Memoria storica di Irma Cernoia
Intervista di Paolo Osgnach a una protagonista dell'incendio di Costa di Vernassino
Adesso ci racconti di quando hanno incendiato il tuo paese, Costa
Nel 1943 il 9 novembre.
Ricordi ancora quando è successo, quanti anni avevi?
Ricordo molto bene tutto, avevo 22 anni,
Ti incomincio dalla domenica, anche se hanno incendiato Costa il martedì successivo.
Alcuni partigiani sono venuti da Pichinie, si sono fermati nella piazza del paese per dirci di non scendere a Savogna perchè lì c’erano i tedeschi, fra loro c’era anche una partigiana di San Pietro, si chiamava Luisella.
Poi se ne sono andati.
Il lunedì sono arrivati i tedeschi, ci hanno circondati, hanno ferito anche un uomo, forse un partigiano che era rimasto lì pensando di trovarsi al sicuro.
Erano in tantissimi, hanno chiesto a mio zio se di lì passavano i partigiani, lui ha risposto:
“Sì, come state passando voi”.
Hanno fatto la stessa domanda ad un altro signore ed anch'egli ha risposto così.
Lo stesso hanno chiesto a Michele Blasutig, lui ha detto loro di non averli mai visti passare.
Lo hanno preso e portato sotto una pianta di noce, vicino alla fontana, gli hanno puntato una pistola nel petto per fargli dire la verità, lui era irremovibile.
Noi eravamo attorno alla fontana ad assistere a questa scena con i mitra puntati addosso.
Non so come abbia fatto ad uscire vivo da quella situazione!
Si presenta Basilio, fratello di Michele, gli si avvicina e gli chiede dove avesse nascosto il moschetto.
Credo che i tedeschi abbiano capito tutto!
L’hanno lasciato andare a casa sua che era situata vicino all'osteria di Vittoria; è uscito con una scatola contenente alcune bombe a mano che ha fatto vedere a Vittoria la quale, spaventata, lo ha supplicato di nascondere immediatamente quel materiale per evitare che tutti venissero fucilati.
Avevamo tantissime mele e quello stesso giorno, assieme a mio fratello, le abbiamo portate giù dal granaio perché mio padre le vendesse a Gustič di Cocevaro.
Poco dopo papà mi ha fatto vedere il portafoglio e 22.000 lire con diversi documenti, anche della I° guerra mondiale, chiedendomi dove poteva nasconderlo.
Io gli ho consigliato di metterlo nell’enorme cassapanca che aveva nella sua camera.
Il giorno dopo, martedì, mi trovavo in casa con mio padre, entrambi terrorizzati per i continui spari che si sentivano da fuori.
Avevamo lì delle ceste di pannocchie.
“Perché stiamo qui a guardarci negli occhi, ho detto, sarebbe meglio incominciare a sgranare”!
E così abbiamo fatto.
Ad un certo punto è entrato un soldato, ho i miei dubbi che fosse stato un tedesco perchè ci ha chiesto, con buon italiano:
“carta d’identità”!
Poi si è girato verso mio padre, urlando:
- papir, papir! -
Avuta la carta è uscito e si è diretto verso le scale che si trovavano all’esterno della casa e portavano alle camere.
Sopra era corso mio zio per nascondere in altro luogo il prezioso portafoglio, ma è stato colto in flagrante.
Il soldato gli ha prima puntato addosso la pistola e poi lo ha cacciato fuori.
Poco dopo è arrivato mio fratello per portarci in cantina al riparo da eventuali schegge.
Lì lui si è buttato a terra tentando di procurarsi una uscita attraverso il muro per poi scappare.
Noi eravamo rimasti in piedi immobili e terrorizzati.
Allo zio era venuta la voglia di attingere del vino dalla botte, ma io non glielo ho permesso perché avrebbe fatto del rumore (pericoloso in quel momento) con lo spinello, temevo che, una volta scoperti, ci avrebbero fucilati.
Dopo un apparente calma, lo zio è uscito arrampicandosi su un muro dietro casa, ha attraversato i campi andando a nascondersi in una grotta poco lontano.
Anch’io sono uscita, spinta dal desiderio di vedere come stavano le cose.
Con terrore ho notato che i nostri due maiali erano riversi ammazzati davanti a casa e fuoco dappertutto.
Ho incominciato allora ad urlare:
“Uscite, uscite altrimenti moriremo tutti!”
