Montefosca


Canti sacri nel comune di Pulfero

Una lunga storia

Dal punto di vista del servizio religioso è una storia lunga e tormentata, risoltasi solo grazie alla caparbietà che ha sempre caratterizzato questi fieri montanari.
Ne sanno qualcosa a Pulfero, quando nel 1938 le arrabbiatissime donne scesero a protestare presso il comune per la concessione di una sorgente a favore del paese di Prossenicco, invasero la sede municipale, gettando dalla finestra carte, mobili, macchine da scrivere e tutto ciò che capitava loro sottomano, fosse anche l’impiegato comunale.

In realtà, la comunità di Montefosca, ampliatasi negli anni precedenti, era strettamente legata alla parrocchia di Erbezzo da cui dipendeva dal punto di vista ecclesiastico.
Ad Erbezzo si celebrava la messa, si tenevano le funzioni pomeridiane domenicali, erano imposti i battesimi, celebrati i funerali, insegnato il catechismo, ad una distanza via sentiero non inferiore ai 25 minuti.
I disagi cui erano sottoposti i fedeli, specialmente durante l’inverno, con il sentiero innevato reso impraticabile, sono immaginabili.
Molti anziani in difficoltà nel camminare, venivano esclusi dalle celebrazioni sacre, così pure i bambini in tenera età.
A Montefosca, priva di chiesa, mancava quindi anche una propria tradizione di canto sacro che non fosse quello in uso ad Frbezzo.

La lotta per la chiesa

Il cappellano di Erbezzo don Luigi Clignon di Cicigolis, in concordia con il parroco di San Pietro don Muzzig, si era sempre opposto al frazionamento delle due comunità, vuoi per ragioni logistiche, pratiche, ma anche economiche.
Ciononostante i decisi abitanti di Montefosca, già nel 1900 iniziarono la costruzione della chiesa, infischiandosi dei veti e delle minaccie provenienti anche dalla curia udinese. Mons. Ivan Trinko scrive su Beneška Slovenja:
“1912. Da pochi anni piccola chiesa con cimitero”.

Nel 1926 venne costruito il campanile e nel 1935 la chiesa, dedicata all’Annunciazione della B.V. Maria (25 marzo), fu ampliata e terminati i lavori.
Mancava la consacrazione che avvenne finalmente nel 1931.

Anche le autorità civili incominciarono ad accorgersi della grossa realtà costituita da Montefosca tanto da indurre il comune di Pulfero appena costituitosi, a toglierlo dall’isolamento, procurando i finanziamenti per la costruzione di un ponte pedonale sul Natisone a Stupizza, fino allora attraversato a guado quando l’acqua bassa lo consentiva.

“Trattandosi di territorio della nostra cappellania, annota don Cuffolo il 14 ottobre 1928 è stato oggi solennemente benedetto dal cappellano di Lasiz. Molta gente ma nessuno di Montefosca per non pagare la bicchierata ai fascisti” conclude con una punta di ironia.

La consacrazione con le gubane

Ancora sul diario di don Cuffolo, possiamo leggere:
“Oggi 11 settembre, consacrazione della chiesa e dell’altare di Montefosca.
Con l’arcivescovo Nogara 12 sacerdoti e 12 chierici.
Tutta la Valle è salita su.
Così oggi ha avuto termine lo scandaloso scisma durato per tanti anni con la vittoria dei montefoschini.
Avranno messa ogni domenica e prevedono di avere anche la cappellania.
Hanno festeggiato la loro vittoria col massimo sfarzo, chiamando cuoche da Lasiz che hanno confezionato 50 gubane solo per gli invitati”.


Sarebbe utile che questa nota fosse conosciuta da alcune persone di Gorizia e Trieste che rivendicano la primogenitura sul nostro dolce tipico.
Non credo che in altre parti la gubana sia talmente radicata come da noi in ogni celebrazione, lieta o triste, e faccia quindi parte integrante del costume locale.

Il primo cappellano

A lavori ultimati, con la chiesa consacrata e sacramentata, la curia di Udine inviò nel 1938, quale primo cappellano il giovane sacerdote novello don Giuseppe Rojatti di Faedis, graditissimo dai giovani che nell’uso della lingua italiana da lui proposta, videro uno spiraglio di quella “superiore civiltà latina” che il regime fascista andava propagandando con ogni mezzo.

Non era questo ovviamente il proposito del giovane sacerdote, che dovette rispolverare le nozioni di lingua slovena apprese in seminario per riuscire a dialogare con i molti anziani che non conoscevano la lingua italiana e si appressavano al confessionale in cui ci fosse un prete slavo.

