L'invasione austro-tedesca nelle Valli

Il diario di Celio Struchil di Biacis sui fatti del gennaio-febbraio 1918
In una delle sue ultime visite alla redazione del nostro giornale, il compianto parroco di Caporetto, mons. Franc Rupnik, ci ha fatto dono di un quaderno scritto a matita con ele­gante grafia con sulla copertina il titolo:
«Diario invasione austro - tedesca in Italia».
Autore del manoscritto è Celio Struchil di Biacis, figlio di Antonio, nato a San Pietro al Natisone nel 1868, e di Maria Massera, nata a Biarzo nel 1880.
Si erano sposati nel 1899 e Celio era il primo di otto figli.

Era nato il 31 marzo 1900 e all’epoca dei fatti, narrati nel diario, era studente con tutta probabilità dell’Istituto magistrale di San Pietro al Natisone.

Dopo la prima guerra mondiale emigrò in Argentina come fecero anche le sorelle Teresa, di un anno più giova­ne, e Nerina (nata nel 1906), che si era sposa­ta con un giovane di Crostù.

La famiglia truchil era nota perché proprietaria di un’osteria e di un negozio di alimentari.
I fatti narrati nel diario, con partecipazione e dovizia di particolari, sono successi in appe­na 20 giorni (dal 18 gennaio aIl’8 febbraio 1918), ma bastano per offrire un’idea delle difficoltà e del clima in cui viveva le gente delle Valli del Natisone dopo la rotta di Caporetto.
La zona fu la prima a conoscere le conseguenze della disfatta.
Attraverso la valle del Natisone passarono anche le truppe di Rommel reduci dalla conquista del Kolovrat e del Matajur, mentre da Biacis, il 27 ottobre, la gente aveva sentito le sparatorie per la conquista del Mladesena da parte di un bat­taglione wiìrtemburghese.
Furono catturati mille prigionieri, presi quattro cannoni e 12 mitragliatrici.

Poi arrivò l’occupazione austro-tedesca...


Il racconto di Celio

17 gennaio 1918
Mio padre è chiamato a San Pietro dal colonnello insieme a tutti gli altri Birgemaister (!). È cambiato il colonnello, egli parla benissimo italiano ed è severissimo.
Invece di dare qualche speranza che la guerra termina presto disse:

“Fino ad ora non ne avete provate, ma dovete preparar­vi a provarle”.
Quel giorno stesso dovetti affiggere un manifesto nel quale si avver­tiva che chiunque cerca di sottrarsi ai lavori stradali verrà senz’altro internato nel­l’interno.
Comprai da Luches di Lasiz un calendario, chissà dove li avrà pescati quel buon diavolo.

18 gennaio
Ordine dell’autorità militare di fare la pulizia nel paese, pulizia perfetta dovendo venire un generale in ispezio­ne.

Mio padre consegna dietro ordine dei gendarmi i franco­bolli.
Chissà cosa ne faranno?
Almeno li pagassero.
Per questo consegnammo solo tre lire di cotesti francobolli di 40 o 50 lire che ne possedia­mo.

I ragazzi di qui portano su un rimorchio tutte le scatole vuote che servivano per la carne dietro ordine dei gen­darmi.

19 gennaio
Mio padre è andato a Tarcetta a portare una noticì­na dichiarante i giorni che i Tedeschi ci portarono via tutto ciò che ci manca. Gli abitanti fanno la pulizia di tutti i cortili e di tutti gli abi­tati.

Questi ultimi 3 giorni sem­pre nebbia e cattivo tempo. (...)

Gli Austriaci ed i Tedeschi non si possono vedere ed in questi ultimi tempi pervenne voce che a Lubiana successe­ro risse in grande stile (migliaia di Tedeschi moriro­no) e che sul fronte perfmo a cannonate si son presi i due alleati imperi.

Dicono gli stessi Austriaci che, partiti i Tedeschi dall’Italia, essi si darebbero tutti prigionieri; alcuni disse­ro che non tirerebbero contro gli Italiani.

Amano più l’Italia che la Germania. Vedrete, dissero, che in ultimo l’Italia si alleerà con l’Austria e tutti insieme andranno contro la Germania.

20 gennaio, domenica
Speriamo nel bel tempo per sentire i nostri cannoni che, dicono, sono in superiorità sugli Austriaci. Sempre nuovi ordini: entro il 31 del corrente mese tutti gli abitanti devono sgranare il granoturco e portare i torsoli (!) al comando di Tarcetta; entro 24 ore tutti gli osti di prima devono portare le loro licenze ed i francobolli al detto comando.

Ogni abitante deve fare un calcolo di quanto terreno pos­siede, quanto arabile, quanto a vigneti, quanti boschi, quanto terreno che produce erba, quanto già seminato, quanto da seminare; enume­rare tutti gli utensili che si possiede: vanghe, badili, falci, forbici da potare e molte altre cose.
In tutto sono 150 articoli.
Una commissione verrà poi e ognuno dovrà sapere quanto possiede, in caso con­trario verrà condotto al comando di S. Pietro e chis­sà...

Viviamo sempre inquieti.
Di una divisione che, si disse ieri, doveva passare di qui, oggi il loro numero è salito a 7 divisioni di Prus­siani e quei diavoli li temia­mo, essendo tanti ladri.

