Erbezzo

Canti sacri nel comune di Pulfero
L’eccezionale posizione panoramica della chiesa di Sant’Andrea di Erbezzo, eretta sulla cresta del monte che chiude la valle del Natisone verso nord, ne fa quasi un simbolo della religiosità della gente del Natisone.
Un buon contributo a questa definizione è offerto dalla presenza, sull’ adiacente campanile, del sacro bronzo dal tono più grave e dalla dimensione e peso maggiori di tutte le campane delle valli del Natisone.
Il solerte sagrestano Mario Qualla che gentilmente ci accompagna sulla torre campanaria, afferma che la campana maggiore con nota Do, pesa da sola venti quintali mentre tutte e tre assommano complessivamente a cinquanta quintali.
I bronzi furono fusi nel 1920 in parte con il contributo dello Stato per danni di guerra, in parte con offerte e, per quanto riguarda il bronzo, tramite il recupero dei frantumi furtivamente sotterrati dalla gente in seguito all’abbattimento delle campane da parte dei soldati Austro Ungarici.

Il suono che le tre campane di Erbezzo propagano, è udibile lungo tutta la valle e in condizioni di vento favorevoli anche oltre, fino a Cividale.
Alla parrocchia ne deriva da ciò una fama che gli stessi promotori forse non si aspettavano tanto che dal volume del suono percepito, gli anziani della valle del Natisone traggono previsioni sul tempo ed auspici sul raccolto.

Il territorio e la microstoria della parrocchia

Dopo questa premessa di carattere sonoro, quindi relativamente in tema con la ricerca in atto, osserveremo in breve la composizione di questa parrocchia e le sue vicissitudini storiche, prima di passare al canto religioso di cui ci occupiamo.

La chiesa sorge in luogo isolato ma ricade nella sottostante frazione di Goregnavas.
Le altre frazioni sono Zapatocco, Calla ed Erbezzo, ovviamente.
L’edificio primitivo è databile verso la fine del 1500, dello stesso periodo quindi in cui furono erette le numerose chiese cosiddette votive esistenti nei dintorni.
Nel 1721 la chiesa fu restaurata ed ampliata per essere in grado di contenere l’aumentata popolazione.

Grazie ai capifamiglia che si impegnarono a provvedere vitto ed alloggio per il cappellano, nel 1851 fu sacramentata, ottenendo contemporaneamente il benestare dal comune di Tarcetta e dal parroco di San Pietro.
Il doppio riconoscimento consentì l’amministrazione di alcuni sacramenti ma soprattutto di provvedere alla sepoltura dei defunti nel locale cimitero anziché doverli trasportare come in passato ad Antro o Pegliano, lungo sentieri impervi e disagevoli.

Don Luigi Clignon di Cicigolis

Don Luigi il primo a sinistra
Don Luigi il primo a sinistra
Alla cura delle anime si avvicendarono vari sacerdoti locali, tutti per periodi molto brevi finchè nel 1890 giunse da Cicigolis, paese ricadente nel medesimo comune, don Luigi Clignon che vi rimase per oltre quarant’anni, fino al 1934, quando per vari motivi si ritirò a casa sua.

Pre Luigi, uomo dal carattere forte e deciso mantenne anche durante la prima guerra mondiale la predicazione, le funzioni ed i canti tradizionali nella lingua materna slovena e per questo motivo superficialmente considerato dalle autorità militari italiane un prete inaffidabile, dovette subire il confino.
Purtroppo anche allora come nel recente passato, si tende a confondere la nazionalità con la cittadinanza, poiché lo stesso don Luigi seppe dimostrare non solo la sua fedeltà alla patria italiana ma di considerarsene benemerito avendo pubblicamente condannato la diserzione di alcuni suoi parrocchiani mvitandoli a rispettare i loro obblighi verso lo stato italiano. (Dom Cividale n. 12 1998 pag.3).



