IL CANTO RELIGIOSO NELLE VALLI DEL NATISONE
Il canto popolare religioso delle Valli: le sue origini, l'evoluzione, la sua diffusione, le caratteristiche e specificità. Alcune melodie sopravissute e ancora usate.
Il canto liturgico, almeno nelle intenzioni del suo gran riformatore, papa Gregorio Magno (590-604), avrebbe dovuto essere per sempre intoccabile sia nel testo sia nella melodia.
Il testo ha resistito fin quasi ai nostri giorni, precisamente fino al 1956 quando è iniziata l'introduzione delle lingue volgari nella liturgia in sostituzione del latino; la melodia, invece, sotto il grande stimolo della creatività insito nell'animo umano, ha trovato appena dopo qualche secolo la strada per evolversi, imboccando la gran via della polifonia.
E con "furbizia"!
Infatti, ciò è potuto accadere in barba a tutte le regole liturgiche in quanto la polifonia manteneva integra la melodia gregoriana (cantus firmus), aggiungendo però ad essa una e, in seguito, diverse altre melodie melodicamente indipendenti. In seguito, nel '4-500, s'iniziò a sostituire al cantus firmus un canto popolare come spunto ed appoggio perfino alle costruzioni polifoniche della messa, ma solo fino al Concilio di Trento (1545), che riformò, fra mille altre cose, il canto liturgico cattolico. Mentre la riforma luterana continuò ad utilizzare largamente le melodie popolari soprattutto nella forma del "Corale".
Sembrerebbe una premessa inutile dovendo parlare delle melodie religiose delle nostre parrocchie, invece è doverosa e indispensabile per fissare alcuni punti che ci aiuteranno a comprendere l'essenza del nostro canto popolare religioso.
Innanzi tutto è utile osservare che il canto dotto e il canto popolare hanno camminato sempre di pari passo anche se su binari diversi: s'influenzarono vicendevolmente.
Procedendo, infatti, nella storia della musica potremmo osservare che il canto popolare nei due secoli seguenti, da Frescobaldi a Haydn, serviva spesso come spunto ed appoggio per le forme strumentali; il Romanticismo, poi, esaltò, anche teoreticamente, il canto del popolo come documento diretto dell'arte e, come conseguenza, sviluppò nei vari paesi l'etnofonia che, indagando il patrimonio etnofonico d'ogni popolo, produsse e favorì l'ordinamento scientifico dei canti popolari in raccolte.
Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo di queste raccolte.
Basta citare la più organica:
"Le tradizioni popolari degli sloveni in Italia" di Pavle Merkù,
che contiene tantissimi canti religiosi. Ma sono interessanti anche altre pur certamente minori, come la pubblicazione
"Slovenske narodne pesmi iz Benečije" di Rihard Orel
con canti solo profani.
Per l'argomento che trattiamo sono ancora più importanti le
"Pesmarice" (raccolta di canti religiosi),
anche se il loro intendimento non fu scientifico ma pastorale.
Di queste parleremo in seguito.
Una seconda osservazione importante: dinanzi al bisogno dell'assoluta libertà dell'espressività umana, soprattutto sul piano emozionale, tutte le regole prima o poi crollano. Il Concilio di Trento riformò il canto liturgico ma non riuscì ad impedire, ad esempio, che la forma del Corale, una forma tipica della liturgia luterana, entrasse a piene mani nel canto religioso là dove lo spirito del popolo era consono a questo genere di canto. Ed è il caso nostro. Infatti, la stragrande maggioranza dei nostri canti religiosi sono in pratica dei Corali in quanto la nostra gente, come tutte le genti nordiche, ama il canto corale isoritmico e attraverso esso si esprime più naturalmente.
Una terza osservazione:
la cultura musicale occidentale, e in particolare il canto gregoriano, in questo contesto non ha potuto non influenzare tutte le culture musicali delle genti d'osservanza cattolica.
Ecco perché nel repertorio dei nostri canti ne troviamo qualcuno di stretta ispirazione gregoriana.
Basti citare:
"Jezus je od smarti ustu",
ma anche
"Te dan je usega veseja".
E se andassimo a spulciare melodia per melodia troveremmo nelle nostre melodie tanti spunti di canto gregoriano anche perché questo canto ha talmente sviluppata la parte melodica (non quella ritmica) che difficilmente si potrebbero creare spunti melodici completamente nuovi, almeno entro il sistema modale.