Del resto qui si passa il tempo meno male, si mangia, si beve, si ride senza pensare a ciò che seguirà, sebbene che uno di questi giorni si dovranno notare tutte le ragazze, donne e uomini dai l5 ai 6o anni per tenersi pronti per dover anda­re a lavorare sulle strade.
Che salto meraviglioso: da stu­dente a spazzino!

Speriamo che gli italiani tornino presto

Continua il racconto fresco e immediato di Celio Struchil di Biacis sui difficili giorni del­l’occupazione austro - tedesca della Valli del Natisone.
L’interesse di questa testimonianza sta non solo nella pura registrazione dei fatti, che si svolgevano sotto gli occhi dell’autore, neanche diciottenne, ma anche nel cogliere gli umori della gente il clima che in quei difficili mesi si respfrava nel paese.

Tutti i cronisti e gli storici di quel periodo sono concordi nel sostenere che l’anno di occupazione fu molto duro a causa delle requisizioni di viveri bestiame e, nella primavera del 1918, perfino delle campane e degli organi delle chiese.

Al comando del fronte sud - occidentale austro - tedesco (con sede a Udine agli ordini dell’arciduca Eugenio) facevano capo i 15 distretti del Friuli e del Cadore, che avevano compiti amministrativi di prima istanza.
Le Valli del Natisone erano aggregate al distretto di Cividale, dal momento che il distretto di San Pietro era stato abolito dopo l’annessione all’Italia.
I comandi di distretto nominavano i sindaci fra i cittadini del luogo o tra i militari occupanti.


Lunedì 21 (gennaio 1918)
Ho dimenticato nella cro­naca di ieri che è stato mio zio, prigioniero al campo di Cividale.
Egli è adibito al caricamento delle munizioni lasciate dagli Italiani.
A quel lavoro sono adibiti parecchi veneti e friulani e benché siano in molti hanno lavoro per tre mesi.
Per il lavoro che fanno hanno la paga di 45 cent. al giorno ed hanno vitto quasi bastante.
Ogni tanto ottiene il permesso per un giorno e viene a casa.

Oggi subito dopo colazione sono stato a prendere in nota tutte le castagne e le patate nelle tre frazioni.

Ogni giorno, se ne sentono di nuove.
Anche oggi dissero e dichiararono che c’era sul giornale ed anche che ha letto una signorina di Tarcetta che 1’Italia aveva domandato all’Austria che lasciasse par­tire tutte le genti Italiane che sono maltrattate ed a cui si tolse tutto; che le lasciasse partire in Italia attraverso la Svizzera e che l’Austria non permise.

Non so se c’è qualcosa di vero in tutto ciò, ma sarebbe stata una gran consolazione per noi che altrimenti se gli Italiani non venissero ci toc­cherà tutti morir di fame.
Ma speriamo che gli Italiani ven­gano presto; in noi ogni gior­no cresce la speranza.
Sentiamo voci che per gli Austriaci la guerra va male e qualcuno dice chiaramente che se gli si presenta l’occa­sione di poter darsi prigionie­ro non la sfuggirebbe.
L’umor bellico è in gran ribasso, mentre gli Italiani, secondo voci da prestar fede, combattono con molto più coraggio che innanzi la scon­fitta.

Oggi in montagna si sentì perfino i colpi di fucili e la mitragliatrice.
Si spera che col bel tempo compaiano i nostri aeroplani che, si dice, sono venuti dall’America in gran numero, e pongano scompiglio in questi Austriaci che hanno una grandissima paura al loro comparire.

Tengono a mente le stragi compiute da essi (aerei) tra le loro file durante l’offensiva italiana.
XY mi pare dicesse (che) di aeroplani italiani non ne cadde alcuno, mentre gli Austriaci vennero tutti atterrati.

Infatti gli Austriaci se non parlano bene, ammirano gli aviatori italiani.
A Idria, mi disse, una volta mentre era lui in quella città, gli Italiani fecero la loro incursione aerea e a tre metri dall’offici­na cadde una bomba lanciata dall’aeroplano.

Oggi dopo le due pom. abbiamo riparato il tubo del­l’acquedotto che conduce l’acqua a casa nostra perché era spaccato (a) causà del ghiaccio che vi si formò, essendo (stati) i primi di gen­naio molto rigidi.

Martedì 22
Oggi nulla di nuovo, tran­ne, giova notare, il sempre crescente umor bellico di mia madre. Essa non può soffrire questi diavoli; quali e quante maledizioni uscite da bocca sua da quando vennero.

In casa nostra essa tiene tutti i cuori in speranza; se qualcuno dice che gli Italiani non verranno più, essa risponde:
«Vedrete che più presto che si creda, questi diavoli se ne andranno»,
ed è apace di sgridare e dire di tutto a qualcheduno che non spera più come se fosse un austriacante.

Quando venivano a comprare acquavite da noi quelli di Caporetto e paesi contermini, già prima sotto l’Italia, e dicevano strombazzanti fiabe, a rischio di andare in galera diceva sulla faccia a quegli ingrati, che furono trattati dall’Italia meglio che gli stessi cittadini italiani:
«State certi ― diceva ― che l’Italia tra breve tornerà a mettere su di voi le unghie, poiché vi tratterà come ci trattano ora i vostri vojaki (=soldati)».
Si domandò un giorno ad un Caporettano come mai si sentono ancora i cannoni se dite che sono i vostri soldati già a Milano.
«Non sapete ―rispose quel merlo ― che l’altro giorno hanno condotto al fronte 42 cannoni e quando sparano quelli, potete imma­ginarvi che tutto il mondo trema», risposta che mi fece voltare per non ridere.