La Via crucis come si prega ad Erbezzo

Nel 1923, a guerra terminata e con animo più sereno, pre Luigi pubblicò a Cividale una Via crucis “Takuo ki se mole u Arbeču / Come si prega ad Erbezzo” coerentemente scritta nel dialetto sloveno del luogo, utilizzando parzialmente la grafia italiana.
Al termine di ogni stazione della Via crucis, c’è un versetto dello Stabat Mater tradotto in dialetto secondo un’ aderenza testuale e poetica da porre don Luigi tra gli autori dialettali fra i pochi eccelsi: (Pietro Podrecca, Ivan Trinko).
Lo stesso Merkù (Jezik in slovstvo/lingua e letteratura 1971/72 n.l/2). Scrive:
“Il libretto di Clignon è l’unico che io sappia che in Benecija usa al livello più elevato il vivo dialetto. L’influsso dello sloveno letterario è ristretto ad alcuni vocaboli ecclesiali. In ciò il suo maggiore pregio”
Trascriviamo, sempre come esempio, alcuni versetti dello Stabat Mater tradotto in dialetto di Erbezzo, cantati secondo la melodia tradizionale.

Lo Stabat Mater

Lo Stabat Mater come noto è una sequenza, vale a dire una composizione liturgica che fa parte della messa dal IX secolo, scritta da Jacopone da Todi (12301306).
Le altre sequenze sono:
Victime pascali laudes (periodo pasquale);
Veni Sanctae Spiritus (Pentecoste);
Lauda Sion Salvatore di San Tomaso (Corpus Domini);
Stabat Mater (Addolorata);
Dies irae (Commemorazione dei defunti).

Ecco alcune strofe di Pre Luigi che si discostano notevolmente dalla traduzione in lingua slovena presente nel libretto di devozioni “Nebeški ključ”Molitve v videnski nadškofiji - Le chiavi del paradiso - Preghiere nell’arcidiocesi di Udine. Lubjana 1913, pag.52.
Si tralascia l’edizione latina presente in tutti i vecchi libri di devozione.

Žalostna je mati stala
in pod križan je jokala
Nje Snu jubeznivega

Sveta Mati jest te prosim
Rane Kristusa naj nosim
U muojin sarcu utisnjene

Sarce je u martri utopieno
In glaboko prebodeno
Z nožami te žalosti

O kulku je sveta mati
Morla žalosti prestati
za nje Snu Edinega

O kuo joče in žaluje
kadar mati ogleduje
Te martre nazgruntane

Kater človek bi se najoku
videt u žalosti hlaboku
Marija zapuščeno

Da bi mogu veseu stati
in Marijo premišlati
žalostno z gne Jezusan

(mancano alcune strofe)

Kadar smart me bo zadela
daj de tekrat bo pariela
Moja duša sveti raj.

I successori di don Luigi Clignon

Don Luigi viene ben presto rimpiazzato da un prete sloveno, don Egidio Slobbe che per essere tranquillo con la propria coscienza sulla lingua da usare, fece un’indagine famiglia per famiglia.
Sono informazioni che ci pervengono dal bollettino parrocchiale di Mereto di Tomba, dell’ aprile 1982, redatto dal locale parroco don Pietro del Medico di Micottis che dal 1938 al 1942, svolse la sua prima esperienza pastorale proprio ad Erbezzo, in sostituzione di don Egidio trasferito altrove.

Scrive don Pietro sul semestrale Il feral/Il lampione:

“Fui destinato ad Erbezzo perché di trenta sacerdoti novelli di quell ‘anno, ero l’unico diplomato maestro e sapevo parlare un dialetto sloveno.
Mi bastarono pochi mesi per capire la situazione linguistica del luogo.
Venni a questa conclusione dopo aver visitato tutte le 96 famiglie, casa per casa, allo scopo di completare l’anagrafe della curazia iniziata dal mio predecessore don Slobbe.
Io parlavo con tutti soltanto in italiano ma alcuni anziani, uomini e donne parlavano ostinatamente nel loro dialetto dicendo: Saj zastopi slovensko- Comprende ben lo sloveno. Fui obbligato ad accelerare l ‘apprendimento del dialetto di Erbezzo.
Lo sloveno mi è caro come la foto di mia madre.
Impiegavo oltre sette ore di montagna per raggiungere il mio paese natio perciò chiesi ed ottenni il trasferimento prima a Villanova di Lusevera e quindi ad Ara di Tricesimo, da dove mi spostai in paesi tutti di lingua friulana”.

