Testimonianza di Mons. Cracina
L'opera di mediazione nella resa dei cosacchi del parroco di S, Leonardo
«Erano le cinque del pomeriggio e da Merso di Sotto, allo sbocco della Valle dell’Erbezzo, saliva su e si faceva sempre più forte un crepitio di spari».
Così mons. Angelo Cracina, parroco di San Leonardo, inizia il racconto della liberazione nel «Libro storico della parrocchia di San Leonardo degli Slavi» (libro IV). Era il 28 aprile 1945.
«Gli alpini della Repubblica di Salò (i cosiddetti repubblichini) che, associati ai soldati tedeschi e cosacchi presidiavano San Pietro al Natisone, avevano disertato ed erano passati ai partigiani dell’associazione Osoppo.
Un folto gruppo di loro, unito con partigiani della associazione Garibaldi, con partigiani dell’associazione Beneška Četa (gli uni e gli altri erano uomini delle nostre Valli) e con quelli della Kobariška četa (gente di oltre confine) veniva su coll’intento di snidare da San Leonardo la guarnigione dei soldati cosacchi che, al servizio dei tedeschi, avevano occupato la zona fin dal giorno 11 aprile. Naturalmente questi combattenti dovettero aprirsi la strada combattendo contro gli occupatori.
La sparatoria arrivò fin sotto il colle su cui si erge la chiesa parrocchiale di San Leonardo, e cioé fino alla borgata di questo nome, che giace ai suoi piedi, e qui si arrestò. Perché qui stava la sede del comando militare cosacco e qui si erano rifugiate le pattuglie che avevano contrastato inutilmente l’avanzata dei partigiani.
Il comando si era installato nella ex caserma dei carabinieri dal giorno 19 aprile. Prima aveva pccupato il pianterreno della casa canonica parrocchiale.
Con quale disagio e con quanto pericolo per il parroco e per i suoi familiari, lo si può immaginare se si pensa che la zona brulicava di partigiani...
Gli spari erano, dunque, cessati e si capisce perché. I capi dei partigiani devon aver considerato che la caserma era diventata un fortilizio ben custodito e fortemente munito per cui non era facile espugnarlo tanto presto.
Conveniva pertanto cercar di ottenere la capitolazione degli assediati con mezzi pacifici, se fosse stato possibile. Fu per questo motivo che tre alpini, guidati dal sergente R. M. da San Leonardo e dal tenente M. G. da San Pietro al Natisone, andarono dal parroco a chiedergli che li accompagnasse al comando militare cosacco per persuaderlo ad arrendersi.
Il parroco, don Angelo Cracina, che era stato tenente cappellano della 63° Legione Tagliamento Mvsn, che parlava anche il russo e forte dei buoni rapporti che aveva col comandante, accettò.
E così egli, preceduto da un partigiano in borghese, disarmato e recante bandiera bianca, insieme col sergente e col tenente degli alpini, disarmati, ma con all’occhiello una coccarda tricolore, si presentò in caserma.
Il dialogo tra lui e il comandante si svolse come segue.
Parroco: «La Germania è vinta; le truppe angloamericane sono già a Udine e stanno per raggiungere Cividale; siete invitati ad arrendervi».
Comandante:
«Chi ha dato a lei questo incarico?».
Parroco:
«L’avanguardia dell’esercito angloamericano che è piazzata qui di fronte a noi».
Comandante:
«Noi non ci fidiamo; io vedo che tra i militari ci sono anche dei borghesi con la stella rossa sul berretto» (così dicendo egli additava i partigiani della Garibaldi alleati con gli alpini, armati e piazzati di fronte alla caserma).
Parroco:
«Quei borghesi là sono dei semplici subordinati, aggregati alla truppa, ma non fanno parte dello Stato maggiore».
Comandante:
«Ci arrendiamo, ma a patto che ci lascino le nostre armi per andare insieme contro i tedeschi».
Parroco (dopo aver sentito il sergente ed il tenente):
«Non vi accettano, se non consegnate le armi».
Comandante (grida con rabbia):
«E allora combatteremo contro di loro!».
Parroco:
«Signor comandante, abbiate pietà della gente, che aspetta là fuori inerme e trepidante! Se ci sarà battaglia, ne andrà di mezzo anche la gente, vi prego».
Comandante:
«Dica alla gente che si ritiri in casa: noi non faremo alcun male alla gente».
A questo punto i quattro incaricati della trattativa si ritirarono e andarono a riferire la brutta notizia ai militari e alla gente che si era ammassata sulla piazza.
Tra la gente si scatenò subito un fuggi fuggi generale e i militari puntarono le armi contro la caserma.
Alcuni parrocchiani seguirono il parroco in canonica e lì si asseragliarono. E in attesa degli eventi si misero con lui a recitare il rosario.
All’istante cominciò una furiosa sparatoria che durò circa mezz’ora Quando cessò, devono essere state le sei pomeridiane o poco più.
Qualcuno allora picchiò alla porta della canonica; si andò ad aprire evidentemente con un certo sospetto...
Ma un grido di gioia uscì dalla bocca di tutti, quando vedemmo entrare il sergente e il tenente di prima, che festanti ci dissero:
«Adesso è finita!».
A cui il gruppo dei rifugiati rispose in coro: «Hvaljen bod’ Buog an Marija!» (Sia lodato Dio e Maria, ndr).
Poi ci fu detto che il comandante dei cosacchi era scappato con un drappello di suoi fidi, su per Altana, probabilmente verso Castelmonte, forse sperando di andarsi a rifugiare a Dolegna del Collio dove resisteva ancora un presidio di cosacchi.
Gli altri, insieme con il vicecomandante, si erano consegnati ai nostri partigiani».
Mons. Cracina
DOM 31-03-2005