Lingua materna e lingue nazionali nella Slavia Friulana



Introduzione

Quando nell’ambito del Corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche decisi di scrivere la mia prima tesi di laurea su questo argomento, lo feci perché si era sviluppato in me un forte bisogno di fare chiarezza sul problema identitario.
Mi accorsi che per diversi anni ero rimasto senza una precisa identità (da intendersi in senso collettivo); questo a causa di alcune vicissitudini degli anni della mia infanzia e prima giovinezza. Anni cruciali in cui si pongono le basi per la costruzione della propria identità, sia individuale sia collettiva.

Quelle vicissitudini riguardano alcune esperienze di vita quotidiana e la frequentazione della scuola primaria bilingue di San Pietro al Natisone.

Ho ricordi di come da piccolo (prima di iniziare la scuola dell’obbligo) parlassi in famiglia e con i miei compaesani nel nostro dialetto e al di fuori di questa cerchia in italiano. L’intenzione dei miei genitori, pur nell’ambito di un matrimonio misto, era, credo, di farmi crescere perfettamente bilingue: dialetto/italiano così da tramandare la tradizione dei nostri avi.

L’apertura della scuola bilingue rappresentò agli occhi dei miei genitori l’opportunità di rafforzare il mio bilinguismo.
A distanza di quasi vent’anni mi chiedo:
bilinguismo riferito a quali lingue?
Alla scuola bilingue veniva e viene tuttora insegnato lo sloveno letterario, una lingua che, seppur contigua al nostro dialetto, esprime un vissuto diverso.
Inoltre, l’offerta didattico-culturale slovena poco o nulla coincideva con il mio assetto culturale.
Questa differenza mi portò così a considerare la lingua e la cultura slovene come apparati estranei a me, come lo sono altre lingue straniere che ho studiato.
La percezione della differenza culturale con il mondo friulano e italiano avrebbe potuto essere certamente utile ai fini del mio percorso identitario, tuttavia così non fu.

Lo studio dello sloveno ebbe l’effetto di allontanarmi progressivamente dal nostro dialetto, che se a 6 anni parlavo fluentemente a 10 lo ebbi per gran parte dimenticato.
Non accadde nemmeno che lo sloveno standard si sostituisse al dialetto in quanto al di fuori delle ore di lezione in lingua non avevo la possibilità di praticarlo: la gente intorno a me si esprimeva in italiano o in dialetto.
Così, concluse le elementari, registrai una doppia perdita:
quella del nostro dialetto, che una volta parlavo correntemente,
e quella della ricchezza della conoscenza di una lingua in più – lo sloveno.

Lo sloveno lo dimenticai presto, non semplicemente perché smisi di esercitarmi, ma anche perché maturai verso di esso un senso di forte estraneità.
Dovuto a cosa?
Le note diatribe e liti sulla questione della minoranza slovena – non slovena ebbero ripercussioni anche su di me, perché a causa di esse amicizie che ritenevo scontate si rompevano da un giorno all’altro.
I miei familiari venivano derisi, emarginati, colpevolizzati, discriminati, attaccati anche nelle semplici relazioni di paese per le loro posizioni sull’argomento.
Da ogni parte piovevano diktat su chi dovevamo essere.
E’ comprensibile come nella testa del bambino che ero si veniva a creare confusione e un gran disagio.
Allora il mio inconscio decise di risolvere il problema alla radice:
se il definirmi in qualche modo (sloveno, slavo) poteva trasformare in nemico chi fino al giorno prima era il mio migliore amico, allora era di gran lunga meglio non cercare di definirsi affatto.

Spero di essere riuscito a spiegare così brevemente il disagio che si è sviluppato in me e che credo abbia colpito e riguardi anche oggi molti altri bambini.

La maggior apertura mentale e intraprendenza intellettuale sviluppate nel corso degli anni universitari e il vivere all’interno di un ambiente multiculturale dove ognuno dichiarava senza pudore la propria provenienza e identità fecero esplodere in me la necessità di una netta revisione della mia impostazione identitaria:
pensarmi subito e solo come italiano o friulano non mi soddisfaceva più.
Dunque l’idea della tesi e dell’intervista.
Ora esporrò brevemente alcune considerazioni relative alla parte del questionario che attiene al problema identitario.

Identità locale e coscienza nazionale

Il questionario è stato somministrato a trenta “testimoni privilegiati”, cioè a persone che o per la loro professione o per il loro impegno culturale, intellettuale, associazionistico, rappresentano fonti “privilegiate” da cui attingere informazioni:
sindaci, ex sindaci, consiglieri – ed ex consiglieri - sia comunali che provinciali, insegnanti, imprenditori, presidenti/dirigenti di circoli o associazioni culturali, parroci, …
Evidentemente, non sono rispettati i tradizionali canoni di campionamento statistico rappresentativo della ricerca sociale.
Nonostante ciò il campione scelto può essere considerato – in modo non statistico - sufficientemente rappresentativo, in quanto le persone intervistate rappresentano, data la loro posizione o attività, quelle che sono le principali impostazioni del problema dell’identità della Slavia friulana.

La riflessione sul problema dell’identità, da una prima lettura dei dati delle interviste, verte soprattutto sul termine “sloveno”, sulla diffidenza e confusione che esso genera in moltissime persone.
Una leggera maggioranza degli intervistati dimostra forti dubbi sull’appropriatezza del termine “sloveno” come appellativo della gente della Slavia.

Una maggiore certezza ce l’hanno gli intervistati quando si chiama in ballo la nazionalità slovena della comunità locale: la maggioranza non è per nulla d’accordo nel riconoscere che la Slavia sia minoranza nazionale slovena.

