Po našin

"Po našem" o "po našim", o piuttosto "po našin"
M. Q. ha affinato il brutto vizio di prendersela con qualcuno e di volta in volta, naturalmente, tocca a chi non la pensa come lui.
Ma se la prende in maniera talmente indefinita da sembrare che ce l'abbia su con i mulini a vento.
I mulini a vento fanno questo, i mulini a vento fanno quello, ecc. ecc.

Sul numero 2 di DOM di qualche settimana fa fra l'altro ce l'ha su col "po našem" o "po našim", così dice lui, o, se vogliamo essere più precisi, con coloro che fanno "orrore" interessandosi del "po našem" o "po našim".
La conclusione lascia esterefatti:
"Con ciò (con che cosa: con l'orrore o col "po našem" o "po našim"?) si vorrebbe (chi: i soliti mulini a vento?) distinguere il nostro dialetto dai dialetti e dalla lingua slovena".
Mi sembra perlomeno peregrino pensare che col solo interessamento del "po našem" o "po našim" si possa "distinguere il nostro dialetto dai dialetti e dalla lingua slovena".

Dato che io mi interesso molto e, diciamo pure la verità, con grande incompetenza del "po našem" o "po našim", mi piacerebbe sapere francamente se sono anchio un mulino a vento.
Perchè in questo caso, dato che M. Q. parla sempre di diritti della persona, vorrei ricordargli che ho il diritto anch'io di essere trattato come persona e non come mulino a vento!

Per la verità io non ho parlato mai di "po našem" o "po našim".
Di solito parlo di nediško; forse qualche volta ho detto non "po našem" o "po našim" ma "po nàšin".
Ho abbondantemente notato che a M. Q. non interessano le "n" delle desinenze nediške e neppure le "i" o, meglio, queste gli interessano fin troppo, perchè, ad esempio, non manca mai di aggiungerle alla desinenza finale degli infiniti nediški anche quando pretende di parlare "po našem" o "po našim".
La sua forzatura del nediško verso lo standar letterario è, d'altra parte, sotto gli occhi di tutti.
Ma questo non m'interessa: sono fatti suoi!
Mi interessa, invece il fatto che:

"ogni lingua ed ogni cultura, a qualsiasi popolo appartenga è degna di stima e di onore e merita abbondantemente un "sì" cordiale e convinto".
Sono parole sue.

Ma allora anche la nostra lingua e la nostra cultura meritano tutto ciò!

E' vero che M. Q. considera la nostra parlata un dialetto; non capisco che significato pratico vuol dare a questo termine.
Vuol dire che se è dialetto è spazzatura o se ne può fare quello che si vuole o si può usare entro certi limiti in certe situazioni e non per altri versi o in altre situazioni?
Per la verità in questo stesso numero, in prima pagina, ho visto scritto "Beseda" nel titolo dell'articolo, mentre "Besieda" e "besieda" nel corso dell'articolo.
Allora il dialetto non va bene per i titoli?
Fa brutta figura nei titoli, rovina la reputazione del giornale?
Eppure lui stesso afferma che il Verbo si è fatto carne e ha preso le nostre parole, proprio le nostre, quelle familiari.
Certo mi piace pensare che i miei avi si sono aperti alla fede e hanno pregato col nostro "dialetto" come ho fatto io in famiglia migliaia di volte.
Anch'io, nel far gli auguri a Natale ai frequentatori del sito, mi sono chiesto che lingua, pardon, che dialetto, che parole avrebbe sentito Gesù, se Maria e Giuseppe fossero stati benecjani.
Romanticamente va benissimo!
Teologicamente, nel considerare "Beseda" o "beseda", bisognerebbe andare un pò cauti, perchè ai tempi dell'inquisizione si andava sul rogo per molto meno.