Nelle celebrazioni liturgiche il canto religioso, pur entrando di prepotenza, aveva un'importanza relativa in quanto ben più importante era il canto strettamente liturgico e che consisteva soprattutto nelle cinque parti invariabile della celebrazione eucaristica (le parti variabili erano cantate nei monasteri e nelle cattedrali):
il Kirje, il Gloria, il Credo, il Sanctus e l'Agnus Dei.
Il testo di queste parti non solo non poteva essere minimamente cambiato ma doveva essere, almeno fino al 1956, in lingua latina.
Queste parti nelle messe "basse" o "lette", come si soleva dire, erano recitate, mentre nelle messe "solenni" o "cantate" erano cantate. Nelle nostre chiese molto spesso queste parti invariabili della messa erano cantate in gregoriano. Nota in tutte le parrocchie era (e gli anziani la ricorderanno ancora) la messa "De Angelis", una delle più melodiose messe gregoriane.
Lo spartito molto logoro della messa "De Angelis" di Lasiz dimostra quanto questa messa è stata usata.
Tuttavia il canto gregoriano vero e proprio abbisogna di una precisa tecnica vocale e di uno stile tutto particolare, di modo che si può benissimo affermare che, in pratica, anche la messa "De Angelis" divenne, almeno nell'esecuzione, una messa popolare.
Anche la "messa da requiem", il "Miserere", il "Libera me, Domine", usati ai funerali o nelle "messe da morto", utilizzavano melodie gregoriane o gregorianeggianti.
E sicuramente diverse messe, purtroppo dimenticate senza esser state mai trascritte come ad esempio la "messa da requiem" che si cantava a Mersino fino a non molti anni fa e che forse qualcuno ricorda ancora, avevano un'origine gregoriana.
Anche il "Pange lingua" o le ultime due strofe di esso, il "Tantum ergo sacramentum", usati nella celebrazione della "Benedizione pomeridiana", il "Žegan", erano cantati in gregoriano, come del resto tutto il "Vespero", il "Veni Creator Spiritus" (cantato all'inizio della messa di Capodanno), il "Te Dem laudamus", che era sempre cantato alla fine della messa di mezzanotte di Natale.
Così, in pratica, anche il canto gregoriano diventava canto liturgico popolare e non poteva non avere la sua parte d'influenza anche nella produzione di melodie religiose popolari.
Lo stesso discorso si può fare per le musiche liturgiche (le famose "Messe") o religiose (i vari canti devozionali) d'autore.
In pratica anche tutte queste melodie, specie i canti devozionali, l'anima del popolo le fece sue.
Per questo potremmo tranquillamente definirle canto religioso popolare, almeno laddove furono assimilate, continuamente usate e cantate in un certo modo.
Un'ultima osservazione, non certo ultima come importanza:
accanto al canto popolare religioso, quello legato alle celebrazioni liturgiche e perciò cantato nelle chiese, v'è pure il canto popolare religioso legato alle tradizioni popolari religiose e perciò indipendente dalle celebrazioni liturgiche delle chiese.
Bisogna operare questa distinzione in quanto le caratteristiche dei due canti sono completamente diverse.
Il canto popolare legato alle tradizioni religiose è assolutamente libero da ogni pastoia ed è quello che più liberamente e meglio esprime l'anima del nostro popolo.
Anche dal punto di vista artistico è il più interessante, in quanto è nato dal popolo, riflette la sua anima e il suo continuo uso lo ha limato fino a portarlo alla perfezione estetica sul piano sia formale sia melodico.
Mi sembra indispensabile portare come esempio le melodie del canto legato alla tradizione della "Devetica".
Nel nostro Comune abbiamo tre melodie, anzi quattro come vedremo, completamente diverse e di tre diversi paesi:
Mersino Basso, Montefosca, Cicigolis.
Sicuramente esistevano canti anche di altri paesi (perché questo canto è legato al paese dove si svolgeva la "Devetica" non alla parrocchia), che però sono andati perduti in quanto la tradizione della "Devetica" in questi paesi è caduta ormai da tanti anni e il canto è stato dimenticato.
A Mersino Basso (Juret) esiste ancora il "quadro" che era portato nella processione da una casa all'altra e c'è ancora a Cicigolis anche se, caduta la tradizione della "Devetica", il "quadro" (la capanna) è utilizzato per una tradizione diversa, cioè per la "Koleda".
Il testo di tutti questi canti è simile, in quanto narra il Natale di Gesù. Mentre le melodie sono molto diverse.