Speriamo che gli Italiani vengano presto e allora vedremo chi riderà bene.
Ride bene, chi ride ultimo.

Oggi sono stato in monta­gna e sentii un cannoneggiamento, mai uno uguale come quello, e tutto il giorno fu lo stesso, verso sera ancora più forte.

Pareva che quei colpi suc­cedevano nella direzione di Cividale e poco più distante da quella città. Quei colpi mi rendono sempre allegro e davvero lo fui tutta la notte.

La sera venne, da non so dove, la voce che in questi ultimi giorni gli Italiani hanno fatto 160.000 prigiomeri austriaci.
Io dissi a mia madre che entro due mesi saranno qui gli Italiani ed essa mi rispose
«macché fra due mesi, sei matto, fra un mese siamo liberati».

Catturati due soldati tedeschi

La testimonianza di Celo Struchil conferma che l’occupa­zione delle truppe austro - tedesche rese molto difficile la vita della gente, in particolare nelle campagne.

Nel marzo del 1918 lo Stato maggiore Boroeviàč istituì in ogni comune una commissione economica di 5 -7 membri, nominati dal comandante del distretto, con il compito di assi­curare il regolare svolgimento del lavoro dei campi.

Nel Bollettino ufficiale dell’amministrazione militare del­l’occupante (n. 2 del 3 marzo 1918) un’ordinanza fissava il principio che chiunque possedeva un appezzamento di terre­no atto alla coltivazione, era obbligato a «coltivarlo come si conviene e a provvedere al raccolto nonché al razionale sfruttamento dello stesso.

A tal fine vennero istituiti, a cura dei comandi militari, le commissioni agrarie formate da agricol­tori locali.

Si attuò così il coinvolgimento diretto della popolazione nella attuazione degli obblighi, ai quali doveva sottostare.
Venne, inoltre, vietata resportazione di qualsiasi bene o pro­dotto dai territori occupati (cfr. G. G. Corbanes, Caporetto e l’invasione del Friuli, Del Bianco, Udine 2003).


Mercoledì 23 (gennaio 1918)
Solite occupazioni della mat­tina.
Verso le 10 vado a lavora­re in campagna; andai per la prima volta a potare le viti; piuttosto che stare sempre in ozio, è bene mi metta in opera dietro qualche occupazione.

Dico la verità che il lavoro mi piacque.
Lavorai fmo a sera e ritornai a casa per sentire le solite buone notizie.

Si disse che gli Italiani in una grande offensiva hanno occu­pato Trento, la quale notizia fu udita da un soldato austriaco; la notizia buona io non stento a crederle, perché quei relativi dietro-front delle truppe, dei camions e quegli spostamenti di comandi non preludono a niente di buono.
Fatto sta che qui si comincia a pensare come comportarsi per l’arrivo degli Italiani, che speriamo molto prossimo.

Gli Austriaci, a quanto pare, pensano in una ritirata condurre con sé tutti gli uomini validi ed a Cividale e a San Pietro, da dove giunse di ciò notizia, si teme molto per questa misura che prenderebbe l’Austria.

Da parte nostra mio padre ed io abbiamo già deciso di morire piuttosto che andare con loro a morire di fame.

Viene mio padre da Tarcetta, dove era stato a ricevere nuovi ordini.
Quanto lavoro per me!
Devo andare di casa in casa e farmi dire quanto terreno arativo posseggono le famiglie, quanto boschivo, quanto colti­vato a vigneti; quanti bovini posseggono, tutti gli strumenti agricoli. (in tutto circa 35 artico­li) e poi ancora tutte le persone dai 15 ai 60 anni dovetti scrive­re sulla carta.

Ci fu una giornata di lavoro per me, di faticoso lavoro per­ché nessuno sapeva quanto ter­reno possedeva così sull’istante, ed anche perché la gente era fuori a lavorare.

Giovedì 24
Erano le 8 circa, quando la serva venne a picchiare all’u­scio di camera mia.
Veniva a prendere il lume a petrolio, poi­ché candele non se ne conosco­no più; ci serviamo del petrolio anche per andare a dormire.
Io non ebbi la prontezza di domandarle a che serviva (il lume, ndr) a quell'ora, ma ebbi subito la spiegazione della cosa, poiché sentendo brontola­re e cicalare più del solito, andai alla finestra e vidi un gen­darme che portava un lume in mano, che riconobbi per quello della signorina Maria.
Povera ragazza, aveva solo quello ed anche quello glielo portarono via i barbari.

Non stetti molto a vestirmi.
In casa mio padre non c’era, dovette accompagnare il sicario per le case del paese, che andò perfino nelle camere a vedere se c’era un lume per lui.
In casa della Maria quella bestia cat­turò anche due soldati russi che, scampati da Selo, s’erano sfa­mati li.

Speravo che gli Austriaci fos­sero migliori dei Tedeschi, ma m’ingannai, poiché essi sono loro simili e gli Ungheresi li superano forse per cattiveria.

Tutto il giorno oggi potai le viti e non ritornai che verso le 5 stanco del lavoro.