Per tornare a noi, dialetto o sottodialetto o parlata o qualsiasi altra cosa per me va benissimo.
Ognuno definisca come meglio crede il nostro modo di parlare, basta concedergli un "sì cordiale e convinto" e, soprattutto, non confonderlo con altri modi di parlare, perchè altrimenti il "sì cordiale e convinto" sarebbe farisaico anche perchè lo si potrebbe confondere col altre lingue solo in cattiva fede.
La cultura popolare delle Valli conosce unicamente la parlata slovena delle Valli, il nediško, e non ci sarà nessuna università nè di Udine, nè nessun'altra al mondo, nè nessun professore o studente che con le loro ricerche potranno mai provare il contrario!!!

Lontano da me il contestare il diritto che ognuno di noi ha di studiare tutte le lingue che desidera, come del resto tanta gente ha già fatto e continua a fare:
l'italiano,
il latino (pensiamo agli oltre cent'anni di Istituto Magistrale),
il friulano (la "lenghe furlane", fino a pochi anni fa "pacificamente" definita dalle università "dialetto" e, per la verità, considerata ancora da diversi "linguisti" dialetto),
l'inglese
e naturalmente lo sloveno ufficiale.
Anzi quest'ultimo, data la vicinanza della Slovenia, può interessare diversi come del resto il tedesco.

Ma per il fatto che il latino è stato molto studiato nelle Valli non mi si verrà a dire che appartiene alla cultura popolare delle Valli!
Come non mi si verrà a dire che il friulano, dato che è, o meglio era, ben conosciuto dalla stragrande maggioranza dei benecjani per ragioni di scambi soprattutto commerciali, appartiene alla cultura popolare delle Valli!

"Po našin", "naš izik", "nediško", "benečansko" o quant'altro è la NOSTRA parlata slovena.

Non sottolineo NOSTRA a caso.
Se è nostra possiamo fare di lei ciò che vogliamo, proprio perchè è NOSTRA.
Abbiamo dei diritti su di lei.
M. Q. non mi verrà a dire che a casa mia non posso mettere un chiodo se lo desidero anche se per caso gli faccio orrore per come lo metto o per dove lo metto.
Quell'orrore è solo un suo sentimento e come tale lo rispettiamo a patto che lo tenga per sè.
Ma se con quell'orrore pretende di chiudere la bocca a qualcuno, gli diciamo che si comporta esattamente come coloro che ha contestato per anni. Ben venga, invece, chi vuole interessarsi del "po nàšin", con o senza competenza.
L'interessamente è già abbondantemente sufficiente a giustificare qualsiasi intervento.
E' l'interessamento che serve al nostro "dialetto".
Gli errori non fanno orrore e tanto meno inducono al disprezzo le persone saggie, perchè gli errori si possono correggere.

E a proposito di "orrore", il mio lavoro non proprio a tutti fa orrore.
Una persona, che lascio pure a M. Q. giudicare se competente o no (nella speranza che il vezzo nazionale di lodare chi ti da ragione e biasimare chi ti da torto, non l'abbia inquinato), ha scritto in una email a mio figlio:

" ...trasmetti pure i miei complimenti a tuo padre per il suo pregevole lavoro; in quanto insegnante d'inglese, conosco un po' la linguistica e tutto quello che richiede la descrizione di una lingua quanto a sforzo metodico e analisi...
Vantiamo pure i meriti di questo internet, che permette di rendere pubblici dei documenti che altrimenti sarebbero rimasti in un oscuro cassetto, in mancanza dei soldi necessari per la loro pubblicazione... "

Sentimenti contrastanti!
Accettiamo pure gli uni ma anche gli altri!

Se M. Q. non pensa di perdere tempo inutilmente, gli propongo la lettura di un documento interessante. Doppiamente interessante, perchè scritto non solo da un linguista ma da un linguista della Benecija anche se dell'università di Trieste anzichè di Udine. Devo ancora sperare che M. Q. non sia stato inquinato irrimediabilmente dal vezzo italiano di cui sopra.
Il testo è di Giorgio Qualizza, tragicamente, purtroppo, deceduto in Polonia.