In questo grosso abitato che nel 1935 contava 554 anime, posto su un altopiano fuori dalle vie di comunicazione che non fossero i sentieri di collegamento fra i paesi posti in quota lungo i contrafforti che si affacciano sulla pianura friulana, si avventuravano studiosi e ricercatori che pubblicavano sui trattati di antropologia fotografie e descrizioni di persone quasi si trattasse di uomini preistorici.

Il carattere della gente

La gente di fondovalle invece, che aveva contatti con essi, sapeva quanta intelligenza, astuzia e adattabilità agli innumerevoli disagi si nascondessero sotto quell’ aspetto semplice e dimesso.
In un paese dai pochi cognomi, dove la rete di parentela era fittamente intrecciata, esisteva una impensabile reciprocità di mutuo soccorso in caso di bisogno.

Fra la gente c’era chi sapeva curare con medicine tratte dalle erbe, dalla terra, dagli animali; l’ingegno sapeva far integrare il reddito dall’allevamento degli animali quali gli eccellenti prodotti caseari, la carne, la lana.
Producevano tanto legname e dalla ramaglia di scarto ricavavano la carbonella allora molto richiesta dai fabbri per alimentare la fucina, dai sarti e dalle famiglie per riscaldare il ferro da stiro trattandosi di un combustibile che produceva calore privo di fumo.

La gente di Montefosca è gente allegra, vivace e ricca di inventiva oltre che predisposta alla narrativa.
Numerose leggende collegate a esseri mitologici, sono sorte proprio qui e da qui molti motivi musicali profani si sono propagati nei paesi vicini.

La narratrice Mjuta Šklanzova

Mjuta Specogna, narratrice, nota fra gli studiosi di etnologia di tutto il mondo
Mjuta Specogna, narratrice, nota fra gli studiosi di etnologia di tutto il mondo
Vale la pena ricordare la Mjuta Specogna, nativa di Montefosca e maritata a Specognis, che ha fatto riempire al nipote Don Antonio Cuffolo parroco di Lasiz, interi quaderni di leggende, canti profani e religiosi, questi ultimi nella forma del latino storpiato, che sono la delizia degli studiosi di etnologia.
Valga per tutti, rimanendo in tema di canto religioso, il “Dies Irae” riportato in grafia slovena da A. Cracina nel libro “Gli Slavi della Vai Natisone” Del Bianco Ud. 1978.
La melodia del Dies illa dies irae è quella nota del testo latino originale.
Lo trascriviamo privo di traduzione che risulta impossibile e lo priverebbe di significato e freschezza.

Dije sila, dije sjero
salve sekul an savilo
testi David kum sabilo

Kuando stremo loskonsuro
kuando judic ses vinturo
bono strito deskonsuro

Turbo mjero peransono
persa porto regijono
venga Domine santo trono

Mor sabebit to naturo
kua lusurja kreaturo
judikanti reskonsuro

Libro skrito preferito
Rekuitati kondineto
judilmondo judilceto

Judilsekue non sedebit
miko tlabit taparebit
mika mondo remanebit

Kua jezère tondelturo
kuej patrono ragaturo
konvjostra sem sakuro

Lastra menda ma je stata
kuej salvanda salva gracje
salva meis kompietatis.

Rekordare Jezu pijo
kua inkauza tua vijo
me aperlo sola dijo

Kua rameso distilata
roza misti roza pasa
sonso labra sonso kasa

Iusti judi salicjone
anjo se keremisjone
ante dije gracjone

Anjo misko tankorebus
golus roubus golus meus
sulpicante parcadeus

Vi Marijamat zauriste
et ladrone me zavist
/miki kuakue ledemiste

Precis meis nonsum dinjo
facin bono za beninjo
mjape renjo kramarenjo

Into roubo lahompresta
intaneva mizerkuesta
statu oksa parcadesta

Konsutatis maladitis
anjufak ramuraditis
moka mekum beneditis

Gorje su par svetin klino
kua kontrito kua zicino
vjerakura majafinis

Sakramuzadije sila
huala surget resta vila
judikanti omorebus

Miga karga parcadeus
pije Jesumdomine
danajst rekijem.Amen.

I canti registrati dalla RAI

Attualmente è ben difficile trovare sul posto qualche testimonianza del canto religioso a Montefosca.
Ci soccorre però il volume “Le tradizioni popolari degli sloveni in Italia” Trieste 1976 che Paolo Merkù, per conto della Rai di Trieste, raccolse su nastro in numerosi anni di peregrinare attraverso le città ed i paesi della nostra regione ove si parla il dialetto sloveno.

