indeterminante)
Te lìep pas = il bel cane (forma determinante)

Il discorso su "an" sembra meno scontato.
Rifacciamo la stessa strada.

J paršù an vìetar
J paršù an hùd vìetar

La prima frase dice semplicemente che è venuto un vento.
Perciò "an" sembrerebbe avere davvero il significato di articolo indeterminativo.
La seconda frase dice che è venuto un vento cattivo fra i tanti tipi di venti cattivi che ci sono.
Anche in questo caso "an" conferisce il significato di indeterminatezza al nome e quindi sembra un vero articolo indeterminativo anche perchè non esiste un corrispettivo nello sloveno letteraio.
Infatti per dire che è venuto un qualsiasi vento cattivo basta dire:

Je paršù hùd vìetar

Declinando

Je parsù an lìep pas = è arrivato un bel cane
Dlaka od nega lìepega pisà mùore bìt bìela = il pelo di un bel cane dev'essere bianco
Dan nemù lìepemu pisù za ìest = dò da mangiare ad un bel cane
San šù u jàgo znin lìepin pisan = son andato a caccio con un bel cane

Con i nomi declinati "an" non può restare invariato, ma varia a seconda dei casi. Per questo "an" sembra proprio la traduzione dell'articolo indeterminativo italiano "un".
Naturalmente lo stesso discorso si potrebbe fare per "te", se non ci fosse quel qualcosa di più che esso conferisce al nome. Infatti, non solo lo indica ma pure lo specifica, lo determina.

Comunque, sia "te" che "an" non solo si possono usare tranquillamente, anzi è bene farlo ogni qual volta si presenti l'occasione.

Non per nulla a Matajur e a Masarolis sono
"Te lìepe an te gàrde" (màškere).
Anche se chiaramente in questo caso il "te" ha significato dimostrativo.

Il discorso su "od" è molto più semplice.
"Od", infatti, (indicante il genitivo) è davvero una preposizione semplice, derivata pensiamo proprio dalla lingua italiana. Infatti, può essere usata ma se ne può tranquillamente fare a meno.

Esempio

Imè od mùojega pisà je čùdno = il nome del mio cane è strano.

Si può tranquillamente dire:
Imè mùojega pisà je čùdno = il nome del mio cane è strano.

Secondo il mio gusto la preposizione "od" indicante il genitivo va usata con assoluta parsimonia e se ne può fare anche a meno in quanto appesantisce il discorso.
Per un chiarimento maggiore sulla preposizione italiana "di" e sulla sua traduzione si può trovare qualche chiarimento nell'Ottava Lezione della Grammatica.
Nino Specogna
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