Eccole:
Nelle nostre Valli sono stati raccolti diversi altri canti legati alla "Devetica":
"Na zapuoved je paršla" a S. Leonardo,
"Kaj si praviu, sosed muoj?" a Seuzza,
"Pošlušajta, o judje" a Canebola
(la melodia di Canebola è abbastanza simile a quella di Mersino; da notare che nel canto e nelle tradizioni Canebola è molto legata al Comune di Pulfero),
la bellissima melodia "Marija gresta z Jožefan" di San Volfango, qui di seguito riportata per la sua struggente semplicità e bellezza:
Va aggiunto che a Mersino Basso esiste (ed è ancor oggi cantato) addirittura un secondo canto della "Devetica", uguale, naturalmente, nel testo ma diverso nella melodia.
Eccolo:
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Purtroppo quasi tutti i canti legati alle tradizioni popolari sono andati perduti, in quanto le tradizioni popolari sono state le prime ad essere abbandonate e con esse si sono perduti anche i canti.
Quelli della "Devetica" sono sopravvissuti, perché in diversi paesi questa tradizione è ancor oggi praticata.
A questo punto sorge spontanea una domanda:
i canti delle nostre parrocchie sono nati qua?
E se no, da dove provengono?
Chi li ha introdotti nelle nostre chiese?
Naturalmente la risposta non potrà essere univoca.
Bisognerebbe considerare canto per canto anche se le risposte nella maggioranza dei casi sarebbero solo congetturali.
Si possono comunque tranquillamente porre alcuni principi generali.
Abbiamo già visto che alcune melodie provengono dal canto gregoriano; alcune indiscutibilmente, altre forse solo con più o meno forzature.
Altre melodie sono d'autore, quindi non ci sono dubbi riguardo all'origine; ci si può interrogare invece sul come e sul perché sono arrivate qua da noi.
Infine ci sono melodie che sicuramente sono nate qua da noi, proprio nei nostri paesi.
Purtroppo queste melodie, le più interessanti e le più belle, sono in numero molto limitato, perché di troppe non se ne ha più memoria; venivano, infatti, tramandate oralmente e purtroppo non sono state "salvate" in tempo nella trascrizione scritta.
Basti pensare che per la pubblicazione di "Le tradizioni popolari degli sloveni in Italia" (che contiene oltre 500 canti, la maggioranza dei quali rilevati nelle Valli del Natisone) Pavle Merku ha lavorato negli anni 1965-1974.
Ora nel 1965 ormai troppi nostri canti erano già stati dimenticati.
E' vero che nelle chiese delle nostre Valli c'era quasi sempre una cantoria e assieme ad essa "qualcuno" che la guidava in quanto conosceva qualcosa di musica, ma è anche vero che questo "qualcuno" o non era in grado di trascrivere una melodia attraverso l'ascolto (non è cosa facile anche per un musicista) o non si preoccupava di trascriverla in quanto la conosceva benissimo.
Ciò risulta anche dall'esame dei manoscritti di Lasiz, nei quali esistono tentativi di trascrizione molto incerti specie nel ritmo di alcune melodie popolari.
La scrittura ritmica è manchevole e la melodia è in diversi punti errata.
Non ci fosse il titolo, difficilmente si capirebbe di che canto si tratta.
Ci sono, invece, i due canti trascritti alla perfezione da R. Orel:
"Te Dan" e "Jezus je od smrti ustu",
il quale Orel sapeva bene trascrivere i canti ma era a Lasiz solo occasionalmente per l'amicizia con don Antonio Cuffolo.
Ecco una sua trascrizione ben leggibile.
Tra i manoscritti esiste un secondo "Jezus je od smarti ustal". I suoni sono abbastanza simili al precedente. Si capisce che la derivazione è la stessa, quella gregoriana, mentre il ritmo è completamente diverso.
Il trascrittore, don Moncaro, ha tentato di farlo entrare nel tempo 4/4, incontrando notevoli difficoltà; anche la tonalità è errata. Sicuramente non era cantato così com'è scritto.
Ciò a riprova delle difficoltà di trascrizione per un "non addetto ai lavori".
Altri tentativi sono addirittura incomprensibili.
Sarebbe stato facile usare un registratore, ma prima del 1964 era quasi impossibile procurarsene uno, perché costava troppo.
Io stesso, ne avessi avuto uno, avrei potuto registrare un gran numero di canti.
Ricordo tuttora quanti ne ho sentiti dalla voce della signora "Mišoka", allora completamente cieca e costretta al letto, che ogni qual volta la andavo a trovare (e lo facevo spesso, dato che abitava proprio vicino alla canonica) mi cantava tante ninne-nanne, filastrocche e canti religiosi.