Il libro riporta ben sei brani di carattere religioso e precisamente una variante del diffuso canto natalizio
“Poslušajta usi krištjani - Ascoltate cristiani tutti” , che l’ignoto sessantenne informatore di Montefosca disse di avere imparato dalla madre.
Segue
“Tan gorj’ adna gora - Lassù c ‘è un monte” , canto che i bambini eseguivano pascolando pecore e capre.
“Sveta Manja prosi Boga za nasi Santa Maria prega Iddio per noi” era cantata in chiesa con le litanie per ottenere la pioggia.
“Oj Mania Roiinca - O Maria del Rosario” si cantava in chiesa per la festività dell’Assunzione;
“Parva ura bila lei Suonò l’una” è invece un canto dei pellegrini che si intonava in vista della meta, che poteva essere Castelmonte, Lussari, Montesanto, San Antonio di Caporetto, Barbana od altri luoghi di culto verso i quali ogni paese era vincolato da un voto/objuba.
“Svet kelih pred svetin oltarjen stoji - Il santo calice sta davanti ai santo altare” comprende nove brevi strofe che l’informatore apprese dal nonno.
Di una sola strofa è composta
“Mašnik požegna bieli kruh/ - L’officiante benedice il bianco pane” ed infine
“Sveta Barbara / Santa Barbara” che i bambini cantavano per propiziare il bel tempo.

La cantoria di don Rojatti

Esaminato il passato canoro di Montefosca, ci rifacciamo all’arrivo di don Rojatti, che raccolse attorno a sé le persone intonate e formò una cantoria che raggiunse mete entusiasmanti.
Ben presto fu imparata la messa del Tavoni e quindi del Tomadini ma, senza l’accompagnamento di un annonium, era impossibile ottenere risultati completi.
Ecco allora, narra il testimone cav. Ettore Cencig, che
“nei 1936 andavamo ogni domenica per il paese a raccogliere i soldi; le offerte variavano secondo le possibilità delle famiglie, da centesimi cinque, dieci, venti, cinquanta, oppure da uno a tre uova. Per darci il cambio avevamo formato tre coppie: Mario ed io, Ettore; Alberto e Geremia infine Mario III e Giuseppe”.


La buona memoria di Ettore non si limita a questi sei nomi: egli ricorda tutti i componenti della prima cantoria che vanno menzionati di diritto.
Essi sono:
Antonio Cencig - Mežnar,
Giovanni Zantovino - Juan ,
Giovanni Cencig - Tonzar,
Lina e Narciso Cencig - Leban ,
Giobatta Cencig - Arveneš ,
LuigiZantovino - Perošku,
Fiorina Justo e Luigi Cencig, - Uaz,
Gma e Rosa Cencig - Uštin,
Livia Cencig - Goraz,
Luigi Cencig - Tojaz,
Bruno Cencig - Roslnu,
Angelo Giovanni ed Alberto Laurencig - Balan,
Rina Specogna - Daneu,
Mario Cencig - Matoga,
Attilia Cencig - Kajanka,
Emilio ed Alessandro Specogna - Štief,
Angelo Cencig - Mon,
Giuseppe Cencig - Te gorenj.

Da uno di questi cantori, precisamente Berto Laurencig, definitivamente stabilitosi nel paese natio dopo lunghi anni di permanenza in Svizzera per lavoro, apprendiamo che la cantoria istruita da don Rojatti, veniva invitata a cantare in varie parrocchie come Lasiz, Faedis, Antro, ed a San Pietro al Natisone in occasione della grande sagra annuale del 19 giugno.
Il ragazzo di allora, Berto, era la voce bianca solista che cantava gli assoli della messa e l’Ave Maria di Schubert.
Egli ci dà conferma dei canti riportati dal citato prof. Merkù, si sofferma a descrivere la vivacità di Montefosca, composta esclusivamente da gente dedita all’agricoltura il che consentiva a tutti di partecipare in massa alle sagre paesane come la Madonna delle Grazie, San Rocco, San Valentino e Santa Lucia.

Mentre rivangava nei ricordi, il nostro ultra settantenne interlocutore non riusciva a celare la commozione di un passato ricco di spiritualità.

Ai nostri giorni

Berto Laurencig, solista
Berto Laurencig, solista
All’entusiasmo dei primi anni seguirono momenti di incomprensione con alcuni paesani, tanto da costringere don Rojatti a fare le valigie alla fine della guerra, nel 1946, per essere sostituito solamente un anno dopo da don Eliseo Artico, anch’egli friulano, rilevato a sua volta nel 1953 da don Eugenio Osgnach nativo di San Leonardo, che fu anche maestro di scuola elementare, senza avere dato peraltro alcun contributo al recupero dei canti tradizionali ormai passati al dimenticatoio.
Va dato merito, invece, al maestro supplente Giuseppe Chiabudini che seguendo le linee educative volte alla conoscenza del proprio territorio, suscitò l’interesse di molti scolari al canto mediante la ripresa delle melodie del passato.
L’onda lunga di quella iniziativa sta dando i suoi frutti oggi, a 30 anni di distanza.
Luciano Chiabudini
Nino Specogna
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