Don Adolfo Dorbolò
Don Adolfo col coro S. Leonardo dal papa
Grave perdita per la forania di San Pietro al Natisone
Venerdì mattina, 29 ottobre, mi ha telefonato don Mario da San Pietro dicendomi che avevano ricoverato in ospedale, il giorno prima, don Adolfo, parroco di San Leonardo.
Un improvviso malore l’aveva colto e da esso non si è più ripreso, fino alla conclusione di martedì mattina, 23 novembre, quando ha cessato di vivere.
In pratica un’agonia di quattro settimane, durante le quali abbiamo pregato e sperato, anche se la prognosi era apparsa subito infausta.
Ora, concluso il cammino terreno, a 66 anni, compiuti il primo settembre scorso, lo affidiamo alla bontà misericordiosa del nostro Dio, perché gli rifulga come sole che splende dall’alto.
A Lasiz di Pulfero comincia la sua esistenza, il 10 settembre 1933, in una numerosa famiglia, quella dei Kopitarji.
A Lasiz c’è un cappellano - dopo la guerra diventerà parroco - dalle straordinarie qualità pastorali, don Antonio Cuffolo.
E’ lui che lo avvia al seminario e lo segue nei lunghi anni di studio e di fatica.
Il giovane è entusiasta, generoso, vivace.
Nella stessa classe ci sono altri giovani provenienti dalle cappellanie della forania.
Anzi, c’è una schiera di studenti.
Nel 1956 su una fotografia dell’epoca, ne contiamo addirittura 27!
Non tutti diventano preti, ma tutti ottimi cristiani.
Comunque nel 1959, quando don Adolfo canta la prima messa, ce ne sono altri due.
E altri ne verranno dopo di lui, fino al massimo di quattro nel 1965.
Il giorno della prima messa, il 29 giugno, c’è grande festa a Lasiz, nella sua famiglia.
Con i fratelli e la mamma - il papà era mancato anni prima - gioisce come un fanciullo il vecchio parroco, già malato, don Antonio.
Al Te Deum del pomeriggio vuole suonare lui il campanello, secondo l’usanza nostra. Suona e piange di commozione.
Per la prima domenica di ottobre, don Adolfo fa il suo ingresso come cappellano a San Leonardo, dove rimarrà fino alla morte, cioè per quarant’anni interi.
Il 13 ottobre di quell’anno, pochi giorno dopo, don Antonio Cuffolo muore, come il vecchio Simeone, che ha visto compiersi il suo sogno.
Dalle sue paterne e amabili cure, passa a quelle un po’ severe, ma non meno generose di don Angelo Cracina, con il quale avvia un impegnativo tirocinio di sette anni, fino al 1966, quando il parroco va a Buia, e lui ne prende il posto a San Leonardo.
Sette anni come cappellano e trentatré come parroco, quasi a ripetere gli stessi anni del regno di Davide: sette a Ebron e trentatré a Gerusalemme!
Quarant’anni di lavoro pastorale a San Leonardo, caratterizzati dall’entusiasmo dei primi anni, quando tutta una serie di iniziative ne fanno il centro di attrattiva di tutti i giovani.
Non trascura nessun settore, neanche quello sportivo.
Anzi, è tra i fondatori della squadra di calcio che porterà il nome di «G.S.L. Audace» tanto per indicare lo spirito con cui agiva.
Ma un settore su tutti ha costituito la sua più duratura specializzazione, dove univa arte, poesia e impegno pastorale: il canto liturgico e popolare, dalle composizioni classiche più solenni alle musiche più attraenti della nostra tradizione slovena.
Perfino con meraviglia dei suoi compagni di scuola, si rivelò un maestro di coro ed un educatore di voci di rara efficacia.
Egli poi aveva una stupenda voce di baritono, calda, pastosa e di grande potenza.
La scuola di musica fu la sua palestra più continua e duratura e più ricca di frutti.
Si può dire, tralasciando tanti altri aspetti, che fu la sua intuizione pastorale più riuscita, con la quale gli fu dato di raggiungere due obiettivi importanti:
educare all’arte, alla preghiera e quindi alla fede e
contemporaneamente fare un’opera di promozione culturale anche in senso civile, con la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale.
Lo fece conoscere ovunque, anche in Vaticano dove il coro di San Leonardo fu ricevuto da Giovanni Paolo Il.
Il 1995 fu un anno difficile per lui, perché una silenziosa nube di malinconia ne spense l'entusiasmo e la giovialità.
Ma si riprese e poté portare a compimento un’opera che gli stava tanto a cuore, ereditata da mons. Cracina:
il completamento della monumentale chiesa del Sacro Cuore.
L’anno scorso c’è stata la grande festa per l’inaugurazione.
Un traguardo importante, certo, a cui teneva tanto.
I funerali sono stati fatti proprio in questa chiesa giovedì 25 novembre con la partecipazione di una cinquantina di sacerdoti concelebranti.
Ma io penso che l’opera più grande egli l’abbia fatta rimanendo quarant’anni fra noi, testimone del Dio vivente, a cui l’affidiamo con la preghiera:
Daj mu Gospod večni mir in pokoj, v miru naj počiva!
Marino Qualizza