Il sudario della Veronica
Da “Capitolo XII - Le Missioni cattoliche del prof. Faustino Nazzi
Nel vano maggiore della grotta è ancor oggi superstite l'affresco della
Veronica con il volto del Cristo barbato, dai capelli fluenti.
Il dipinto è stato ritoccato, rifatto su intonaco del secolo XVI, come simbolo-tappa del pellegrinaggio verso Roma dei romipeti.
Ma tale immagine è troppo singolare per non risalire all'epoca altomedievale, quando la sua collocazione in un fortilizio ne richiamava il valore apotropaico e di protezione divina.
La nostra immagine corrisponde al modello originario dell'acheropita di Edessa, che, secondo la leggenda, Cristo stesso avrebbe inviato al re Abgar: effigie di Cristo paziente con barba e lunghi capelli.
Tali icone sono ritenute acheropite come garanzia di fedeltà all'originale e possiedono una potenza misteriosa; vengono venerate con incenso, portate sul carro imperiale e prese a protezione dai nemici sul campo.
«Sin dalla fine del VI secolo si crede che esistano immagini di Cristo che non sono opera di mano umana» (FOSSIER 1984, p. 74). Il culto di tali Veroniche (vera icona) era particolarmente praticato nei castelli e fortezze in funzione protettiva e difensiva; era un espediente frequentemente adottato dai missionari.
Agostino di Canterbury (+604) arriva preceduto da queste grandi icone e lo stesso facevano Bonifacio, Pirmino e Le Missioni cattoliche - 301 Willibrordo (RICHÈ 1967, p. 526).
Una copia simile esisteva a Roma nel Sancta Sanctorum; fu portata in processione da papa Stefano nel 752 per difendere la città di Roma ed il suo popolo dall'aggressione del re Astolfo.
Con tale processione il papa intendeva denunciare a Cristo il re longobardo, colpevole di fellonia per essere venuto meno al patto di pace sottoscritto di propria mano (BOGNETTI 1966, II, p. 150).
dott. Faustino Nazzi