Don Pietro narratore

“A guerra terminata, fui invitato da don Cuffolo a scrivere qualche componimento in dialetto sloveno della Val Torre.
Interessai dell ‘iniziativa anche Negro Pietro (Daziar) noto per le sue belle poesie dialettali.
Egli preparò subito una gustosa poesia riguardante le nozze (zenitke) secondo il costume locale.
Io in vece descrissi il Koledo (mancia di capodanno) ed il pust (carnevale), in prosa.
Dopo alcuni mesi ci arrivò da Lubiana la rivista slovena contenente i nostri contributi ma trascritta in modo letterario, era per noi illeggibile ed incomprensibile, come alla gente del paese da dove era partito.
Invitati a scrivere ancora, né io né Negro aderimmo alla richiesta.

Tutti i dialetti locali, preziosi sotto l’aspetto affettivo, fuori zona non hanno valore pratico,” conclude sentenziosamente don Pietro del Medico”.

Abbiamo voluto trascrivere l’opinione e l’esperienza del curato di Erbezzo perché ci sembra rappresentativa e può aiutarci a capire alcuni atteggiamenti incomprensibili verso la propria lingua materna da parte di preti e buoni cattolici.

Rispettate le tradizioni

Con don Egidio e don Pietro ad Erbezzo sono mantenuti tutti i canti tradizionali in uso nelle altre cappellanie, i salmi del vespero in gregoriano ed il “Buog bodi hvalien/ Dio sia benedetto” al termine della benedizione.
Il canto del vespero si protrasse fino agli anni 60 quando gli uomini preferirono dedicare la domenica pomeriggio alla partita di tresette e le donne dovevano occuparsi da sole del governo del bestiame.

Don Pietro ha lasciato ad Erbezzo un buon ricordo come pure a lui è rimasto nel cuore questo paese dove iniziò il servizio sacerdotale. Me lo disse poco tempo prima della morte nella basilica delle Grazie a Udine dove aveva celebrato il voto annuale dei suoi ultimi parrocchiani di Mereto di Tomba, “dove solco si dice jeha (lieha) di certa derivazione slava” concluse sorridendo.

Don Valter Zaban - Un canto a Maria

Le cose cambiarono completamente con l’arrivo, lungo i sentieri dal natio paese Canal di Grivò, del sacerdote novello don Valter Zaban che nonostante i pericoli di ogni sorta provenienti da partigiani italiani rossi e verdi, jugoslavi, tedeschi e repubblicani, innalzò e tenne alta la bandiera di italianità, trasferendola dal civile al religioso con il completo abbandono di ogni forma di devozione slovena.
L’unico canto “tollerato” da don Valter ad Erbezzo e successivamente ad Antro era il popolarissimo “Liepa si liepa” che sgorgava incontenibile da una radicata devozione a Maria.

A questo proposito inserisco qui una recentissima testimonianza da me vissuta il giorno dell’Assunta di quest’anno, il 15 agosto, proprio nella chiesa di Erbezzo.
Ero stato informato che per la grande solennità la messa sarebbe stata celebrata nella chiesa di San Andrea anziché nella cappella di Goregnavas situata entro il paese.
Per questa solennità ho potuto assistere anche alla tradizionale benedizione del mazzetto di fiori di campo tra cui prevale l’assenzio/ pelen, che poi viene appeso ai poggioli/ linde, come segno propiziatorio contro il maltempo.