... accanto a lingue considerate ufficialmente come tali, figurano anche lingue locali (oltre al natisoniano, il friulano), che dalla maggior parte degli studiosi vengono ancora chiamate tradizionalmente "dialetti", il che porta per lo più alla conseguenza immediata di una loro supposta dipendenza da qualcuna delle lingue considerate ufficiali.

Questo tipo di classificazione linguistica aprioristica che non rende certo giustizia alla autonomia di ciascuna lingua (sia essa parlata in un'area relativamente poco estesa e da un numero esiguo di utenti, oppure sia usata su un territorio molto esteso e parlata da moltissime persone), è stato da me denunciato già nella mia tesi di laurea sui proverbi e detti natisoniani (discussa presso l'Università di Trieste, alla Facoltà di Lettere e Filosofia, nel febbraio del 1980).

Ancora concordo con quanto allora affermavo e ritengo utile riportare qui parte di quelle considerazioni: "Occorre precisare una volta per tutte che da un punto di vista strettamente linguistico si può tranquillamente sorvolare su qualsiasi distinzione tra "dialetto" e "lingua" e simili, in quanto linguisticamente dovrebbero essere chiamati tutti con uno stesso nome "lingua", pur se vi si possono riscontrare differenze a livello del bagaglio linguistico (in quanto una lingua può essere (...) quantitativamente più "ricca" di un'altra, in relazione ai vari fattori storici, geografici, sociali, economici, politici, ecc., che possono aver contribuito al suo sviluppo), o a livello della rispettiva diffusione spaziale (dovuta anch'essa a vari fattori, tra cui quelli sopra menzionati), la quale tra l'altro, come il sistema linguistico, varia nel tempo (tra i vari casi possibili, c'è anche l'evenienza che una lingua, attualmente relegata all'ambito "dialettale", possa essere stata in passato più diffusa di una data lingua attuale contrassegnata col vocabolo crismatico di "lingua", e vale sempre anche l'inverso).

In altre parole ciò che fa sì che una "parlata" venga chiamata "lingua" ed un'altra "dialetto" è dovuto esclusivamente a fattori extralinguistici (storici, politici, sociali, economici, ecc.) e anche se taluni linguisti adducono a giustificare tale distinzione motivi interni al sistema linguistico (come una maggiore organizzazione ed articolazione del sistema fonetico-morfologico-lessicale-sintattico-semantico), tuttavia tale distinzione rimane comunque di carattere "convenzionale".
Queste le parole di un esperto!

A me, inesperto, piace considerare il nediško "mùoj izìk" anche fossi il solo nella Benečija a considerarlo "izìk". E' un diritto della mia persona, zak mùoj izìk j špìegu mùoje dušice.

Una verità, che sicuramente nè piace nè verrà mai accettata, è che abbiamo sbagliato politicamente tutto.
E che abbiamo sbagliato lo dimostra il fatto d'aver perso la maggioranza della nostra gente.
E' inutile contare quanti ci seguono; contiamo piuttosto quanti non ci seguono!
Siamo caduti nella trappola di costruire un muro dirimpetto a un altro muro:
filoitaliani e filosloveni.

La più grande stronzata che ci poteva capitare!

Anzichè contrapporre un muro dovevamo aprire una porta in quel muro che ci era stato costruito in faccia, con la pazienza, giorno dopo giorno, col nostro bel nediško, da benecjani e basta!
Mentre solo dopo che la gente, il popolo, avesse conseguito la consapevolezza di appartenere a una comunità così ben definita, così raccolta, con una storia meravigliosa alle spalle, con un passato di collaborazione fattiva e produttiva culturalmente ed economicamente verso ovest come verso est, con una lingua (o parlata o dialetto o quello che si vuole) proprio nostra, solo dopo avremmo potuto tranquillamente confrontarci, aprirci, cercare orizzonti nuovi.

Abbiamo sbagliato e gli sbagli li pagheremo a lungo:
continueremo a costruire muri,
a fare barricate,
a chiudere ponti,
a offenderci vicendevolmente.
Nino Specogna
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