Io, con grave negligenza, ho sempre rimandato il lavoro di trascrizione fino a che fu troppo tardi.
Avessi avuto un registratore...!
Dei canti trascritti in questa pubblicazione sicuramente nate sul posto sono le melodie legate alle tradizioni popolari religiose, quelle che si svolgevano al di fuori delle celebrazioni liturgiche e del luogo di culto, come le melodie citate della "Devetica" e il canto "Dobro večer", legato alla tradizione della "Koleda".
Una melodia sicuramente nata a Mersino è "O stua krat srečna duša ti" (n.°30).
La melodia è modale, legata cioè agli antichi modi e perciò molto vecchia.
Anche il testo è originale, almeno rispetto alle edizioni delle diverse Pesmarice (Raccolte di Canti), che, invece, riportano tutte le parole e la melodia del musicista Davorin Budna (n.° 29 del nostro testo).
Accanto al testo solito di "O srečna duša" della Ljudska Pesmarica che apparteneva a Giuseppe Zorza, maestro di Coro di Mersino Basso, è segnato l'inizio di ogni strofa nella versione cantata a Mersino.
La successione delle strofe e tutto il testo sono precisi a quello che ancora oggi si canta a Mersino, come del resto si può verificare dal nastro accluso alla presente pubblicazione.
Altre melodie sicuramente nate nei nostri paesi sono:
i due "Častito",
"Mašnik požegna bieli kruh"
(esistono diverse versioni nelle Valli con varianti anche molto caratteristiche; ce n'è una anche nei manoscritti di Lasiz, scritta da don Moncaro),
"Na kolena dol padimo" (nel libro di preghiere "Naše molitve" di Mons. Ivan Trinco esiste il testo).
Nel manoscritto di Lasiz accanto a "Na kolena" don Moncaro ha scritto "Domača", canto nostrano.
Il che significa che già egli era convinto che si trattava di una melodia nostra.
Ecco il titolo del canto con la sua definizione "domača".
Altri canti ancora:
"Nobedan ne vierje",
"Oj Marija Rožinca",
"Okuole stalce" (probabilmente di S. Leonardo),
"Parva ura bila je", canto di pellegrinaggio. Esistono diversi canti di pellegrinaggio nelle Valli.
Mersino ne ha uno:
"Andiamo, su andiamo dal nostro Gesù, che per noi ha sudato sangue. Non doveva farlo, se non l'avesse voluto: ha fatto bene ed è stato misericordioso. Lungo è il viaggio, buia è la notte, chiamaci, Maria, nella luce celeste".
Era cantato durante la recita dei misteri dolorosi del Rosario.
Si sostituivano le parole: al primo mistero "...karvavi puot potiu", al secondo "... tepen biu", al terzo "... s tarnjen kronan biu", al quarto "... križen biu", al quinto "... gor na križe umru". In vista del Santuario si intonava sempre la strofa: "Duga je rajža...".
Ancora altri canti:
"Sa se sbudi, duša moja",
"Sveta Barbara",
"Sveta Marija, prosi Boga za nas",
"Svet kelih",
"Tam gor je edna gora",
"Taužint krat bodi ceščena".
Questi canti non si trovano sulle "Pesmarice", (nemmeno nel testo "Slavimo Gospoda", edito recentemente, nel 1988, a Klagenfurt e che ha recuperato in pratica tutto il repertorio di canti popolari sloveni).
Si nota facilmente che il testo di questi canti è sempre espressione verbale del luogo nel quale il canto è nato.
Non a caso la maggioranza di questi nostri canti è stata raccolta a Montefosca e a Mersino, che più a lungo d'altri paesi hanno conservato le loro specificità culturali.
Tutti questi canti presentano melodie molto sentite pur nella loro semplicità, una stesura limitata (generalmente entro una quarta o una quinta), un testo elementare con espressioni familiari, a volte addirittura infantili ma suggestive e poetiche e, naturalmente, tipiche del nostro dialetto.
Melodia e testo si fondono meravigliosamente per esprimere con la massima spontaneità e semplicità il senso della preghiera.
Sarebbe interessante commentare il testo oltre che la melodia di questi canti.
Ciascuno che conosca bene il nostro dialetto può rileggerli e gustarne la poesia.
Altri canti sono certamente d'autore: tutti quelli che nella presente pubblicazione hanno segnato accanto l'autore.
Precisamente i n.° 19, 22, 29, 36, 39, 51, 52, 54. Otto su cinquantaquattro: chiaramente una minoranza e non certo a caso.