Ad un certo punto, dopo aver udito il “Liepa si liepa ‘ al termine del rito si è levato un canto a Maria da me mai udito, armonioso, bellissimo e commovente che sgorgava dal nutrito gruppo di belle voci femminili, direttamente dal cuore.
In seguito ho saputo che quel canto mariano si è conservato e tramandato da tempo immemorabile fino ad oggi grazie ad alcune ragazze di Calla e Goregnavas che lo intonavano noncuranti dei consigli di alcuni a “lasciar perdere”.
Fra queste benemerite del canto tradizionale vanno ricordate Ernesta e Maria Battistig/ Vančurja, Angela e Maria Sakičove, Iva Kajancova ed altre.
Trascriviamo qui il testo del canto mentre per la musica si rimanda alla seconda parte del libro. Tebi Marija, blaiena mati,
sviet prebivati Sarčno želin.

Tvojga imena/ kar počastiti
tebe ljubiti vas hrepenin.

Manja devica nie lieuše stvari,
Marija devica, Marija ste vi.

Marija, Marija, Marija
pridi nan pomoč.

Svetiš ku zarija, ti o Devica,
muoia krajica tuoje ime.

Milosti polno, zlato in sveto
Bogu je uneto tuoje ime.

Marija, Marija, Marija,
pridi nan pomoc.

Il canto riscoperto è già entrato nel repertorio del coro Pod Lipo di Vernasso.

Arriva don Zupancic

Riprendendo la narrazione di fatti che influirono sull’uso del canto tradizionale nella parrocchia di Erbezzo, va detto che don Valter dimostrò parzialità e forme persecutorie verso alcune persone per il solo fatto di non voler sottostare a certe imposizioni non dettate da esigenze religiose.
Una famiglia di gente colta, minacciata dal parroco di essere mandata al confino, dovette abbandonare il paese.
Un componente della famiglia, diplomatosi maestro presso le scuole slovene di Trieste aveva fatto una interessantissima ricerca sul “Pane dei morti/hliebčiči” , che fu pubblicata dalla rivista della Società Filologica Friulana “Ce fastu?” nel 1959. v
Uno dei canti riportati nella rivista viene ancora oggi cantato a Rodda ”Nobedan na vierje” . Trascorsi cinque anni, avviene l’ avvicendamento fra don Valter, che da Erbezzo si trasferisce ad Antro e don Janez Zupancic, profugo dalla Slovenia, da tre mesi economo spirituale ad Antro, in sostituzione di don Cramaro trasferitosi a Premariacco.
Don Janez, nel suo breve periodo di permanenza a san Silvestro, mantenne strettamente vivo il lascito del predecessore, ampliando l’uso dello sloveno e concedendo addirittura ospitalità per la celebrazione, il 16/11/1947, della Prima messa ad Antro, da parte del sacerdote novello don Antonio Zrnec dei padri Lazaristi, anch’egli profugo dalla Slovenia.
Per la grande occasione fu eseguita dalle cantorie riunite di Vernasso e di Lasiz, la messa del Tavoni accompagnata all’organo da don Alojiz Lečen, parroco di Logje, nei pressi di Bergogna. Viene da supporre che tanta “slovenjarja” in una parrocchia importante ed in vista come Antro, abbia messo sul “chi va là” sia i servizi segreti sia la curia che agiva ancora su vecchi schemi, tanto da disporre l’ avvicendamento di cui sopra.

I dattiloscritti di don Zupancic

Don Zupancic rimase ad Erbezzo parecchi anni, adattandosi alle circostanze se non altro per dovere di ospitalità finchè fu relegato a Oblizza.
Fra le carte da lui lasciate ad Erbezzo c’è un foglietto dattiloscritto in lingua italiana e slovena letteraria in cui sono compresi i seguenti canti:

Alla regina della pace”,
il noto “Glasno zapojmo/Cantiamo a voce spiegata” ,
“Globoko usi se priklonimo/ Profondamente tutti ci inchiniamo’;
“Questo terror divino’;
“Castimo te kruh živi/ Ti veneriamo pane vivo’;
“Blagoslovi Jezus pričujoče/ Benedici Gesù i presenti”; ed infine l’altrettanto noto
“Ponižno tukaj pokleknimo/ Umilmente qui inginocchiamoci”.