Le vendette degli occupatori

Le informazioni che giungevano a Biacis dal fronte del Piave, sulle cui sponde erano schierate le truppe italiane e austro - germaniche le une contre le altre armate, erano cer­tamente frammentarie e dettate più dal desiderio che l’occu­pazione finisse al più presto che da notizie certe.
Sono ricor­renti nel diario di Celio Struchil le «voci» sull’imminente ritorno delle truppe italiane e sui loro successi sul fronte.
Ma dovranno passare altri nove duri mesi prima della caduta del fronte del Piave con il conseguente ritiro delle truppe di occu­pazione.
Nel gennaio 1918 la situazione della popolazione diventa sempre più difficile.
Vengono emanati gli ordini di conflsca e di macellazione di manzi, vitelli, maiali, pecore e capre.
Il bestiame confiscato viene sottratto alla libera dispo­nibilità del proprietario, salvo quello necessario per uso fami­liare e per il lavoro dei campi.
Viene, inoltre, disposta la con­fisca dei legumi, sementi di patate, castagne, vino e foraggio.


Venerdì 25 (gennaio 1918)
Cominciai di buon’ora ad andare di casa in casa a pren­dere in nota ciò che dissi.
Verso la 1 pom. finii l’arduo lavoro.

Oggi siccome è una giornata bellissima, dopo molte pessi­me, comparve un aeroplano; da più di due mesi che non si vedevano ed oggi comparve il primo, sfortunatamente austri­aco, ma sappiamo che al fron­te i nostri aeroplani fanno stra­gi di nemici.

Si raccontò, la notizia è forse priva di fondamento, che veli­voli italiani disfecero un’intera divisione austriaca della quale gli scampati furono 2.

Gli Austriaci, a quanto pare, la vedono brutta per loro e cominciano a vendicarsi sulle popolazioni italiane.

A S. Pietro chiunque è trova­to senza permesso, è ficcato in prigione e forse lasciato senza mangiare.
Poi c’è lo sposta­mento di comandi che fa cre­dere gli Austriaci molto prossi­mi a essere sconfitti del tutto.

I1 comando di S. Pietro va a Caporetto, quello di Cividale a S. Pietro e quello di S. Daniele a Faedis. Sono certo che gli Italiani otterranno facilmente la vittoria poiché gli Austriaci pensano di darsi tutti prigio­nieri, viste che in Italia si vive bene e sono stanchi di essere mal nutriti e sempre in combattimento.

Della flotta si raccontano cose stupende; un Austriaco disse che quando la flotta entrerà in azione, entro tre giorni saremo Italiani; un altro disse che entro pochissimi giorni ci saranno qui gli Italiani.

Gli Austriaci e i Germanici vedono con miglior occhio l’Italia che non si vedano essi stessi.

Una donna di Ponteacco rac­conta:
«Andavo a San Pietro, quando ad un tratto, già lontana dal paese, mi si para innan­zi un soldato germanico con la sciabola estratta e mi dice:
“Siete italiana o austriaca?”.
Italiana, rispondo.
“Va bene ― mi rispose ― se eravate austriaca, vi giuro che vi avrei uccisa».

Oggi sono tre mesi giusti che siamo sotto gli stranieri e starei ancora due mesi a patire sotto di essi purché gli Italiani vengano.

Sabato 26
Si comincia a fare una puli­zia più completa, colla pulizia della stalla e del baraccone.
Io poto le viti a Braida e alla sera ho finito.

Qui si vive in allegria

Le fantasiose notizie riportate dallo Struchil nel suo diario dimostrano che sotto l’occupazione austro-tedesca le comuni­cazioni non funzionavano.
Le autorità avevano introdotto una severa censura e i pochi giornali venivano stampati sotto il loro controllo. I1 servizio postale era molto limitato e le lettere venivano censurate.
Nelle Valli del Natisone era in funzione solo a San Pietro un ufficio postale e il servizio telefonico.


Domenica 27 gennaio 1918
Comincio coll’andare alla messa alle 10,30.
Dopo mez­zogiorno fino alle ore 5 vo bighellonando di qua e di là; poi giocammo ai denari sulla scatoletta e poi di 7 e mezzo lì di Maria.

Questa giornata, come è sempre stata la domenica, (è) molto proprizia per le novità.
Filippo di Tarcetta ― è quel­lo che ne porta sempre pieno il sacco ― disse che un capitano austriaco a Tarcetta così gli parlò:
«Gli Italiani hanno catturato nel Trentino il prin­cipe ereditario germanico, vale a dire il Kromprinz (!) e che l’imperatore suo padre per lo smacco diede ordini severissimi affinché i suoi soldati nulla toccassero e facessero alle popolazioni italiane da essi occupate».
Poi disse:
«State sicuri non vi verrà torto un capello.
Gli Austriaci ed i Tedeschi passeranno per di qui durante la ritirata, come sono venuti giù gl’Italiani e che perciò non vi accorgerete nemmeno quando verranno i vostri sol­dati».

Corre pure voce che gli Italiani o i loro alleati hanno preso Trieste mediante uno sbarco formidabile e poi ancora che gli Italiani sono pure a Vilach.
Certo, a que­ste voci non si può prestare tutta la fede, ma qualcosa ci sarà pure di verità.

L’immaginazione di queste popolazioni può anche di più:
si disse che un aeroplano ita­liano avesse buttato a Cividale un sacco di pagnotte ai prigionieri.

Qui si passano le serate abbastanza bene, si vive in allegria e non pensiamo menomamente ai patimenti ed alle sofferenze che ci aspetteranno durante l’arrivo degli Italiani, che sappiamo in viaggio.
Ieri sera, per esempio, in casa di Maria c’era la riunone di tutte le ragazze di Biacis, c’ero io e i miei due amici. Ci divertim­mo a giocare a tombola, a briscola, al zuccaio ed a par­lare di cose che, si sa, tra gio­vani l’argomento non può essere che l’amore.

