S. GIOVANNI D'ANTRO
Antro, luogo di pace, sotto l'arcobaleno
La grotta, luogo ideale del Natale.
Dobar Bosič sussurro, e trasalisco
ritrovando la tua nella mia voce.
An tebè, pure a te il Natale porti
serenità e letizia, questa pace
che i lumi del presepio intorno effondono
sia con te oggi e sempre.
Dino Menichini, Le voci delle urane / Paese di frontiera (1968 - 1970) /2 Edizioni Gran Fabula 1998
Dovendo parlare di S. Giovanni d'Antro, ho scelto questa apertura non certo solo per motivi di contingenza comunque presenti, ma soprattutto perché tra i diversi "luoghi dello spirito" incontrati in questo itinerario, Antro declina il sacro, la religione, il credere sull'orizzonte della profezia. La grotta d'Antro non ha i caratteri delle abbazie o dei santuari dove istituzioni e potere si intrecciano governando persone e cose, tracciando alleanze, vie della salvezza e forme delle comunità. S. Giovanni è il luogo evocativo di una profezia che ripropone, nel tempo, la possibilità di un suo inveramento.
Il testo di Dino Menichini costruito con riferimento specifico al "paese di frontiera", le sue Valli del Natisone, non parla della grotta. La grotta però, meglio di ogni altro segno, interpreta questa frontiera proprio perché mostra, congiungendo, il passaggio dal mondo del selvatico e della ferinità al mondo della civiltà o della salvezza, della convivenza tra diversi. Il laboratorio è nelle viscere della montagna. Le profezie sono uscite da, sono passaggi di frontiere.
Come nei progetti di architettura di inizio Ottocento di Louis Etienne Boullée - il Tempio della Natura/Ragione - la grotta propone questo venire alla vita cosciente da parte dell'uomo, così nell'immaginario cattolico il canto natalizio di S. Alfonso Maria dei Liguori, "Tu scendi dalle stelle" meglio di ogni altro interpreta questo momento di magico silenzio del venire al mondo, incarnandosi, della salvezza del mondo: "e vieni in una grotta/al freddo e al gelo". Da queste cavità uterine l'inizio della ragione e della vita o, anche, la ragione del vivere. Far germinare la vita, custodire poi ciò che resta della vita. In questo la grotta è un segno poderoso per intrecciare Alfa e Omega del tempo dell'uomo. Franz Rosenzweig poneva in apertura del suo libro "La stella della redenzione" quel "Vom Tode" ("Dalla morte") il punto dal quale ricostruire, e pertanto conservare, i significati di una vita. Cavità che accoglie quando "nudo vi farò ritorno", dice il Libro di Giobbe. L'archetipo della Madre Terra chiude questo luogo singolare. Occasioni per riflettere su segni e profezie non dimenticando che il saggio, dopo il mito della caverna platonica, conferisce al visibile solo una porzione della Verità. Essa, talvolta è perseguibile "attraverso l'ombra" (Franco Rella) come nei quadri metafisici di De Chirico.
La profezia poetica di Dino: coniugare, nell'ospitalità delle lingue, il mondo latino con quello slavo, la profezia cristiana: l'incarnazione del Redentore, la resurrezione della Carne e la vita eterna, sono intrecciate in questo luogo topico delle Valli del Natisone. Celebrare la/le Natività a S. Giovanni d'Antro non è solo un rito ma anche una speranza per le nuove generazioni che, ora, sempre più stanno uscendo dalla marginalità economica e sociale.
La grotta si raggiunge percorrendo un sentiero nel bosco. Poi una ripida e rettilinea scalinata porta ad una loggetta belvedere. Questo, architettonicamente, è l'atrio della chiesa - sacello di origine longobarda come testimoniato nell'epigrafe del diacono Felice titolare dei benefici concessi dal diploma di re Berengario nell'899. L'interno, articolato su due livelli, e composto da due sale i cui piani di calpestio sono realizzati sopra un criptoportico atto con i suoi piloni, collegati da volte, ad adattarsi alle condizioni naturali del piano della grotta (Jama). Non è raro scorgere tra le pietre dei piloni del criptoportico il guizzo dello scoiattolo, segno perdurante di questa coabitazione natura-cultura.
Nella sala principale si accede salendo una scala. Un altare ligneo di impianto barocco, con statue del XVI-XVII secolo, delimita lo spazio del vano e media la prosecuzione della grotta che si sviluppa in un lungo e serpeggiante cunicolo con tracce di vite passate da quelle dell'ursus spaeleus a quelle dei Longobardi che abitarono il sito come luogo sicuro non meno che per la "bellissima regina Vida" la quale qui rinserrata non solo scampò ai massacri di Attila ma, come ricorda la leggenda, per dimostrare la non indigenza degli assediati, con lo stratagemma del capretto e del sacco di grano lanciati sugli assedianti si liberò della loro presenza.
"Dobar Bosič", Buon Natale
Sergio Zanella
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