Ancora sulla lingua
Un altro contributo alla discussione
E’ un buon segno che si discuta di temi importanti. Benvenuti quindi dibattiti sul nediško (ma anche sul po našin, po vašin, po vaseh e così via), sulla lingua letteraria slovena, sulla matrice slava, sulle relazioni tra le varie espressioni della nostra cultura. Con un’unica avvertenza: che non si alimenti la confusione ed ogni volta non si riparta da Adamo ed Eva, perdendo di vista il traguardo.
Ognuno la pensi come vuole, percorra la strada che più gli aggrada per tornare a casa, perché alla fine è qui che ci troveremo.
Il racconto che Nino Specogna fa della sua esperienza di vita è una testimonianza forte della nostra storia recente, peraltro comune alla stragrande maggioranza di tutti noi. Sullo stesso tema Gianni Tomasetig di Zverinec-Sverinaz ha recentemente pubblicato il bel libro “L’osteria della nonna”.
Chi vuol conoscere la realtà della Benečija d’oggi ha a disposizione libri di storia (ce ne sono tanti), documentazioni, testimonianze analoghe a quella di Specogna. Per capire la realtà locale è sufficiente collegare cause ed effetti, senza bisogno di ricorrere a ragionamenti arzigogolati, a logiche “illogiche”, a specchi su cui arrampicarsi; è sufficiente il comune raziocinio.
E’ tutto molto semplice e logico, anche se il potere nazionalista ha cercato per più di un secolo d’intorbidire le acque con teorie, argomentazioni ed esasperazioni francamente pacchiane.
Esiste una realtà nostra, non solo culturale, ed una che hanno cercato di imporci.
Hanno usato la tecnica del logoramento creando diatribe fantasiose ed alternative inesistenti.
Prendiamo la scuola. Cosa insegnare, come insegnare: ecco creato un problema inesistente. Gli addetti ai lavori, filologi e linguisti, dicono chiaramente cosa si deve fare. Avranno ragione? Noi, nel dubbio volendo andare con i piedi di piombo, ci guardiamo intorno, andiamo a vedere come fanno gli altri.
Il napoletano, dialetto della lingua italiana, è parlato da milioni di persone. Vanta fior di vocabolari, canzoni, poesie, teatro ed altro. I napoletani lo amano e lo difendono con i denti, eppure nelle scuole napoletane s’insegna in italiano.
Tra il dialetto napoletano (figlio) la lingua italiana (padre) ed il latino, lontano progenitore dell’italiano, (nonno) intercorrono le normali relazioni che riguardano l’evoluzione di una lingua.
In Istria i nostri amici della minoranza italiana non perdono occasione per sottolineare che la loro cultura è istro-veneta. Parlano un dialetto molto vicino al veneziano eppure nelle scuole insegnano l’italiano. I napoletani amano il dialetto napoletano con la stessa intensità con cui gli istriani amano il loro e come noi amiamo il nostro. In tutto il mondo s’insegna la lingua.
Lo stesso discorso vale in Benečija. Abbiamo il nonno (lo Slavo) il padre (la lingua slovena) ed il figlio (dialetto nediško o tersko o altri).
Ma se tutto è così ovvio e chiaro come mai ci vengono continuamente ed ossessivamente propinate altre soluzioni?
Claudio nelle sue osservazioni all’articolo di Nino Specogna afferma che dobbiamo capire la nostra identità. E’ un’altra testimonianza tragica. Ci hanno ridotto talmente a mal partito che non sappiamo neppure cosa siamo.
Prendiamo il caso che voglia sapere come sono fatto, uno specchio mi darà la mia immagine. Quello che vedrò potrà piacermi o no ma sono proprio io. A meno che qualcuno non abbia piazzato davanti a me uno specchio deformante o, peggio, una fotografia a suo piacimento. In questo caso vedrò ciò che lui vuole e rimarrò imbrogliato fino a che non riuscirò a scoprire l’inganno.
C’era, e c’è ancora (anche se in contrazione), una parte del potere italiano (nazionalisti, vecchi liberali) che gli sloveni nel Friuli orientale non li tollerava proprio ed ha usato tutti i mezzi per eliminarli. Adoperando carota e bastone.
Nel tempo le insistenti pressioni iniziali si sono trasformate, con il fascismo, in metodi violenti fino ad arrivare nel secondo dopoguerra ad una vera e propria pulizia etnica.
Talvolta qualcuno argomenta che questa parola è un po’ forte per descrivere quanto successo in Benečija; ma quale altra può essere usata se si ha coscienza delle cifre, quando tre quarti della popolazione slovena è stata costretta a lasciare la propria terra.
Infine un argomento sgradevole. A mio avviso il recupero della nostra cultura può avvenire in diversi modi, utilizzando la lingua o il dialetto. Basta che ci sia limpidezza d’intenti, che si voglia veramente rinascere.
Purtroppo questa limpidezza non può essere riconosciuta ad alcuni fautori dello sviluppo a senso unico del dialetto.
Parlano i fatti. Richiedono ad alta voce la tutela del nediško, ma trovano ogni scusa per non usarlo, per non cantarlo. Si guardano bene dal sostenere manifestazioni come Moja vas o il Senjam beneške pjesmi (che sono sempre e solo in perfetto dialetto), o a condannare i distruttori di più di trenta cartelli stradali bilingui (sempre in perfetto dialetto) a Grmek-Grimacco, e così via. In realtà, oggi che lo stato italiano è propenso a risarcire i danni del passato, il loro obiettivo è di soffocare la cultura slovena della Benečija in un folklore inutile e letale.
Per nostra fortuna la storia va avanti e questa posizione è perdente. Negli ultimi anni è cambiato tutto: terminati i ricatti della guerra fredda i governi italiani stanno rapidamente mettendo da parte i nazionalisti locali e la politica antislovena. Hanno capito che gli amici vanno tutelati. La Slovenia poi è diventata stato e l’Unione Europea, diventando sempre più forte, sarà il guardiano dei diritti di tutti. E’ una cornice nuova e positiva.
Fabio Bonini