Siccome i miei genitori sono usi ad andare a dormire verso le 9, così io, d’intesa coi miei compagni feci fmta d’andare a dormire. Chiusa la camera internamente, scesi per una scaletta messa dai miei compagni fino a terra ed in casa di Maria.
Un’ora più tardi me ne ritornai in camera mediante lo stesso metodo.

Grande miseria a Caporetto

Le condizioni economiche durante l’occupazione austro­tedesca furono difficili.
Nel «Libro istorico» della parrocchia di San Leonardo, don Giuseppe Gorenszach annotò:
«17 feb­braio 1918 - Si legge in chiesa il decreto riguardante il sequestro del grano e del granoturco.
Esso dispone che dette grana­glie debbano essere consegnate alle autorità municipali che le riporrà, sotto la propria responsabilità e vigilanza, in appositi magazzini e penserà poi al razionamento, per gli abitanti del comune, della farina in modo che nessuno avesse a percepir­ne una quota superiore a 150 gr. (farina di frumento) oppure 200 gr. (farina di granone).

Il popolo ne è impressionato e minaccia ― a chiacchiere ―di reagire in tutti i modi contro tale disposizione.
Il popolo è oggi esasperato anche pel fatto che fu reso edotto che le auto­rità intendono fare riscuotere anche pel corrente anno le tasse comunali sia pure, come sembra, in proporzione più ridotta degli altri anni.
Povero popolo!».


Lunedì 28 gennaio1918
Sono di una svogliatezza straordinaria: nel dopomez­zodì provo due volte ad anda­re a lavorare e non ci riesco.
Oggi è una giornata, che, dacché sono gli Austro -Tedeschi qui, non ce ne sono state di simili: un bombarda­mento intensissimo che non terminò se non a tarda sera. Speriamo sempre più stante le notizie buone che vengono da ogni parte.

Oggi, per esempio, soldati austriaci, che erano diretti verso l’Austria, dissero che andavano sul fronte della Russia, poiché quest’ultima ha rotto l’armistizio e comin­ciato l’offensiva.
Se ciò è vero, i due amici sanguinari verranno a trovarsi in serio imbarazzo.
Dove troverà le truppe necessarie per soste­nere l’urto dei Russi? Qui non si sa niente delle muta­zioni avvenute in quel paese, né chi tiene il governo né chi comanda l’esercito.
Se i vari partiti si sono trovati d’accor­do, in quei due o tre mesi d’inverno avrebbero potuto preparare un’offensiva coi fiocchi.

Ogni tanto abbiamo qual­che esempio, col quale si mette in ridicolo gl’invasori.
Una bella ragazza di Ponteacco, certa Carmela, un mese fa quando qualche ignorante austriaco si vantava delle loro vittorie e dice­vano ch’erano già a Milano, questa Carmela, dunque, andò dal colonnello al comando di San Pietro e domandò se si poteva far venire un pacco da questa città. Si può immaginare come rimase l’alto ufficiale che si peritò a rispondere:
«Ciò non è permesso».

Un borghese di San Pietro, visto che un soldato prussia­no caricava la pipa, si fece coraggio a domandargliene un po’ dietro cambio di pomi o castagne.
«Al Piave ―disse ― danno gl’Italiani tabacco».

Questi giorni avvengono arresti in gran massa di donne austriache di Caporetto, S. Lucia e di tutti quei paesi di là.
Una donna di quelle a Ponte S. Quirino era arrivata a raggrumare 20 quintali di granoturco e, scoperta, ebbe sequestrata tutta la merce.

Grande è la miseria di que­ste popolazioni; nei loro paesi non si produce niente e perciò vengono tutte da que­ste parti e pagano profumatamente il granoturco; arri­schiano tutto piuttosto che patire la fame.
Ciò non mi dispiace: sappiamo ciò che fecero durante lo sgombero italiano, fischiavano di dietro ai nostri soldati e, sedute alcune sui camion, cantavano.

Essi credevano chissà come li avrebbero trattati i loro sol­dati, viceversa sono stati spo­gliati più di noi.
Ora comin­ciano a cambiare l’opinione verso di noi «i Veneziani cani», come essi dicevano e tutte quelle che vengono qui dicono: «Magari ritornasse­ro gli Italiani».

Pensiamo di collocare nelle Litanie un’altra parte, e cioé:
«Dagli Austro - Tedeschi, libera nos, Domine!».
Del resto Iddio ha (esaudito) qualcheduna delle bestemmie a loro dirette, poiché da parecchi giorni passano vagoni carichi di ciechi.
La cecità viene prodotta da pol­veri speciali gettate da aero­plani, che, si dice, sono sem­pre in gran numero sulle loro file.
Anche ultimamente una donna venuta dai pressi della fronte disse di aver visto circa 600 Inglesi.