E' anche vero che tutti i restanti canti della presente raccolta, assieme a tanti altri che si cantavano nel recente passato nelle nostre chiese, si trovano sia come testo sia come musica nelle diverse "Pesmarice", che erano presenti in tutte le nostre chiese.
Queste "Pesmarice" sono:
1. la "Cerkvena Pesmarica "Cecilija" - 1883 - riedizione 1902 - stampata a Klagenfurt;
2. la "Cerkvena Pesmarica" di Danilo Fajgelj - 1900 - Gorizia - Ljubljana (poco usata);
3. la "Ljudska Pesmarica za nabožno petje v cerkvi, v šoli in doma" - 1904 - Raccolta di canti popolari per il canto religioso in chiesa, a scuola e a casa. Stampata a Ljubljana, porta l'imprimatur dei vescovi di Klagenfurt, Ljubljana, Maribor, Trst e Koper, Gorica ed è stampata per conto della "Družba sv. Cirila in Metoda" (molto usata);
Questa, tra le Pesmarice, è sicuramente la più diffusa tra la gente delle Valli
4. la "Slovenska Pesmarica" di Jacob Aljaž - seconda edizione 1911 - stampata a Klagenfurt, contiene in maggioranza canti profani, alla fine anche una ventina di canti religiosi;
5. la "Cerkvena Pesmarica za mladino" di Stanko Premrl - 1916 - Raccolta di canti di chiesa per la gioventù - stampata a Ljubljana;
6. soprattutto, infine, le "Svete Pesmice" - Canti sacri - seconda edizione 1940 e riedizione 1955 - stampate a Gorizia.
Queste "Svete Pesmice" erano sempre presenti in tutte le nostre chiese. Da esse, infatti, provengono quasi tutti i canti che erano usati nelle chiese.
D'altra parte questi stessi canti si ritrovano generalmente anche nelle altre "Pesmarice".
I maestri di coro attingevano da questa pubblicazione la stragrande maggioranza dei canti che insegnavano
E' doveroso elencare anche i libri di devozione molto usati dalla nostra gente (almeno prima della Seconda guerra mondiale) e presenti in tutte le famiglie, che erano utilizzati per pregare ma anche per cantare. Hanno solo il testo senza quindi la musica:
1. il "Večno Življenje" e il "Nebeški ključ", tutti e due di Gregorij Pečjak, rispettivamente del 1912 e del 1913, stampati a Ljubljana e che hanno ambedue nella prima parte "Molitve v Videmski nadškofji" - Preghiere nell'arcidiocesi di Udine;
2. il "Naše Molitve" di Mons. Ivan Trinko - 1951 - stampato a Gorizia. Nelle intenzioni di Mons. Trinco, come risulta dalla prefazione, è il testamento spirituale per la "sua gente".
Bisogna sottolineare la grande importanza di tutte queste pubblicazioni, che hanno salvato e diffuso il patrimonio popolare religioso degli sloveni.
In questo modo l'origine della maggioranza dei canti che si cantavano nelle nostre chiese sembrerebbe facilmente spiegata. Così non è: sarebbe troppo semplicistico! Se andiamo, infatti, sulle Pesmarice a controllare i canti che maggiormente erano usati nelle nostre chiese, ci accorgiamo che (come abbiamo notato sopra) la maggioranza di essi non ha segnato l'autore; oppure, su qualche pesmarica, è specificato chiaramente che il canto è popolare o che è addirittura "staroslovensko" - vecchio canto sloveno.
Il che significa che questi canti sono veri canti popolari, condivisi però entro un'area culturale molto vasta, alla quale area culturale chiaramente apparteneva anche la nostra.
Questi canti sono nati in quest'area anche se oggi, almeno per la stragrande maggioranza di essi, è praticamente impossibile sapere dove e quando precisamente.
Tenteremo di spiegare l'ultima domanda: "come" questi canti sono arrivati nelle nostre chiese?
I canti nati nei nostri paesi sono certamente i più vecchi.
Indagare sulla loro precisa origine è molto difficile, anche perché abbiamo in mano pochi reperti e quindi poca possibilità di raffronto e, inoltre, sono testimonianze passate nel tempo chi sa quante volte "di mano in mano".
E' consolante per noi oggi sapere che la nostra gente, forse sotto altri aspetti illetterata e analfabeta, sapeva, invece, risolvere così bene le proprie esigenze spirituali, riuscendo perfino a inventare melodie e canti che oggi ci stupiscono e ci commuovono.
