Il Matajur e la cappella a Cristo Redentore
Il monumento al Redentore
Il monumento a Cristo redentore, progettato dall'ing Nobile Paciani, era uno dei 19 monumenti costruiti in tutte le regioni italiane per ricordare i diciannove secoli della Redenzione.
Esso rappresentava il Veneto e il Friuli.
In occasione della sua inaugurazione uscì un numero unico nel settembre del 1901, dal quale riportiamo il contributo di Mons. Ivan Trinco.
I resti del monumento al Redentore nell'estate del 1958
Questo monte, che fa parte delle prealpi_Giulie, si trova nel distretto di S. Pietro degli Slavi (provincia di Udine), e precisamente sul confine austro-italico fra la valle del Natisone. e quella dell' Isonzo.
Colle sue diramazioni esso costituisce un gruppo speciale, da cui emergono diverse cime secondarie, che qui non occorre nominare.
Il gruppo è di formazione eocenica, la quale, per quanto riguarda il Friuli, raggiunge il massimo di altezza precisamente sul Matajur.
Il monte è alto 1643 metri; la vetta è coronata da un affioramento di calcare dachstein (formazione retica).
Qui e colà per i suoi larghi fianchi vi sono delle apparizioni di scarsi piroscisti.
Vi ha inoltre traccia di oro, frammisto a zinco, e di argento e al basso, presso la strada nazionale del Pulfero, qualche accenno al'argento vivo, sotto forma di mercurio nativo.
Il monte presenta varie grotte, tanto in senso orizzontale, che verticale.
E' ben fornito di sorgenti, le quali, ingrossando per istrada, formano torrenti scoscesi, pittoreschi, romantici.
Il fianco, che si estende fra Pulfero e Robič, si presenta, ertissimo, dirupato e scosceso, rifugio inaccessibile dei camosci; farebbe quasi supporre che li fosse avvenuto, in epoche preistoriche, un enorme franamento, che avrebbe ostruito il passaggio e fatto mutare completamente il corso all'Isonzo, forse prima scorrente nell'alveo del Natisone.
Il Matajur è ricoperto di vegetazione fino alla cima; la flora è splendida ed interessante; vi abbondano le piante medicinali.
La vetta è tapezzata e profumata di assenzio. Le parti inferiori del monte sono abitate stabilmente e coltivate; ci sono molti alberi da frutto con prevalenza di castagni.
Alligna anche la vite; il cividino, vino locale, è gustosissimo nell'estate.
Più alto, nella parte orientale, ci sono dei magnifici boschi di faggio.
Se i turisti sapessero ìmbroccare la vera strada, potrebbero nel mese di luglio e d'agosto trovare su alto, sopra il villaggio Masseriis, nelle splendide vallette e praterie ombrose e fertili, pasto abbondantissimo di fragole, di lamponi, di grani di mirtillo e di altre bacche mangereccie; ed oltre a ciò godrebbero delle pittoresche varietà, che da quel lato presenta il bellissimo monte.
Ma lasciamo andare!
Abbondando l'erba, avviene che nella stagione estiva il monte si popola, anche nelle più elevate parti, di falciatori, di pastori e di animali.
E bisogna vedere e sentire la vita, l'allegria, i canti ed i suoni, che animano quelle località, deserte e mute per buona parte dell'anno, se pure non sibila e non mugghia il vento turbinoso d'inverno, intento ad ammassare la neve per le brulle praterie.
Il Matajur ha pure la sua importanza storica.
Il Mons regis, dalla cui sommità, secondo lo storico Paolo Diacono, Alboino, alla testa dei Longobardi irruenti dal nord, avrebbe spinto il cupido sguardo sulle fertili pianure forogiuliesi, primo lembo d'Italia, sarebbe appunto il Matajur.
Tutti gli storici friulani convengono in ciò; il fatto che Alboino, discendendo dal monte, si trovò tosto alle porte di Forogiulio o Cividale, come più tardi si chiamò, è un argomento molto forte per comprovare la cosa.
Quelli che opinano per altri monti (alcuni stanno pel Nanos della Carniola), non hanno ragioni sufficienti.
La vetta del monte è inoltre un notevole punto trigonometrico.
Ma ciò che più importa per i profani di storia e di operazioni geodetiche è che dal Matajur si gode, a giudizio degli esperti, il più bel punto di vista abbia il Friuli.
A sud e sud ovest si spiega davanti il risguardante gran parte della pianura veneta e tutta la friulana,
coi loro fiumi come fili e nastri d'argento;
colle città Villaggi e casali disseminati, a guisa di bianco gregge pascente nell'immenso verde, che lentamente degrada, si attenua, sfuma e svanisce nell'azzurognolo del cielo;
col reticolato delle candide strade; colla laguna e col mare immobile, che risplende come immensa lamina d'acciaio nell'ultimo sfondo; col Litorale austriaco, col golfo di Trieste, popolato di barche peschereccie, colle coste dell'Istria;
e poi più presso colle valli, convalli, vallette, valloncelli, coi colli, dossi, colline ondulate, discendenti, digradanti verso la pianura; coi bianchi paeselli, mezzo sepolti tra i frutteti,
colle chiesette sorridenti a destra e a sinistra della piccola Slavia italiana.
