Intervista all'arcivescovo mons. Battisti
Rinnovamento conciliare, promozione umana, fede e cultura, incontri con le Chiese slovene: i temi di quest'intervista all'arcivescovo di Udine mons. Battisti
Eccellenza, da poco Lei ha terminato il Suo lungo Itinerario fra le comunità cristiane delle Valli del Natisone. Una sua prima valutazione e impressione.
Ho visitato le Valli del Natisone e vi ho trovato comunità che sono ancora ricche di tradizione e di fede religiosa.
Probabilmente c'è bisogno di uno stimolo perché queste comunità si rinnovino sul piano della fede, della celebrazione liturgica e della promozione umana così da far sentire in maniera più forte e più viva il rinnovamento del Concilio Vaticano II.
Quali sono stati i punti qualificanti del messaggio che ha voluto portare alle nostre popolazioni?
Lo scopo della Visita pastorale - si è trattato più dell'apertura che della conclusione della Visita - è stato quello di far sì che anche le comunità delle Valli del Natisone si rinnovino nello spirito e nello stile del Concilio, di questa grande Pentecoste della Chiesa. Il Concilio non deve essere consegnato al futuro attraverso documenti di archivio, ma soprattutto, attraverso le coscienze dei credenti di incarnare il rinnovamento voluto dal Concilio stesso.
Ho stimolato le comunità cristiane a rinnovarsi sul piano della catechesi: vengano introdotti i nuovi catechismi della Cei, sorgano dei catechisti che aiutino i fanciulli a fare un cammino di fede assieme agli adulti, siano coinvolte le f amiglie e i genitori non deleghino al solo sacerdote il compito di f are dottrina. Questi sentano che il sacerdote li aiuta ma non li sostituisce perché i primi banditoni della fede, i primi testimoni della fede davanti ai figli sono proprio i genitori.
Si rinnovi anche la celebrazione liturgica in maniera che la partecipazione alla Messa domenicale sia oltre che buona - ho trovato ancora un'affluenza abbastanza alta - viva, sentita, così che tutti si sentano chiamati da Cristo risorto a celebrare un momento forte della loro fede.
Nella prima parte della Messa è Dio che parla, è Dio che interpella e quindi Dio che aiuta a rendere una fede più adulta in grado di rispondere alle sfide storiche che oggi essa incontra. Questo aiuterà soprattutto i giovani a partecipare in maniera più interessata alla Messa.
Nella seconda parte i fedeli sentano che si celebra il mistero della Resurrezione.
Vissuta e sentita in questo modo la liturgia domenicale non può mandarci a casa tranquilli, confermati nelle nostre sicurezze ma inquieti, cambiati dentro, capaci di portare il peso delle speranze e delle sofferenze dell'uomo d'oggi.
Le comunità poi devono rinnovarsi anche sul piano della carità e della promozione umana: una fede creduta, una fede celebrata deve essere una fede testimoniata perché non ci sia una dissociazione, una schizofrenia tra la fede che si crede e si celebra e la vita e la
promozione umana che si è chiamati a testimoniare oggi.
Ha parlato di promozione umana. Quali aspetti essa assume per la nostra comunità?
Fondamentalmente sono due.
Il primo aspetto è uno spopolamento preoccupante, impressionante dovuto al fatto che la gente non trova sufficienti sorgenti di lavoro e motivi di vivere.
Spopolare quelle Valli significa espropriare la zona, ma anche il Friuli, della ricchezza di valori umani di cui sono testimoni quelle popolazioni.
Allora il primo problema è come portare le sorgenti del lavoro, magari mediante fabbriche e industrie artigianali di piccola e media dimensione, all'imboccatura delle Valli in maniera che i lavoratori non debbano fare molti chilometri e lunghe ore di viaggio per recarsi nel Manzanese; perché logicamente èfacile la tentazione di spostarsi con la famiglia vicino al posto di lavoro.
Il secondo problema è come salvare l'anima di questo popolo; perché certamente c'è una peculiarità etnica che va salvaguardata. Questo è un altro grosso problema che tiene impegnati i sacerdoti e mi pare che anche le forze politiche ne abbiano capito l'importanza.
In che modo le comunità cristiane possono contribuire a salvaguardare e a sviluppare il proprio patrimonio linguistico e culturale?