Per quanto riguarda la presenza degli altri canti popolari, quei canti che si trovano sulle "Pesmarice" e che tali e quali venivano (e sono ancora) cantati nelle nostre chiese, date le premesse fatte, non si dovrebbe andare lontano dalla verità affermando che sono arrivati attraverso la via più logica, ossia attraverso i sacerdoti che prestavano servizio nelle diverse chiese.
Il sacerdote, infatti, era l'autentico interprete e fautore della volontà del vescovo, che, a sua volta, interpretava il codice di diritto canonico e tutte le norme ecclesiastiche.
Insomma nelle chiese comandava il sacerdote, che sapeva cosa si doveva o cosa si poteva fare, cosa non si doveva fare o fin dove era "permesso", eventualmente, trasgredire gli ordini che erano dispensati dall'alto. Perché le piccole trasgressioni avvengono sempre e, di fatto, sono avvenute.
Ad esempio i testi della "Maša" (quelli dei tre "Pred Bogom pokleknimo"), che si riferiscono alle parti invariabili della messa, non erano certamente autenticamente liturgici, in quanto in lingua slovena e non latina e infedeli nella versione dal latino, come è possibile verificare; eppure sostituivano i testi liturgici veri e propri.
Tuttavia se per uno che conosceva l'italiano comprendere il latino era difficile, per uno che conosceva solo lo sloveno, ed era il caso della quasi totalità della popolazione, il latino diventava totalmente incomprensibile.
Il sacerdote, "cum grano salis", permetteva la non grande "eresia" e così da noi spesso (fino a prima della seconda guerra mondiale o, in alcune parrocchie, anche poco dopo) le parti invariabili potevano essere cantate in lingua volgare.
Tutto questo anche sull'esempio di quello che succedeva in tutta l'area slovena.
Comunque era il sacerdote, che aveva una sua formazione ben precisa, a decidere tutto o quasi tutto.
Questa formazione, dal Concilio di Trento o presto dopo, il sacerdote la riceveva in Seminario.
Per arrivare quasi ai giorni nostri, già in quello minore di Cividale, gli aspiranti sacerdoti avevano come materia d'insegnamento lo sloveno oltre che quella di canto.
Tale materia d'insegnamento continuò ad essere presente anche dopo la seconda guerra mondiale nel seminario di Udine ed era addirittura obbligatoria per tutti anche per gli studenti friulani in quanto anch'essi avrebbero potuto prestare servizio nelle aree di lingua slovena.
Ora il canto è un mezzo didattico di prim'ordine nell'insegnamento delle lingue.
Che canti si potevano usare in seminario per tale insegnamento se non quelli religiosi?
Teniamo anche presente che per impararli serviva il libro (le "Pesmarice") e che, una volta imparati, era facile insegnarli nella chiesa di destinazione.
Anche se qualche chierico non riusciva ad apprenderli così bene da essere in grado di insegnarli, ne conosceva almeno l'esistenza e sapeva dove poteva reperirli, per proporli a chi nella chiesa era in grado di insegnarli.
Il bello è che li imparavano tutti, anche i chierici di lingua friulana, perché piacevano.
Personalmente posso affermare che nella chiesa di Pagnacco ancor oggi è cantato il nostro "Marija Mati ljubljena", uno dei nostri più bei corali, naturalmente tradotto in italiano.
Un chierico ha imparato in seminario questo canto; gli è piaciuto tanto che si è preoccupato di tradurlo e di insegnarlo poi, divenuto parroco di Pagnacco.
Don Moncaro ha tradotto o adattato il testo a diverse melodie slovene, scegliendo come lingua sia l'italiano sia il latino (ce n'è oltre una decina tra i manoscritti di Lasiz), mentre ha tradotto in sloveno le parole del canto di Mons. Jacopo Tomadini "Maria, della sua grazia..." "Marija, svoje milosti...", affascinato dalla bellezza di questo canto e dalle parole di un altro canto del Tomadini "O del cielo gran Regina", alle quali parole ha adattato una melodia slovena. Non è forse bella e opportuna questa condivisione di ricchezze?
E' fuori luogo, eppure la voglio citare:
tra i manoscritti di Lasiz c'è anche una nota storica di don Angelo Cont che, tra l'altro, ha trascritto molta musica (aveva una bellissima voce di basso).
La nota si trova al termine di una "Pastorale". Dice:
"Cont Angelo
Udine, 31 maggio 931
Ieri sono stati aboliti i circoli
d'azione cattolica per opera del ..."
Il riferimento è ovvio come la riluttanza a nominare il soggetto di quella repressione.
Il sacerdote dunque era il primo e più importante veicolo nella creazione del repertorio di canti in una chiesa, almeno dopo il Concilio di Trento anche se sicuramente si avvaleva dell'opera dei maestri di coro.