Requisizione di indumenti

Durante l’occupazione austro - tedesca la vita delle popola­zioni fu irta di stenti a causa delle continue requisizioni e razionamento dei generi alimentari e perfino degli indumenti, come leggiamo nella cronaca dello Struchil.
I sacerdoti che erano l’unica “autorità” rimasta nelle Valli, si prodigarono in ogni modo per alleviare le sofferenze della gente. Della loro opera scrisse l’arciprete di Cividale, mons. Valentino Liva, nei volumi «La vita di un popolo durante la occupazione stra­niera» (Cividale 1928) e «Vita di un popolo» (Cividale 1929).
Del vicario di Matajur, don Luigi Blasutig, mons Liva annota che «fu fra i primi ad accettare le nostre proposte di soccorso reciproco tra le popolazioni mediante permute di generi; poiché in pianura possedevano ancora un po’ di grano e sui monti si era potuto preservare un maggior nume­ro di bovini. Egli sin dal 28 novembre 1917 cominciò questo scambio con noi e così continuammo per tutto il tempo dell’occupazione».


Martedì 29 e mercoledì 30 gennaio 1918
In questi giorni le autorità austriache del comando di Tarcetta procedettero alla requisizione degli indumenti militari in tutte le case di C.

Qui avvenne un fatto stra­no.
Siccome durante le per­quisizioni in una casa aspor­tarono delle, dette da noi, «trobe», cioé delle vesti ancora in «fascio» mai ado­perate.
In quel paese tutti gli abitanti sono tra loro come tanti cani e gatti. I1 primo che subì la perqui­sizione fece la spia che anche un’altra famiglia possedeva dette trobe ed avevano anche indumenti militari e lenzuola e coperte dell’ospedale.
Così da una casa all’altra asporta­rono tutto ciò che trovarono ed alla signorina O. portaro­no via tutti i rocchetti di filo da cucire che vendeva per kr ( Corone austriache, la moneta usata durante l’occu­pazione. ) da 10 a 14.
Roba rubata però!

I gendarmi dissero che aspor­teranno anche i sassi se gli abitanti continueranno ad accusarsi a vicenda.
Che gente! E come sono gelosi l’uno dell’altro! Non possono vedersi derubati senza far derubare un altro.

La perquisizione proseguì a L., nel quale c’è gente diffe­rente dall’altro prossimo, C.

Giovedì 31 gennaio
Oggi eseguii del contrab­bando.
Guai se viene l’auto­rità a conoscerlo.

Pare che gli Austriaci non pensino d’an­darsene ancora.
Fecero già i prezzi del «seme» dei bachi, cioé 8 kr. l’oncia e i bozzoli a kr. 10 li pagheranno.
Di più pensano a mettere a posto il comune coi suoi consiglieri, il sindaco, il segretario e tutto.

Oggi, di ritorno dalla mia escursione, ricevetti una bella notizia. Assicurarono che fosse vera. Gli Austriaci rup­pero l’alleanza colla loro amica Germania e se entro il 6 febbraio qualche soldato germanico si troverà sul suolo austriaco verrà dichiarato pri­gioniero.
A domani più ampie notizie.

Razionata la farina

Mons. Valentino Liva, arciprete di Cividale, nelle due pub­blicazioni citate, scrive che i sacerdoti sloveni delle Valli del Natisone si prodigarono moltissimo per alleviare le sofferenze della gente durante l’invasione austro tedesca.
Del parroco di San Leonardo, don Giuseppe Gorenszach, che si distinse per «bontà di cuore» scrive:
mi recavo spesso da lui «per fissare il modo migliore di giovare alle nostre popolazioni e conveniva­mo anche qui di aiutarci specialmente con permute di grano da parte nostra, per burro, uova e carne da parte della mon­tagna...
Questi tratti dei miei confratelli non solo mi giovavano, ma anche mi commuovevano”.


Venerdì 1 febbraio
In questi ultimi due giorni si sente poco bombardare.
Fosse la pace!
Ciò che dissi ieri, cioé della rottura dell’al­leanza austro - germamca pare più vera, stante lo zitto (!) che persiste.
Se ciò avve­nisse, non si finirebbe (noi) d’essere tanti prigionieri e sprovvisti del più necessario, poiché la rottura dell’allena­za determinerebbe anche la rottura diplomatica che pre­cederebbe la dichiarazione di guerra alla Germania o vice­versa.
Ma la rottura dei due imperi alleati determinerebbe sicuramente la pace di uno dei due avversari con i nemi­ci di prima.
Per es. l’Austria, rompendo le relazioni colla Germania, dovrà fare la pace coll’Italia e con tutte le altre potenze ad essa alleate, poi­ché esiste il patto di Londra, perciò l’Austria dovrebbe fare la pace con tutti i nemici di prima, almeno d’Europa, e le resterebbero tre stati nemi­ci, la Germania, la Bulgaria e la Turchia, se questi due ulti­mi non abbandonassero essi pure la Germania ed in caso contrario resterebbero isolati e dovrebbero arrendersi (poi­ché rimarrebbero) soli in campo; chissà, forse, anche la Danimarca scenderebbe con­tro di essa.

Se la rottura è avvenuta, noi saremmo liberati tra pochi giorni, poiché l’Austria dovrebbe chissà che dure condizioni subire dalla Quadruplice, in primo luogo si penserebbe a noi e poi l’Austria cederebbe all’Italia Trento e forse anche Trieste.

Oggi venne una circolare, annunciando che fra pochi giorni si commcerà a razio­nare la farina: ne verrà con­cessa due ettogrammi per persona. Perciò si immagaz­zinerà tutto il granoturco e per ordine si peserà e verrà dato agli abitanti.
Che inuma­no trattamento!
Una persona che lavora tutto il giorno non può mangiare che 2 etto-grammi di polenta al giorno.
Se ci fossero altre cose da mangiare, olio, burro, for­maggio, salame, insomma tutto ciò che si aveva sotto l’Italia passi, si vivrebbe egualmente, ma manchiamo di tutto e vengono a razionar­ci quel po’ di granoturco che possediamo.
È troppo grossa!
Non ci danno sale, zucchero, né caffè, insomma niente.