Abbiamo dato questa linea: le comunità cristiane sono invitate a confrontarsi con il Concilio.
Il Concilio dice che là fede non si identifica con la cultura però si incarna in essa. Una fede non incarnata nella cultura rischia di essere una fede che resta in superficie.
Per non aver accettato questa incarnazione della fede non abbiamo il cristianesimo diffuso in India e in Giappone: la trasmissione del messaggio cristiano era troppo occidentalizzata.
Così nelle Valli la fede deve essere incarnata in quella particolare cultura.
Abbiamo dato questi criteri per la salvaguardia della lingua nella liturgia:
Le comunità cristiane che d'intesa col loro sacerdote ritengono di poter esprimere la loro fede con preghiere e canti in sloveno oppure con l'uso del Messale sloveno approvato da Lubiana, hanno diritto di farlo, con l'invito a provvedere opportunamente, per chi non capisse lo sloveno.
Questa scelta intende salvare la cultura in quelle comunità che sentono di dover esprimere la fede nella lingua slovena.
Le comunità che fanno scelte diverse non devono accusarsi reciprocamente: quelle che ritengono di usare il messale italiano non devono essere accusate di fascismo e così quelle che ritengono di usare il messale sloveno non devono essere tacciate di comunismo.
La scelta deve essere fatta per motivi religiosi e non per motivi politici.
Vanno rispettati quei sacerdoti, quei fratelli che, secondo la norma della Costituzione e secondo le regole del proprio stato sacerdotale fanno un'opera di promozione umana perché venga salvata la cultura anche mediante la conoscenza della lingua slovena a cui quasi naturalmente si rifanno la tradizione e la cultura del popolo.
Sostanzialmente, da un punto di vista liturgico, abbiamo dato queste indicazioni.
Dal punto di vista civile quelle popolazioni si sentono italiane; quindi il problema non è di separare l'uno ma di valorizzare il diverso.
L'incontro con l'arcivescovo di Lubiana e il vescovo Jenko di Capodistria a Caporetto, le celebrazioni di Lussari e Castelmonte con la partecipazione dei sacerdoti e delle comunità confinanti. Qual'è il significato di questi incontri fraterni?
Incontrandoci con questi fratelli e con le popolazioni che hanno accompagnato i vescovi nel pellegrinaggio, abbiamo detto che noi ci sentivamo carichi non soltanto del peso delle nostre Chiese, ma anche del peso dei nostri popoli: lo sloveno e l'italiano.
Siamo convinti che non si può fare l'Europa unita, una Europa in pace se all'Europa di S. Benedetto non si aggiunge l'Europa dei Santi Cirillo e Metodio. Questi santi patroni iriterpretano due anime del cristianesimo, le due culture europee: quella occidentale, di S. Benedetto, che è più razionale e più logica e quella orientale, dei santi Cirillo e Metodio, che è più intuitiva e più mistica.
Noi cristiani siamo nel mondo perché dobbiamo precederlo, anticipare con gesti profetici il futuro cammino dell'umanità.
L'unità europea da un punto di vista politico-economico, avrà i suoi ritmi, le sue lentezze, mentre l'unità spirituale, l'unità ecclesiale è già avvenuta da secoli, perché Cristo col suo sangue ha buttato giù il muro di divisione che nel tempio separava i Gentili dagli Ebrei. Per noi i confini non sono delle trincee ma sono porte fra popoli che si sentono fratelli. Quindi era giusto che questo segno profetico lo dessimo noi in questo Friuli che da secoli è stato teatro di incontro delle civiltà italica, slava e tedesca.
Era bello e provvidenziale che avvenisse in quest'anno, in cui si compiva il sedicesimo centenario del Concilio di Aquileia, Aquileia madre della fede da cui è partita l'irradiazione e la diffusione del cristianesimo in tutta la zona centrodanubiana.
Noi pensiamo che si conoscerà un'Europa nuova in questo cosiddetto tramonto dell'occidente se la rinascita dell'Europa supererà le attuali divisioni create da disegni di potenza, da schieramenti ideologici, e da impegni militari; ritroverà invece la sua unità culturale nelle comuni radici cristiane dei popoli europei.
Mons. Battisti, arcivescovo di Udine
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