La zia era ammalata, l’ho presa sotto braccio e attraverso un fossato l’ho accompagnata a Podar.
Ma i tedeschi che erano nel paese non vi hanno visto scappare?
No, non ci hanno visto, perché erano nella parte bassa del paese.
Sono venuti in formazione ferro di cavallo e per prima cosa hanno dato fuoco a una nostra baracca, poi alla casa sotto la nostra e quindi alla nostra.
Correvano come matti, con le maniche rimboccate e sparavano in ogni dove.
Io mi trovavo con la zia nel fossato, quando è arrivato mio padre per dirmi che sarebbe andato a liberare le mucche che gli facevano pena.
Una di loro era abituata a pascolare libera nei prati e fu l’unica a salvarsi.
Le altre, il vitello, la capra (che tenevamo solo per la lana), i conigli li abbiamo trovati, il giorno dopo, nella stalla, morti carbonizzati.
Davanti a casa, invece, giaceva Beppino Cernoia morto.
Tutto bruciava ed ha continuato a bruciare per 15 giorni.
Ci era rimasto solo quello che avevamo addosso.
Con la zia poi ci siamo riparate a Podar presso i Laurovi, il padrone era del 1913, alpino reduce dalla Russia perchè ferito.
Lì stavano raccogliendo tutta la loro roba in valige ed altro per poterla nascondere in qualche luogo nella vicina campagna.
Dopo aver dato fuoco se ne sono andati?
Prima di andare hanno preso una ventina di uomini, tra cui alcuni sposati e due partigiani che erano scesi dal Matajur e lì si erano rifugiati credendo di essere al sicuro, li hanno portati a Savogna e subito fucilati, quindi hanno incominciato a selezionare gli altri.
Un signore di Savogna che conosceva la lingua tedesca ha detto loro di conoscerli bene tutti, come brava gente.
Finalmente liberi hanno ripreso la strada di casa.
Quando i tedeschi hanno incominciato a sparare, i bambini, per fortuna, erano tutti nella scuola, mentre alcune donne si erano riparate in canonica dal parroco don Mario, riferendogli che i tedeschi li avevano circondati e che stavano sparando dappertutto.
Lo zio ed io stavamo raccogliendo le castagne, quando si sono sentiti degli spari più in alto.
Poco dopo ci si è avvicinato un tedesco che ha preso lo zio e l’ha portato con lui nella loro postazione, dove giaceva un soldato con il ginocchio ferito, gli ha chiesto chi era stato a sparare e alla risposta: forse un partigiano, il tedesco gli ha sputato in faccia e l’ha cacciato.
Allontanandosi si girava spesso convinto che l’avrebbero fucilato.
Più tardi è salita una donna del paese portando una coperta e della grappa per disinfettare il ferito.
Scendendo i tedeschi si sono fermati in piazza e uno di loro ha preso una manciata di ghiaia lanciandola addosso alle persone che si trovavano lì e così si è espresso:
Ales faier, Costa caput.
Il soldato ferito è stato trasportato all’ospedale di Cividale per farsi estrarre la pallottola.
Quando gliela hanno tolta hanno verificato che era dei loro fucili.
Hanno dato subito la disposizione di non incendiare Costa, ma quando il contrordine è arrivato, il paese era in fiamme.
Prima però di lanciare le bombe incendiarie hanno saccheggiato quanto potevano.
La roba presa la vendevano poi a Savogna.
Noi, privi ormai di tutto, siamo stati ospitati per qualche tempo a Vernassino da alcuni parenti.
La mucca che ci era rimasta l’avevamo messa nell’unica stalla di Costa che non aveva preso fuoco; io salivo tutti i giorni a mungerla.
Almeno il latte non ci mancava!
Quanti morti avete avuto?
Noi ne abbiamo avuti due,
Beppino Cernoia
e un signore di 87 anni che non riusciva a camminare.
Gli hanno messo sotto il materasso una fascina di legna, hanno appiccato il fuoco e chiuso la porta della camera.
Il giorno dopo lo abbiamo trovato carbonizzato.
Ci era giunta notizia che, nei dintorni di Mezzana, avevano fucilato anche due signori che stavano andando a caccia. (Vedi: Storia/Le due guerra/Seconda guerra mondiale “Guerra in Benečija" di Efrem Specogna)
C’erano tante spie... anche nel nostro paese.
Paolo Osgnach