Racconto drammatico

Il cappellano militare don Pietro Brignoli, aggregato al 2. reggimento Granatieri di Sardegna, descrive nel suo diario
«Santa messa per i ‘miei fucilati»
con quali modalità avvenivano le fucilazioni ordinate ed eseguite per rappresaglia durante la «Offensiva primavera» condotta nel 1942 contro i «ribelli» soprattutto nella zona di Kočevje.
Nel corso di 50 giorni (dal 16 luglio al 5 settembre) ha annotato la fucilazione di 82 persone.
La descrizione di queste esecuzioni rappresenta uno dei documenti più efficaci per la causa del pacifismo.
Nessuno, infatti, può rimanere insensibile di fronte alle scene strazianti e crudeli che precedono e seguono il «rito» delle fucilazioni evocate dal sacerdote con una straordinaria partecipazione emotiva e accompagnata da una sorprendente solidarietà nei confronti delle vittime.

Dal diario di don Pietro Brignoli alcuni episodi significativi di quella «via crucis» durata 50 giorni, una esperienza sconvolgente non solo per le vittime dei rastrellamenti ma anche per il sacerdote e per gli stessi soldati

Don Brignoli annota il 12 maggio 1942 la fucilazione di 14 persone.

La preparazione

Il primo battaglione, dopo la batosta, ricevette l’ordine di restare fuori per rastrellare la zona.
Si catturarono tutti gli uomini validi, nelle case, nei boschi, dovunque si trovarono: risultarono in numero di settanta circa.
Poi si procedette a un giudizio sommario. Il risultato:
quattordici uomini condannati a morte.

Li vedo ancora scendere dall‘altura sulla quale erano stati giudicati: disfatti.
Lugubre presagio del loro imminente destino, portavano su una barella un morto fucilato il giorno prima.
Dietro venivano le donne, ansiose di vedere che cosa avrebbero fatto ai loro uomini.
«Pioveva.
Era stabilito che io apprestassi l’assistenza religiosa ai condannati. Tuttavia pregai il comandante del battaglione di far venire un prete del luogo per confessarli, non conoscendo io la lingua di quei poveretti.
La prima risposta fu un no secco, ma la sera, a mensa, ritornai alla carica, e fui esaudito sotto la mia responsabilità.
I condannati che non sapevano ancora con certezza la loro sorte, passarono la notte in una stanza del pianterreno di una casa: un po’ isolata del paese, sotto la custodia di una squadra di soldati.
Le donne dormirono nelle case vicine e la mattina di buon’ora erano tutte attorno alla prigione: cosicché, quando alle sei e mezzo portai il sacerdote, queste e quelli ebbero la certezza di quanto stava per succedere.

L'ultimo conforto

Avevo scelto per un ministero tanto delicato, il parroco del paese: un vecchietto di settant’anni.
Quando, spiegandogli in latino, riuscii a fargli capire di che si trattava, allibì: lo assicurai che al luogo del supplizio li avrei accompagnati io: lui prendesse quattordici particole, e mi seguisse.
Al comparire del sacerdote sull’uscio, quei quattordici uomini... ma chi potrà descrivere i loro volti?
Ridire le loro preghiere, i loro pianti, i loro urli?
Non avete mai provato a far l’atto di tirare una mazzata mortale sulla testa di un cane, visto come vi guarda?
Il vecchio parroco incominciò pure lui a piangere: gli dissi che si affrettasse, e uscii.

I prigionieri avrebbe potuto approfittare

Ed ecco, nella tragedia, un episodio quasi buffo.
Appena entrato nella prigione, avevo comandato al sergente, che stava di guardia, di far uscire tutti i soldati e di uscire lui stesso, perché i condannati dovevano confessarsi.
Quegli obbedì, ma insipientemente, perché non fece portar fuori le armi cariche (un fucile mitragliatore e undici fucili), e non si accorse dello sbaglio che mezz’ora dopo.
Quando me lo disse mi credetti perduto.
Spalancai la porta, aspettandomi dal di dentro una scarica: invece quei poveretti stavano chi inginocchiato ai piedi del confessore, chi in disparte in attesa del suo turno, chi sdraiato bocconi sul terreno a scrivere: quei tapini non avevano neppur pensato che avrebbero potuto servirsi delle armi, lasciate a loro disposizione, per evadere.
E quando mi videro apparire sulla porta, credendomi chissà chi e investito di chi sa quali poteri, mi si buttarono addosso, pregandomi di mandarli a lavorare in Italia, a combattere in Russia o in Africa, a fare qualunque mestiere in qualunque luogo: ma non di farli morire, perché avevano genitori, spose, figli.
E quando spiegai loro che ero prete, e non potevo far nulla, mi s’inginocchiarono ai piedi, mi abbracciarono le ginocchia:
“Signore! ... Signore! ... Signore!” ....

L'angoscia delle donne

Intanto le donne, fatte allontanare cento volte, cento volte erano ritornate.
Non poche tenevano bambini in braccio e per mano, tutte portavano un pentolino e un fagottino per la colazione di chi, fra pochi minuti, avrebbe cessato di vivere.
Lasciai al sacerdote due ore di tempo, perché ognuno potesse, ricevuti i sacramenti, esprimergli tutto ciò che volesse per la sua famiglia.
Quando uscì, non sapeva più in che direzione fosse la sua casa.
Mi disse:
“Siete stati molto severi”.
Le donne gli furono subito d’attorno, ma le allontanai senza lasciargli il tempo di parlare.

Il momento fatale

Ed eccoci giunti al momento fatale.
Dovevano essere fucilati fuori del paese.
Per non impiegar molta truppa, si era deciso di fucilarli in tre gruppi: cinque, cinque, quattro.
Salgo con i primi cinque sull’autocarretta che ci trasporta a mezzo chilometro dal paese.
Si cerca un posto fuori della strada: una valletta a cento metri dalla medesima.
Precedo il funebre corteo.
I cinque erano legati assieme da una cordicella.
A stento si strascicavano, intontiti, emettendo radi e fiochi lamenti.
Ci siamo.
Si dispone il plotone. (...)
Faccio baciare ad ognuno il crocefisso, e li bacio a mia volta ed essi, poveretti! benché vestissi la divisa militare, rispondono al bacio (...).
Mentre li bendo, ognuno ancora mi prega:
“Signore! Signore!” (lo risentirò negli orecchi per l’eternità).
Suggerisco loro le prime parole dell’Avemaria nella loro lingua: la continuano tutti in coro.
Mi volto al comandante del plotone: un ordine.
Mi tiro leggermente da parte: una scarica rabbiosa e quei cinque uomini stramazzano a terra con la preghiera stroncata sulle labbra».

E' questo uno degli episodi, successi in Slovenia nel 1942, durante l’occupazione italiana, e narrati da don Pietro Brignoli nel volume
«Santa messa per i miei fucilati»,
edito dalle edizioni Arterigere-EsseZeta (Varese 2005)
don Pietro Brignoli
DOM 15-04-2006
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