Don Alberto Cimbaro

Nel 1955 giunse dall’Argentina don Alberto Cimbaro di Ciseriis che aveva già una esperienza maturata quale cappellano nelle Valli prima della sua temporanea emigrazione.

A qualche rara persona che, dati i tempi, si azzardava a chiedere il mantenimento dei canti in dialetto, don Alberto, mite e paziente sacerdote, dava una strana interpretazione della sua poca disponibilità a tali richieste.
“Vedi - diceva - per noi sacerdoti la lingua è indifferente, essa è solo un mezzo per diffondere la fede. Noi disponiamo su un paniere le lingue possibili: sta ai fedeli scegliere quella che più gradiscono.
Sta di fatto che l’umile don Alberto, nella sua lunga permanenza nel comune di Pulfero, si dimostrò saldissimo nel non prendere mai alcuna iniziativa a favore del dialetto, nonostante le indicazioni del Vaticano e le raccomandazioni della diocesi.

Don Elio Ordiner

Trasferito don Alberto Cimbaro ad Antro, il parroco di Montefosca don Elio Ordiner assunse anche la responsabilità di Erbezzo e con grande volontà, finche la salute glielo permise, riuscì ad assolvere dignitosamente i suoi obblighi.
Nativo di Majaso in Carnia, don Elio fu uomo tra uomini, condividendone passioni e passatempi, lasciando sviluppare qualsiasi iniziativa provenisse dai suoi parrocchiani, in particolare accompagnandoli all’armonium che ancora funzionante si trova oggi nella cappella di Goregnavas, compresi gli spartiti di tanti canti religiosi in lingua friulana ereditati da un suo zio prete.

I funerali di don Elio si svolsero a Udine il 20 settembre 1993 nella chiesa dei Cappuccini con grande partecipazione dei suoi ultimi parrocchiani che come estremo saluto gli cantarono “Liepa sì Liepa” che egli tanto apprezzava.

Dalla partenza di don Elio nel 1990, ad Erbezzo si avvicendarono temporaneamente vari sacerdoti non residenti. Fra questi ricorderemo don Lavia che quando è presente in Italia (è missionario in Brasile) viene a celebrare la messa domenicale.
(A libro impaginato veniamo a sapere che don Lavia è deceduto in un incidente stradale).

I componenti della cantoria


Come per le altre parrocchie aggiungiamo qualche altro nome di cantori a quelli femminili già citati. Essi sono:
Livio Battistig,
Luigi Gorenszach,
Luigi Specogna,
la onnipresente corista interparrocchiale Teresa Battistig, poi
Angela Paludgnac, Irene, Luciana...

Per terminare, siamo in grado di trascrivere i nomi di tutta la cantoria di Erbezzo attiva negli anni ‘50 grazie ad una bella fotografia, fornitaci dalla giovane corista Teresa.
Accosciati da sinistra a destra: Angelo Battistig Vančurju, Luigi Gujon Jakopiču, Emilio Gujon Tonu, Emilio, Luciano e Maria Cedarmas Paulonovi, Ines Medves Keraco va.
In piedi da dx a sin.:
Cesira e Gelsomina Medves Keracove,
Rina Gujon Patokinova,
Vilma Cedarmas Saldadinova,
Luciana ed Irene Specogna Bedenetove,
Pia e Graziella Comugnero Ujnčičove,
Jolanda Cedarmas Paulonova,
Ernesta Battistig Uančurjova.

La foto è stata scattata sul prato retrostante il campanile di Erbezzo.
Luciano Chiabudini
Nino Specogna
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