Questa tendenza è confermata quando viene posta la domanda sull’esistenza o meno di una coscienza nazionale slovena.
Ciò che costituisce una comunità una nazione è proprio la coscienza di essere tale.
Se questa non sussiste, se non sussiste una coscienza slovena, la popolazione della Slavia come può essere definita minoranza nazionale slovena?

Tra l’altro gli intervistati hanno sottolineato la peculiarità e la diversità della comunità della Slavia rispetto alle “indiscusse” minoranze nazionali di Gorizia e Trieste.

Dunque, la maggior parte degli intervistati esclude in modo categorico una nazionalità slovena della comunità della Slavia.
Essa, cioè, non si riconosce o non ha come riferimento quale nazione madre la Slovenia.
Questo non per particolari motivi di ostilità degli Slavi friulani verso la Repubblica slovena, ma sostanzialmente perché, anche se nel corso della storia vi sono stati alcuni contatti culturali e linguistici tra la Slavia friulana e le popolazioni, che oggi costituiscono la nazione slovena, essi non sono stati tali da sviluppare nella nostra comunità un senso di appartenenza alla nazione che si formava nella Carniola.
Nemmeno nel mezzo secolo di convivenza amministrativa sotto l’Impero austro-ungarico.
Anzi, se proprio si dovesse individuare una nazione di riferimento per la Slavia friulana, senza dubbio questa verrebbe identificata nel Friuli o nell’Italia.

In effetti le Valli del Natisone hanno fatto parte per molti secoli di entità politiche “italiche”, col Patriarcato di Aquileia prima e la Repubblica di Venezia poi.
Ricordiamo con Pavel Stranj che ha scritto nella “Comunità sommersa” (SLORI, 1989) come nell’ottobre 1866 col plebiscito alla popolazione della Slavia si presentò un’occasione unica per unirsi agli sloveni dell’Impero austroungarico, ma, con un solo voto contrario, venne sancita l’annessione al Regno Lombardo-Veneto.

La parte del questionario relativo all’identità si conclude invitando gli intervistati a dare un appellativo all’abitante autoctono della Slavia, scegliendolo in una lista o proponendo uno di propria iniziativa.
Dieci intervistati hanno optato per l’espressione “sloveni delle Valli del Natisone”, nove per “italiani di origine slava”.
Pochi hanno dato la loro preferenza a espressioni più radicali come “italiani” o “italiani di nazionalità slovena”.

Alla luce di tutti i dati raccolti emerge, oltre alla tradizionale esistenza di diverse ed opposte impostazioni del problema dell’identità, un’immensa confusione.
La stessa confusione che mi sono accorto di avere pure io.

Il termine “sloveno” viene considerato inadatto, sia come aggettivo di qualificazione della comunità della Slavia, che, come è anche emerso nella sezione relativa alla lingua, dell’idioma locale.
L’argomentazione che molti hanno apportato per giustificare tale loro posizione, tratta dai commenti che essi hanno voluto aggiungere al termine dell’intervista, è che la popolazione della Slavia non appartiene alla nazione slovena, ma costituisce una realtà a sé stante, un popolo slavo “originale”, a cui però risulta problematico dare, in italiano, un nome specifico proprio.
Il termine col quale gli abitanti della Slavia si definiscono nel loro idioma è “slovenj”, che non è un sinonimo di “slovenec”, in sloveno standard.
Nella lingua italiana vi è un’unica forma per tradurre le due parole “slovenj” e “slovenec”, ovvero “sloveno”.
In qualsiasi dizionario “sloveno” è l’abitante della Slovenia.
Si può comprendere, allora, una certa diffidenza con l’identificarsi con quel specifico termine.
Nel proprio idioma non si pone, invece, alcun dilemma di identificazione.
I problemi sorgono quando c’è il passaggio all’italiano.

Conclusione

Il fine di ricerche come questa non è di sbandierare la prevalenza di un pensiero rispetto ad un altro, anche se dai risultati risulta evidente.
Tuttavia, nessuno è nel torto.
Ognuno ha la propria consapevolezza ed è questo l’elemento principale che determina l’appartenenza sociale, etnica o nazionale, ancor più dell’aspetto linguistico.
Se per qualcuno un’affinità linguistica giustifica l’appartenenza nazionale, per altri non è così:
ed entrambe le posizioni meritano rispetto.
Voglio spiegare ulteriormente il concetto con un esempio pratico, chiamando in causa gli scozzesi o gli irlandesi:
nessuno mette in dubbio il fatto che si tratti di nazioni distinte da quella inglese.
Ricorrendo ad una certa logica però scozzesi e irlandesi dovrebbero essere considerati inglesi, perché la lingua che parlano è l’inglese.

Tornando alle considerazioni iniziali, non credo di essere stato l’unico bambino a vivere i disagi descritti.
Oggi e per il futuro, il mio obbiettivo è di evitare che anche i miei figli debbano vivere situazioni analoghe e possano, invece, sviluppare in completa autonomia e libertà la consapevolezza di chi essi siano.
Ciò significa che, tenendo conto dell’estrema delicatezza e del carattere evolutivo dei processi identitari, ogni posizione, pensiero e sensibilità debbano essere equamente tutelati e rispettati da chi non la pensa allo stesso modo (nessuno è il depositario della verità assoluta).
Al fine di assicurare un armonico sviluppo della comunità della Slavia vanno messe in evidenza ed incoraggiate le complementarietà e non accentuate strumentali contrapposizioni.

Termino con un appello al buon senso e al rispetto reciproco, uniche vie per salvaguardare una comunità come la nostra, che, dividendosi, rischia di scomparire, vittima di una doppia assimilazione: da una parte assolutizzando l’appartenenza al mondo italiano, dall’altra forzando un’adesione alla nazionalità slovena, incoraggiata anche da convenienze di natura economica.
Mirko Clavora
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