Razionino su ciò che ci danno loro, ma non su quel poco che noi abbiamo.
Ma, fatta la legge, creato l’ingan­no, dice un proverbio e così faremo anche noi.

Prigionieri affamati

Oggi peraltro successe una bella ai Prùssiani stanziati a San Pietro.
Come è loro uso, venivano da San Pietro col carro e rubavano intieri muc­chi di fieno.
L’altro giorno la fecero franca, perchè troppo tardi accorsero i borghesi ed i gendarmi arrivarono troppo tardi.

Ma oggi, appena videro i borghesi che alcuni soldati con ampi sacchi - materasso si dirigevano in montagna, mentre il carro aspettava sulla strada, uno di noi lesto corse al Comando di Tarcetta.
I1 comandante ed un altro sol­dato, arrivati, li colsero colle mani nel sacco, come si suol dire.
Siccome nessuno può toccare il fieno senza apposi­to permesso del comando, uno dei soldati andò a San Pietro a prendere l’autorizza­zione.
Ritornò poco dopo con un biglietto del comando.
Esaminandolo bene, i gen­darmi lo trovarono falso. Il mascalzone invece di andare al comando, dove di sicuro non avrebbe ottenuto il permesso, lo aveva falsificato.
Essendo il carro già caricato, lo portarono alla casa del pro­prietario il quale restò con­tento, poiche il caso gli risparmiava la fatica di por­tarselo sulle spalle dal monte.

Sabato 2 febbraio
Ieri sera tornò la nonna da Drenchia, dove era stata due giorni per vedere se le aveva­no portato via gli indumenti, che colà si trovavano essendo che essa abitava là fino al 24 ottobre, giorno che dovette fuggire causa bombardamen­to.
Anche là la popolazione aspetta e spera l’arrivo dei liberatori.

Per fortuna gli indumenti di don Giovanni non furono toccati.
Disse fra l’altro, che là pullulavano prigionieri italiani e che ogni notte ci sono scardinamenti di porte.
Sono gli stessi prigionieri che affamati, vanno a rubare e sono mandati dai soldati loro custodi col patto di fare con essi a metà.

E' noto che un generale si uccise nel vallone di Clodig.
Ebbene, era nella cassa e attendeva d'essere sepolto, quando il giorno dopo nella cassa non si trovò nessuno; occasione perciò (per far credere) alle buone genti che il diavolo aveva portato via il generale.

1) Don Giovanni Guion (Biacis 1877 - Valbruna 1966, mentre era cappellano a S. Volfango, raccolse la prima vittima della Grande Guerra (Riccardo Di Giusto). Fu poi parroco di Azzida e Va1bruna.
Don Giovanni era zio di mons. Pasquale Guion, la cui mamma, Maria Struchil, era zia dell’autore del diario.

2) Probabilmente si tratta del gen. Giovanni Villani, comandante della 19° divisione, appostata sul Kolovrat.
Villani si tolse la vita il 26 ottobre, la salma venne composta a Scrutto.


Inizia l'anno scolastico

Domenica 3 febbraio
Come il solito a messa ad Antro io vado verso le 10.

Dacché vennero i tedeschi, non abbiamo messa a Biacis.
Don Luigi di Vernasso non viene più, poiché non può camminare e poi il povero prete ne provò dei quarti d’ora molto brutti. Una sera gli con­dussero un prigioniero russo, ufficiale, ed il prete doveva custodirlo tutta la notte, pena la testa se lo lasciava fuggire.
Lui custodiva il prigioniero, mentre i tedeschi visitavano la casa ed asportavano tutto.
Don Luigi restò padrone del letto sul quale dormiva.

La sera passarono qui dei carri.
Siccome sapevano gli abitanti che andavano a pren­dere il fieno, corsero al coman­do di Tarcetta.
Vennero tre uomini. Si capisce che i tre gendarmi contro circa 15 armati prussiani avrebbero fatto un bel niente.
Infatti, più tardi, dopo in gran tramestia, un corri di qua,un corri di là, i prussiani se proprio coi carri carichi non andarono, condus­sero con loro del fieno.

4-8 febbraio
In questi giorni non si sente un minimo rombo di cannone.
Chissà la causa?! Cominciarono a dire che gli austriaci erano avanzati di molto da quella parte.
Dapprima si credette a ciò, ma poi si seppe che le nazioni in guerra s’erano riunite in Svizzera per trattare la pace.

Ieri, 7 febbraio, di ritorno da San Pietro il sindaco di Tarcetta, sig. Specogna Antonio, uomo di altra pasta del fratello, passò da me e mi disse:
«Vuoi andare come insegnante a Pegliano? Fai meglio ad accettare subito, poiché ti toccherà forse un posto peggiore».