Dei maestri abbastanza recenti conosciamo bene l'identità.
Questo spiega la perfetta aderenza in tutti i nostri paesi alle melodie delle "Pesmarice" (i veri canti popolari, come già detto, offrono sempre varianti anche molto caratteristiche da paese in paese).
Possiamo anzi specificare meglio: la melodia corrisponde sempre alla melodia delle Pesmarice, mentre il testo ha talvolta qualche piccolo adattamento al dialetto "nediški".
La "leadership" del sacerdote spiega anche la presenza del gregoriano in tutte le nostre chiese (il sacerdote lo aveva cantato per dodici anni in seminario).
Con tutto questo non si vuol certamente negare tutto il fenomeno di osmosi che avviene sempre tra aree culturali diverse, specie se limitrofe.
Anzi, in tutto questo rimescolamento di situazioni è bello notare come la condivisione dei beni culturali è ciò che di più interessante possa capitare a comunità che convivono a fianco a fianco.
Il numero dei canti che riportiamo è assolutamente limitato pur essendo in numero di 54.
Sono quelli che sono rimasti ancora nella memoria (e nel cuore) della nostra gente, che sono maggiormente piaciuti e che perciò sicuramente furono i più usati (come è dimostrato anche dalle pagine usurate delle Pesmarice, quella, ad esempio del maestro "Pico" di Mersino).
Personalmente ho ancora vivo nelle orecchie il ricordo del rintronare di voci terribilmente acute e tremendamente e incredibilmente basse nella chiesa gremita di Antro: una massa sonora enorme che mi faceva rabbrividire fin nelle viscere.
Ricordo che nella mia fantasia di fanciullo, frastornato dagli odori d'incenso e incantato dai gesti ieratici di don Giuseppe Cramaro, ripetevo a me stesso:
"Sicuramente in paradiso si canta così!"
Ancor oggi sono convinto che l'espressività umana e la capacità di coglierla hanno in sé qualcosa di divino!
Non a caso, in seguito, lo stesso rabbrividire in tutto il mio essere l'ho provato in certi momenti all'ascolto delle grandi opere musicali, come ad esempio all'inizio dell'"Andante maestoso" della IX Sinfonia di Beethoven.
"Seid umschlungen, Millionen! Diesen Kuß der ganzen Welt!" (Unitevi, o milioni di uomini! Questo bacio vada a tutto il mondo!).
Il fatto incredibile è questo:
dei "poveri" canti popolari sono in grado di offrire le stesse sensazioni delle più grandi, universali e immortali opere.
Oltre tutti i canti della presente pubblicazione ricordo che ad Antro si cantava:
"K tebi, Jezus ljubeznivi", "Tebe ljubi moja duša", "O Jezus, sladki moj spomin!", "Najsvetejši, tebe počastimo", "Pridi molit, o kristjan", "Daj mi, Jezus, da žalujem"! (canto penitenziale), "Kraljevo znamnje", "Raduj nebeška se Gospa!" (pasquale), "Ceščena bodi, o Krakjica!", "Ko zarja zjutraj se razgrinja", "Zdrava, zemplje vse Gospa!", "Vse prepeva".
Quest'ultimo canto ha una strana somiglianza col canto friulano di Luigi Garzoni "Ave Vergin".
Com'è possibile che Garzoni lo conoscesse?
Ebbene tra i manoscritti di Lasiz esiste il canto "Sull'altar ove tu scendi", trascritto a matita da don Moncaro.
Don Moncaro usava tradurre i testi (dallo sloveno all'italiano o viceversa) dei canti che gli piacevano particolarmente, come ha fatto per questo canto di Vavken, la cui melodia ha una precisa somiglianza col canto friulano "Ave Vergin" del Garzoni.
Accanto al canto, nel luogo dove tradizionalmente si pone il nome dell'autore, è scritto Andr. Vavken. E' chiaramente la melodia del numero 73 delle "Svete Pesmice" anche se il testo è italiano: "Sull'altar ove tu scendi, mio Gesù, depongo il cuore..." Ora il maestro Garzoni frequentava molto il seminario.
Ricordo che, fino all'ultimo anno di vita, il giorno di S. Luigi, 21 giugno, veniva sempre in seminario alla festa per assistere ai vesperi solenni e, negli anni in cui ero organista e don Albino Perosa direttore, quando si cantava l'inno a S. Luigi, si piazzava proprio vicino a me per godersi meglio "lo spettacolo".