E poi a nord e a nord est le torreggianti, maestose cime del Canin, del Baba, del Prestreljenik, del Mangart, del Triglav, del Kern e di altre più lontane e più vicine ringhiose vette, sfidanti le bufere e i secoli, ora serenamente sorridenti nell'incanto delle aurore e dei tramonti, ora corrucciate e minacciose nell'orrore dei nembi negri e rombanti.
Poi sotto ai piedi la deliziosissima valle dell'Isonzo col fiume che le da il nome, e il quale dopo essersi svincolato dalle strette e dalle profonde voragini che lo fanno muggire e spumeggiare nel suo corso superiore, continua la via, glauco e pacifico fra il candore del suo ghiaioso letto ed il verde degli ubertosi campi.
Tutto, tutto appare da lassù così bello, così vario ed armonico, così pittoresco e solenne, che lo spettatore, isolato sull'alta vetta, smarrito nello spazio, quasi uccello librato sull'ali, rapito dall'incanto di un così complesso spettacolo, si dimentica dei suoi simili, non ricorda più di far parte di una società rabbiosa, ingannatrice, malvagia; oblia le tribolazioni della vita, si immerge nel gaudio primitivo della natura incorrotta e assorge alla intuizione tranquilla e beatificante del Dio buono e pacifico, che tante bellezze profuse a nostro conforto e ricreazione.
La fama di questo punto di vista si allarga sempre più.
Gli alpinisti scelgono volentieri per meta delle loro escursioni il Matajur.
Ogni anno e in tutte le stagioni vi giungono per diverse vie più o meno alla spicciolata ed il sesso gentile vi prende parte tanto più volentieri in quanto che il monte è di facile ascesa e non presenta pericoli di sorta.
Udine, Cividale, Caporetto, Tolmino, Gorizia, Trieste vi mandano i propri figli regolarmente e senza preoccupazioni, nella sicurezza di vederli ritornare pieni di brio, di salute, di appetito e sopratutto di pure, innocenti ed indimenticabili impressioni.
Le strade che conducono al nostro monte sono parecchie, tanto dalla parte italiana che dalla austriaca.
La più naturale e breve per i provenienti dal Friuli è quella che corre per la vallata di Savogna.
Entrando nella valle per Azzida, si fiancheggia 1'Alberone, torrente alimentato dalle sorgenti del Matajur.
La strada è piana e carrozzabile, la valle bella, sinuosa, fertile e coltivata, con villaggi e casali, sparsi qua e colà sui dossi e nella valle. Il percorso è veramente dilettevole.
La strada comoda termina alle radici del monte. Quivi il viaggiatore trova molto opportunamente 1'osteria Oballa, dove può ristorarsi mangiando e bevendo, per affrontare 1'ascesa a forze reintegrate. Più alto in monte si trova il villaggio Stermizza, altro punto di riposo e di rifocillamento.
Dopo un'altra mezz'ora di cammino si arriva al paese Matajur o Montemaggiore, ultima abitazione, a circa 900 metri sul livello del mare, con chiesa e addetto cappellano.
Molti amano raggiungere il paese alla sera per riposare la notte e compier il resto dell'ascesa nel mattino seguente a forze integre e a cuor leggero.
Oltre che per la valle di Savogna, si può andare per quella del Natisone, continuando fino a Pulfero; di là si ascende per Mersino prendendo il monte di fianco per luoghi erti ed accidentati assai. La fatica viene compensata dalla varietà.
Si può anche ascendere da Brischis per Rodda.
Chi poi volesse prenderla in dolce, può infilare il sentiero, che da S. Pietro conduce per la cresta del prolungamento, che il Matajur spinge, quasi braccio gigantesco, fino a questa piccola capitale della Slavia italiana.
Lo stesso vantaggio presso a poco avrebbe chi, a mezzzo la valle di Savogna, prendesse la via di Vernassino; ma non sono consigliabili nè 1'una nè l'altra, perchè molto lunghe.
Dalla parte austriaca si ascende specialmente da Caporetto per Luico, percorrendo sempre splendide, ben ombreggiate praterie e godendo ampiamente 1'impareggiabile panorama che presentano la valle dell'Isonzo e i gruppi del Kern e del Canin.
Da qualunque parte si prenda 1'ascesa, essa riesce sempre facile e divertente.
Alle attrattive naturali, che presenta il monte, ora si aggiunge il grandioso monumento al Redentore, che campeggia sulla cima; per cui s'ha ragione di credere che le ascese al Matajur abbiano a moltiplicarsi.
Intanto la Croce campeggi di lassù, benedicendo ai turisti, agli alpigiani e a tutta 1'ampia veneta distesa; campeggi pacifica protettrice là, donde un giorno lanciò minaccioso lo sguardo sulla bella Italia il barbaro invasore, per recarle ferro e fuoco.
I suoi raggi divini rifulgano nelle anime dei pii Veneti, che la vollero inalzata, ravvivi in essi la fede e la speranza, e le genti s'inchinino riverenti a questo glorioso simbolo di salute, di rendenzione, di pace!
Sac. Prof. G. Trinko
Mons. Ivan Trinko
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