Io dapprima rifiutai, ma, spinto quasi per forza, aceettai.
M’era già stato offerto un posto di segretario a Drenchia che assolutamente non acett­ai.
Il giorno dopo mi trovai riunito al comando di San Pietro a1 Natisone, innanzi al colonnello, insieme a tutti gli altri insegnanti e maestre.
C’era fra gli altri don Luigi di Erbezzo, colui che parlò più di tutti durante l’udienza.
Era il colonnello alto, rotondo di viso, d’aspetto piacevole, parlava perfettamente l'ìitaliano ed era molto allegro.
Gli sedeva di fianco il suo aiutante, ch’era un curato austriaco. Era lui che faceva tutte le annotazioni ed accendeva la sigaretta al superiore ogni volta che occorreva.
La seduta durò dalle 10 alla 1. pom.
Domandò a tutti l’età, dove insegnavano, lo stipendio che percepivano; poi domandò se nella scuola insegnavano la religione, delle vacanze.
Una signorina domandò se si dove­va fare festa anche i giorni natalizi del re, della regina ed in generale le feste politiche e civili.
Con tutto il ripetto che portiamo alla famiglia reale italiana, credo non sia il caso di fare vacanze, rispose il colonnello.
La signorina Predani (!) si lamentò molto e si mise perfino a piangere, poi­ché il colonnello non accettava i suoi motivi per buoni. Essa voleva cambiar posto poiché era troppo lontano da San Leonardo venire a San Pietro ogni giorno dove era assegna­ta ma a questi lagni e ad altri il colonnello tagliò còrto.
Quindi mi alzai io e dissi ciò che il sindaco di Tarcetta m’a­veva detto e lui disse: “Sì, va bene, vedremo” e fece scrivere il mio nome su d’un foglio e niente altro.

Tutti gli altri aspettarono fino alle due, poiché il colon­nello aveva promesso a cia­scheduno 112 chilogrammo di sale.
Io non volli aspettare e me ne andai a casa.
Voglio domandare spiegazioni al sin­daco quando lo vedo, poiché mi disse che dovevo andare, mentre avrei fatto bene a rima­nere a casa.

Soldati senza nessuna pietà

Finisce qui la testinìonian­za di Celio Struchil sull’oc­cupazione austro-tedesca nelle Valli del Natisone nei mesi di gennaio e febbraio 1918. Probabilmente l’autore ha scritto altri quademi, di cui però non siamo a cono­scenza, con interessanti osservazioni ed annotazioni su un periodo storico diffici­le per la gente che ha dovuto sopportare razionamento di viveri, requisizione dei pro­dotti agricoli e perfino di indumenti.

Come narrano le cronache del tempo, in particolare dai libri storici delle parrocchie di San Leonardo e di San Pietro (cfr. DOM 1989) nel mese di maggio fu diramata la disposizione che «verran­no tolte dagli organi di chiesa tutte le canne di stagno o di composizione di stagno.
Verranno risparmiati solo gli organi di speciale valore arti­stico e musicale».

Nel mese di giugno vennero asportate le campane.
Nel libro storico di San Leonardo si legge:
27 giu­gno 1918 «Il campanone suona oggi mezzodì per l'ultima volta. Le campane par­rocchiali furono le ultime ad essere atterrate tra le altre appartenenti alla parrocchia.

8 luglio 1918
Le campa­ne, staccate il giorno 27, vengono sui carri portate via, probabilmente in Austria.
Al loro posto sul campanile alcuni giovanotti appesero delle travi di ferro asportate dalle trincee.
Esse danno un suono sgradito ma abbastan­za acuto, così da farsi sentire a discreta distanza.
Gli austriaci lasciano in compenso di questa loro barbara rapi­na un campanello di kg 47 che viene tosto appeso ai campanile.
Le travi di ferro servono di suoneria all’orolo­gio (...).

16 ottobre 1918
Gli austriaci requisiscono buona parte dell’organo della chiesa parrocchiale.
È una vera infa­mia.
Si cominciano a requisi­re botti e vasi vinari per la prossima vendemmia e si minaccia una requisiszione spietata di vino e granone».

E siamo già alla vigilia della riscossa, quando gli ita­liani rompono il ‘fronte del Piave e rcvonquistano le terre perse con la disfatta di Caporetto.

Ma leggiamo le ultime note lasciate da Celio Struchil.


8 febbraio - venerdì
A S. Pietro quando uscii dal comando, vidi due ragazze che piangevano ed un soldato che scaricava burro e uova in un armadio.
Che coraggio hanno questi gendarmi d’arrestare donne e ragazze e sequestrare loro la merce come fossero tanti lladri.

Non hanno nessuna pietà, anzi lo fanno con piacere, poiché forniscono coi sequestri la mensa dei signori ufficiali, mentre forse i genitori ed i fratelli e le sorelle della sequestrata (!) l’aspetta a casa pieni di fame.
Ci vuole un cuore di ferro per non sentire ciò.

9 febbraio, sabato
Speravo oggi di vedere il sindaco e di domandargli spiega­zioni dell’affare già detto.

Oggi del resto grandi novità.
Venne da Colloredo la mia ex amante, carica di notizie. Disse che là per ordine di ufficiali si fanno grandi funzioni e grandi pre­ghiere perché s’affretti la pace e che l’Italia ha fatto un armistizio, il quale dura fino al 20 febbraio, durante il quale si­ fanno negoziati di pace e che l’Austria (sentite questa!) dà all’Italia Trento e Trieste e che si tiene fino ad Udine il territorio conquistato.

Questa mi pare un po’ grossa e credo che l’Italia non vorrà accettarla se pensa ancora qualcosa a noi, povera gente.

Si dice che gli austriaci si danno prigionieri sempre in maggior numero, costretti a ciò dal cattivo nutrimento che ricevono e perché hanno la speranza, fondata, di venir più ben nutriti dall’italia.

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