E' molto probabile perciò che negli anni della gioventù egli sia venuto a contatto con questa nostra melodia proprio per merito di don Moncaro, al quale, come già detto, piaceva molto barattare melodie e testi forse anche in collaborazione con altri compagni.
Senza, naturalmente, togliere nulla alla "scintilla divina" che balenò nel Garzoni, quando compose quel bel canto ancor oggi tanto eseguito.
Naturalmente i canti che più affascinano sono quelli che con gran probabilità sono nati qua da noi. Di essi vorremo fare un commento, ma correremmo il rischio di annoiare.
Per un canto lo corriamo questo rischio, perché è talmente particolare che il non commentarlo musicalmente costituirebbe una grave mancanza.
Il canto è "Kristus je ustu!", un canto manoscritto di Lasiz.
I manoscritti di Lasiz per la maggior parte riportano i canti delle varie pesmarice (o le messe d'autore) e testimoniano l'abbondante uso, che di questi canti era fatto nelle celebrazioni liturgiche.
Il "Kristus je ustu!" (che non si trova nelle Pesmarice) è interessante anche per altri aspetti.
Esistono sette copie di parti di questo canto: due di soprano, due di contralto, due di basso e una di tenore, tutte scritte dalla stessa mano, però in tempi diversi.
Le parti di soprano e di contralto presentano le stesse caratteristiche, come, a loro volta quelle di tenore e di basso.
Le prime (le più vecchie) usano il termine "ustu", le seconde "ustal".
Inoltre le prime all'inizio hanno l'indicazione dinamica "Mogočno" (con forza) e le indicazioni espressive riportate nella nostra trascrizione, mentre le seconde non hanno l'indicazione "Mogočno" e, per quanto riguarda l'espressione, hanno un "f" all'inizio e un "p" all'alleluja.
Tutte le quattro parti, invece, mostrano evidenti diversità d'inchiostro nella scrittura della prima e delle seconde strofe, come pure tra tenore-basso e soprano-contralto; e, infine, queste ultime usano il rosso per le indicazioni espressive.
Interessante è l'esame delle parti dal punto di vista armonico.
Il canto è all'unisono per quasi tutta la prima frase, che è di sei misure; si divide a due voci alla quinta misura per diventare a quattro solo sull'ultimo accordo.
La seconda frase è di quattro misure: comincia all'unisono alla prima misura per continuare a quattro voci nelle altre tre misure.
La terza frase, di sette misure, è a due voci: il tenore e il basso ricalcano il soprano e il contralto, per finire a quattro voci solo sull'ultimo accordo.
La quarta frase è la ripetizione della terza con la variante finale sull'ultimo alleluja, che diventa a quattro voci.
La forma è chiaramente quadripartita, come la stragrande maggioranza dei canti popolari; le frasi sono però irregolari.
Quest'irregolarità non si origina dal testo come ci si potrebbe aspettare; seguendo, infatti, il testo, eliminando vale a dire le ripetizioni del testo, ne uscirebbe una forma quadripartita perfetta, ma nasce spontanea dalla stessa melodia.
Questo potrebbe far presumere l'esistenza di una melodia preesistente legata ad un altro testo, alla quale sono state aggiunte le parole del nostro canto.
Il modo di comporre a più parti di questo canto è caratteristico della musica popolare slovena: ossia l'uso dell'unisono, il raddoppio delle parti tra voci maschili e femminili, l'armonia completa soprattutto sugli accordi finali.
La stesura del canto è, in ogni modo, opera di un "addetto ai lavori", di uno cioè che, almeno in parte, di musica doveva intendersi, ma la cui opera molto probabilmente si è limitata a riportare ciò che il suo orecchio aveva sentito da persone che cantavano spontaneamente.
Questo canto, che è un canto pasquale, è troppo bello per non essere ripreso dai nostri cori, assieme all'altro canto molto interessante di Erbezzo (n.° 49)
"Tebi Marija, blažena Mati",
che mi sono permesso di armonizzare secondo lo stile di "Kristus je ustu!". Ho mantenuto gli unisoni e la seconda voce della registrazione dal vivo.
Per assumermene la responsabilità, preciso che tutte le elaborazioni per coro a quattro voci miste presenti nella raccolta sono state da me fatte.
Queste elaborazioni sono cantate dal coro "Pod Lipo" e sono state inserite anche nella pubblicazione POD LIPO assieme oltre 120 canti popolari profani e religiosi delle nostre Valli.
Nino Specogna
(tratto da CANTI SACRI NEL COMUNE DI PULFERO)
Realizzato da Nino Specogna